Un amore dell’altro mondo

Un amore dell'altro mondo Book Cover Un amore dell'altro mondo
Tommaso Pincio
Einaudi
2002
9788806220198

“E c'era forse un buco più grigio di Aberdeen al mondo? Non faceva che piovere da quelle parti, veniva giù acqua come tagliavano alberi. Che a parte la pioggia era l'unica cosa che ti poteva venire in mente di dire su quel fantasma di città” (p. 8). Pioveva tutte le notti. Diceva Kurt che l’America era piena di cittadine come Aberdeen. Krist Novoselic spiegava meglio: “In tutto il mondo, davvero. Piccoli posti isolati con una specie di coscienza collettiva: la gente tira avanti e non sa assolutamente che cosa stia succedendo nel mondo, nella vita… in ogni campo”. È da una città come quella, dimenticata da Dio, costretta alla sopravvivenza da periodiche recessioni economiche, anestetizzata dall’alcol e dalla propaganda liturgica della speranza, che ha avuto origine il fenomeno musicale e mediatico dei Nirvana di Kurt Cobain.  

Homer Boda Alienson non ha ancora pensato di ammazzarsi. Odia il cielo sempre grigio di Aberdeen. È stato un bambino che si divertiva a collezionare giocattoli spaziali: identici tra loro, a volte. Più avanti, sarebbe campato (anche) rivendendo quelle astronavi. Era un bambino che soffriva per le litigate tra i suoi genitori. Soffriva per l'odio che respirava in casa. Soffriva tremendamente per la loro successiva separazione. Aveva cercato, per questo, di ridurre al minimo le interazioni. Si era ammalato di una sorta di volontaria insonnia, eternata dalla caffeina, durata quasi vent'anni. Pensava non ci fosse più rimedio: sin quando non aveva cominciato a respirare ribellione sui muri della città. “Dio è gay”, “Nixon ha ucciso Hendrix” erano messaggi che significavano opposizione “al cambiamento non richiesto (…), rifiuto della nostalgia indotta (…) qualcosa poteva ancora accadere” (p. 41). Quelle scritte lo avrebbero portato dritto dritto a Kurt Cobain (“mangiare i pesci va bene. Non provano sentimenti come gli altri animali”, p 45), suo creatore o forse sua creazione immaginaria. Kurt solidarizza coi suoi problemi di insonnia e condivide il suo malessere per le vicende famigliari d'infanzia. Propone una prima soluzione. In bustina. È droga che aiuterà Boda a sistemizzarsi: a essere parte della società, del sistema, senza più sentirsi alienato.

“Era perfetto. Era rilassato. Era sospeso. Era bianco. Era tutto. Era al sicuro. E capì. Capì. Adesso capiva di avere passato una vita a preoccuparsi e a proteggersi. Capiva di aver sprecato i suoi anni migliori a guardarsi dalla gente, dal mondo, dai diversi. Capiva che non c'era niente di cui preoccuparsi, tutto sommato. Cosa potevano fargli? Chi mai avrebbe potuto fargli qualcosa? Perché si era preoccupato così tanto? Perché era stato così in tensione? Le angosce di una vita gli parvero d'un tratto incomprensibili” (p. 69).

Boda incontrerà un amore assurdo e grottesco – lavorando dove non avrebbe dovuto, sopravvivendo a sé stesso, alla sua Aberdeen che non aveva senso, e non gli avrebbe dato niente; Kurt diventerà una rockstar capace di scegliere il nome della band su un dizionario, e di riconoscere il principio della fine sin dalle prime battute. Kurt odierà la commercializzazione e la mercificazione delle sue idee, dei suoi sentimenti e della sua sofferenza, e non saprà opporvirsi; Boda, segnato sin dall'infanzia dalla visione de “L'invasione degli ultracorpi”, confonderà normalità e diversità vellicando l'illusione d'un amore, e d'un'esistenza, proveniente da un altro pianeta.

La fine della storia è quella che tutti conosciamo. Non serve raccontarla, è stata condivisa e vissuta quindici anni fa. Pincio restituisce memoria e centralità agli anni della prima Guerra del Golfo (con tanto di invasione mediatica: cfr. questione di Melissa) e della prima serie di Twin Peaks di Lynch, prendendosi gioco dell'America e dell'Occidente, e cantando tutto il malessere di una generazione (più onestamente: di parte, di una minima parte della generazione) che per fame d'amore s'è autodistrutta, e per male di vivere ha preferito annientarsi.

È un libro destinato a fare la gioia di tutti i fan dei Nirvana e di Cobain, e di tutti quei lettori che non sentono più nessuna differenza tra la narrativa italiana e quella americana. Sembra un romanzo tradotto, per quanto è a stelle e strisce; nell'ambientazione, nei dialoghi, nel tessuto della narrazione, nei riferimenti culturali (nuovamente Dick, post “M.”); paradossalmente è romano, e chissà – se avessimo la forza o la fantasia di leggerlo come un'allegoria della fatiscenza degli ideali degli anni Novanta, allora potremmo aver voglia di ambientarlo magari a Bravetta, e non nella cupa e americana cittadina di Aberdeen. Sarebbe, considerando il dna culturale ed estetico di Pincio, fantascienza. In ogni caso, l'intuizione geniale di fondare un romanzo sull'esistenza in vita dell'amico immaginario di Kurt, Boda – e di poggiare la narrazione sul dubbio di chi sia immaginario – rimane. E rimane scolpita nella mia, e nella nostra immaginazione.

Lussuoso tributo letterario a un'icona rock che niente potrà scalfire, nemmeno le faide tra eredi e le plastificazioni catodiche (o: editoriali). Da leggere.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Tommaso Pincio, pseudonimo di Marco Colapietro, (Roma, 1963), scrittore italiano. Ha studiato all'Accademia di Belle Arti. Ha fatto l'assistente per vari pittori, italiani e americani. Ha esordito pubblicando “M.” nel 1999. Collabora con “Repubblica”, “Manifesto” e “Rolling Stone”.

Tommaso Pincio, “Un amore dell'altro mondo”, Einaudi, Torino 2002. Collana Stile Libero.

Gianfranco Franchi, maggio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Lussuoso tributo letterario a un’icona rock che niente potrà scalfire, nemmeno le faide tra eredi e le plastificazioni catodiche…