Orchestrine – Arioso

Orchestrine - Arioso Book Cover Orchestrine - Arioso
Arturo Onofri
La Finestra
2002
9788888097112

“La casa un po' attufata dalla chiusura invernale spalanca ora avidamente le sue finestre, per bere l'aria e la luce di primavera a grandi sorsate azzurre, prima che riannuvoli” (Onofri, “Marzo”, in “Orchestrine”).

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“Orchestrine – Arioso” (La Finestra, 2002), a cura di Magda Vigilante, è la nuova edizione anastatica delle “opere della seconda fase onofriana”, quella che annuncia la rivelazione del divino, per progressiva adesione all'antroposofia; il volume include le “Poesie e prose inedite” già pubblicate a Roma nel 1989.

“Orchestrine” (1914-1916; pubblicato nel 1916) è una raccolta di prose liriche. È letteratura pura, elegiaca, infatuata di tutto, bambina: Onofri canta le gocciole, la pioggia, il tramonto, la luna, gli alberi e il vento, la notte, le giornate serene d'inverno; i pini, le pozze d'acqua, le bibite al ghiaccio; sembra sapersi innamorare di tutto quel che compone e forma la natura, di tutto quel che vive e viviamo; e sembra proprio non avere interesse diverso da quello, o disposizione d'animo altra. Onofri è uno che vuole baciare le sue stesse mani quando mantengono il sapore della terra (“Gita”); che s'emoziona per la nascita d'un fiore, dal mucchio di brecce sull'orlo della strada (“Natività”), o per il volo d'un gabbiano sul lago (“Gabbiani sul lago”); o per l'incontro con una lepre. Così: “Questo silenzio è un orecchio di lepre che si rizza a un lontano brivido di sotterra” (“Sensazione”).

E intanto racconta le piccole cose della sua vita: ad esempio, descrivendo il suo scrittoio, con semplicità e trasporto: “Sul mio tavolo, tappezzato d'un caldissimo verde, brilla l'ampolla celestina, da cui esalano giunchiglie di serra. A quel raggio fiorito, che infarfallisce di sole il mio solitario inverno, un coccodrillone di bronzo opprime dieci foglietti d'appunti velini” (p. 25). Oppure, raccontando una donna che si spoglia, troppo concentrata su sé stessa (“Animali”), o il passaggio d'un'automobile sulle rotaie del tram, che va slittando e lasciando un fine odore di donna (che fantasia), o il sonno (un “astuccio vellutato”).

A un tratto appare uno squarcio di Roma Vecchia, che non può non emozionare i capitolini: “Appiè del campanilotto tarchiato, che invano si sfianca a liberarsi dal groppo di casacce vecchie, sgrottanti in rientri di velluto sporco, c'è scritto sfacciatamente Sale e tabacchi, sopra una striscia di marmo medievale” (“Roma Vecchia”, p. 145).

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“Lascio l'erba sulle piazze in rovina, esalare i suoi ciuffi di fuoco fatuo da cimitero. Non voglio accettare più la bellezza. Mi chiudo, affidato alle lacrime, contro qualunque domani. E mi consacro a finirla. Eppure, c'è un'ultima rondine ancora!” (“Prima di notte”, in “Arioso”, p. 84).

“Arioso” (1921) è una raccolta di poesie e prose liriche, illustrate da Deyva De Angelis. L'atteggiamento dell'artista non muta: la sua scrittura eterea, astratta, incatenata alla natura e ai sentimenti, non conosce variazione di registro, soltanto di disposizione della sua arte. E così ci ritroviamo ad accompagnare Onofri nei suoi ricordi di ragazzo, a caccia di lodole col padre, e poi tutto felice di condividere con lui la colazione per terra, e magari di farsi un bel sonnellino; oppure nell'amarcord dei giorni estivi post fine della scuola, vissuti come un viaggio verso la luce, “fuor da un elemento buio e denso”.

