Zebio Còtal

Zebio Còtal Book Cover Zebio Còtal
Guido Cavani
ISBN Edizioni
2009
9788876381324

Apprezzato da Pier Paolo Pasolini e da Giorgio Bassani, il romanzo “Zebio Còtal” del misconosciuto scrittore e poeta modenese Guido Cavani (1897-1967) apparve nella “Biblioteca di Letteratura” Feltrinelli nel 1961. Pochi anni prima era stato stampato in proprio dall'autore, post scarto vallecchiano, in duecento copie. Cinquant'anni più tardi, Cavani è rimasto un artista molto laterale. Il suo destino, sin qua, è stato quello d'essere periodicamente riscoperto; infine, il suo “Zebio Còtal” ha avuto l'onore e l'onere di rappresentare la prima paradigmatica uscita della collana “Novecento Italiano” di ISBN Edizioni, nel 2009. “Novecento italiano” è una collana dedicata, vale la pena ribadirlo, alle opere dimenticate per le più disparate ragioni dagli editori e dagli studiosi, diretta da Guido Davico Bonino.

Il romanzo di Cavani è stato, sin qua, poco amato dai lettori e idolatrato dalla critica. Torniamo a leggere un frammento del saggio di Pasolini, apparso a suo tempo per Feltrinelli, per scoprire perché: “[...] il romanzo rustico Zebio Còtal è un piccolo capolavoro. Esso è estremamente letterario: è addirittura, al limite, una variante del poema pastorale: ed è, nel tempo stesso, un estremo, sfinito prodotto del verismo verghiano, filtrato magari attraverso le dannunziane Novelle della Pescara, e, ancora, l’ideale del romanzo ermetico – che non è mai stato scritto – tutto «poetico». Malgrado questi vizi che ce lo fanno così vicino e riconoscibile, in realtà Zebio Còtal resta misteriosissimo. Quale sia la forza colloidale e sfumante che presiede a questa lingua, a queste pagine, è difficile dire: essa appartiene in gran parte agli strati dell’ineffabilità”.

Secondo il curatore dell'edizione ISBN, Davico Bonino, “Zebio Còtal” ha “il respiro dell’Epica antica e la tensione tragica dell’antico Teatro. Esso è un’epopea della miseria contadina ed una tragedia degli affetti familiari”. Il lettore, a questo punto, può cominciare a orientarsi. Il dimenticato piccolo grande libro di Guido Cavani è un romanzo d'ambiente agreste, dal respiro atipico: è la saga d'una famiglia di miserabili caratterizzata da una lingua letteraria atipica, seducente e insolita per il genere. Probabilmente una delle ragioni della grande fascinazione critica per le vicende di Zebio, di sua moglie e dei loro molti figli sta in questo. A ciò s'aggiunga che c'è qualcosa che dorme nelle coscienze e nei pensieri di tanti intellettuali e tanti letterati italiani, allora come oggi, cinquant'anni dopo la prima edizione commerciale del libro di Cavani: ed è la memoria dei sacrifici, delle difficoltà, della bellezza, della grettezza e della poesia della vita dei campi, e della cultura dei braccianti. Cavani riesce a strapiombare il lettore nelle dinamiche distruttive e lunari d'una famiglia esemplare, nella campagna modenese d'antan, e tuttavia la letterarietà della sua rappresentazione è così grande e ricercata che sembra sgretolare ogni istanza tardoverista o neorealista.

Il lettore s'attende un romanzo di denuncia ideologica o ben ideologizzata, si ritrova un romanzo di denuncia ideale e di pietà e compassione per le sorti degli esseri umani, e per la diaspora dei vecchi abnormi nuclei famigliari, e di limpida spiegazione dell'origine d'un certo crudo fatalismo. Zebio Còtal è uno che crede che le difficoltà possano essere superate semplicemente trascurandole. È un approccio assurdo, ma ha una causa: “La sua vita, del resto, era stata un continuo ignorare il perché delle cose, anche delle più semplici; di conseguenza, le ragioni chiare, precise, lo irritavano. Non sapeva in realtà che obbedire a se stesso, ma non voleva assolutamente attribuire a questa cieca obbedienza tutti i mali che ne derivavano. Questi mali, secondo lui, erano delle forme astruse che gli si piantavano davanti per togliergli la luce del sole. Più scendeva, più la realtà delle cose gli amareggiava l'anima, più cresceva in lui il bisogno di abbandonarsi al destino” [p. 115].