Si festeggia la nascita di un bambino (“Nghè”) e il primo anno di vita, e i primi passi (“Giorgetto”); si canta il mese di marzo, “fanciullo dal lungo sbadiglio / i tuoi capricci incantevoli / come risa dopo le lacrime / sono trastulli di nuvole e sole” (“Marzo”). S'arriva, man mano, a leggere direttamente Salmi: “Salmo di primavera”, canto dell'erba novella che spunta sul prato, e della parola incidibile e divina che l'anima ascolta: questo salmo è l'ideale viatico alle “Poesie e Prose inedite” (1920; 1921; ), in cui Onofri sembra farsi profeta, annunciando che il suo tempo non è di raccolta ma di semina, perché “il sacrificio è ormai nelle cose stesse che danno da vivere”: la voce delle campane annuncia l'angelus sulla Terra, annuncia la voce che va a riassopire nei cuori ogni guerra. Il mondo attende una nuova sera, e quelle campane, dai suoni limpidi e umani, promettono “ai poveri l'ora più vera” (p. 37). Onofri canta l'amore per le piccole cose, e per l'umanità tutta: “Chi adora il sospiro del vento / chi ama il furore dell'onda / Stia dunque ciascuno contento / alla propria sua vita feconda / Amiamo le piccole cose / che sono la nostra vittoria / Solo a sfiorire le rose / è buona la stupida gloria”.

Nel 1921 invita l'anima a cantare nel suo tormento per rendere grazie a Dio, a stare pronta a perdere sé stessa per salvare la sua vera vita; Onofri invoca Cristo, quando sembra cedere al dolore, quando “frugo il cuore vuoto e indolorito” (“Sotto il cielo nero mura a picco”); l'assenza di Dio è attesa insopportabile, in un mondo che diventa grigio e squallido (“Non c'è più dunque giovinezza?”). La consolazione è che non esiste solitudine vera, perché ciascuno di noi è fibra di un “immenso uomo divino” (“Memento”). Verrà il tempo del vino novello – verrà una nuova età di pace e d'armonia, nel Regno del Signore.

Roma rimane fonte d'ispirazione e musa secondaria, rispetto all'Eterno: ad esempio, in “Sotto il cielo grigio Roma”. Onofri scrive che dal Gianicolo sembra “schiacciata e repressa nella sua pietra, dove stanno le anime come in prigioni crudeli. Il ronzio che sale va a battere contro il cielo e ricade in malinconia sopra i tetti e le cupole nere di secoli. Solo nella campagna, oltre le ultime case, il sole ha strappato il divieto dei nuvoli per risuscitare una striscia di prati argentati dal fiume” (p. 92).

Nel 1922 e nel 1923, Onofri è sempre più misticheggiante; è rimasta intatta la semplicità e l'essenzialità degli argomenti, e dei suoi canti: è come se fosse Camillo Sbarbaro ibridato a Novalis, un cantore di quotidianità e di eternità al contempo, con la stessa grazia, la stessa naturalezza. È un artista convinto che viva nel sangue di tutti una “potenza angelica nel chiostro / dell'ossa dure e della carne muta”; che ogni parola espressa è Dio in potenza di sogno, nel cuore; che il corpo umano è una prigione d'ossa, per l'anima; che Dio è unica gloria e unica salvezza. E così sia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Arturo Onofri (Roma, 1885 – Roma, 1928), poeta e scrittore italiano.

Arturo Onofri, “Orchestrine - Arioso”, La Finestra, Trento 2002. A cura di Magda Vigilante. Con uno scritto di Marco Albertazzi. In appendice, poderoso apparato critico. ISBN 9788888097114

Prima edizione: “Orchestrine”, Napoli, 1917; “Arioso”, Roma, 1921; “Poesie e prose inedite”, Roma, 1989; “Quaderno di Positano”, Pistoia, 2000.

Gianfranco Franchi, maggio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Nuova edizione anastatica delle “opere della seconda fase onofriana”