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Barberi Squarotti, come altri lettori dell'opera, ha dato grande risalto al talento per le descrizioni dell'artista modenese. La scrittura di Cavani è estremamente visiva; i personaggi vengono tratteggiati con sensibilità pittorica, e grande vivacità. Così, ad esempio, un vecchio che sbuca dalla contrada, minacciando con un bastone alzato i ragazzi: “Aveva la faccia e le mani color di terra secca: il suo corpo era come perduto nei cenci che lo coprivano: i suoi piedi scalzi erano bianchi di polvere: camminava adagio, come le ombre, appoggiandosi con una mano al bastone e con l'altra tenendo ferma contro il petto l'imboccatura del sacco che gli pendeva dalle spalle. Un cappello senza più forma, senza più colore, gli scendeva fin su gli occhi; aveva al collo un mucchio di medaglie legate con dello spago” [p. 9].

Ecco una vecchia, a guardia d'un branco d'oche, che ci viene incontro. Sta filando. “Era alta e ossuta; dal fazzoletto rosso che le copriva il capo le scendevano sulle guance ciocche di capelli bianchi; aveva due occhi grigi, che sembravano di vetro e la pelle della faccia e delle mani incartapecorita e giallastra. Per togliere i bruscoli dalla matassa attorcigliata alla rocca, brucava la canapa come le pecore brucano l'erba. Il fuso prillato scendeva vorticosamente fino all'altezza dei piedi, poi risaliva, condotto dalla mano, lungo la gamba, per far su il filo” [p. 99].

Questa, invece, è la prima apparizione di una delle figlie di Zebio, Glizia: “Era piccola e massiccia; aveva i piedi malfatti; indossava un sottanino stretto che le arrivava alle ginocchia, lasciando scoperte due gambe tozze, color rame. Il seno sviluppato era troppo alto rispetto al ventre; aveva una testa così tonda che dava l'idea che fosse anche dura, sebbene le girassero attorno due morbide trecce di capelli castani. I lineamenti del volto erano volgari: fronte bassa, occhi celesti senza espressione, naso rincagnato, bocca piccola, labbra carnose” [p. 17].

Discrete le descrizioni psichiche, tendenzialmente sintetiche: “Il vino, come al solito, lo tradiva, togliendogli il senso della realtà e aggrovigliandogli tutte le ragioni che aveva nel cervello” [p. 34]. Già, il vino. L'alcol è uno degli elementi principe del romanzo. La sciagurata sorte di Zebio è puntinata di litanie d'avvinazzato. Il suo mondo – il suo clan famigliare, e il suo sistema – si sgretolano, e il colore di quella rovina è rosso, è rosso come un buon vino.

Buona riscoperta.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Guido Cavani (Modena, 1897 - 1967), poeta e scrittore modenese. Soldato nella Prima Guerra Mondiale, lavorò in tipografia, in libreria, in amministrazione comunale come guardia prima e come bibliotecario poi.

Guido Cavani, “Zebio Còtal”, ISBN, Milano 2009. Collana “Novecento Italiano”, 2. Con uno scritto di Guido Davico Bonino.

Prima edizione: 1958, autoprodotto in 200 esemplari. Quindi, 1961, Feltrinelli, nella “Biblioteca di letteratura” diretta da Giorgio Bassani, con prefazione di Pier Paolo Pasolini. Quindi, Giunti 1996. Quindi, Covilarte, 2008, con prefazione di G. Barberi Squarotti.

Gianfranco Franchi, novembre 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.