Tiro mancino

Tiro mancino Book Cover Tiro mancino
Charles Willeford
Marcos Y Marcos
2005
9788871684246

Stanley, trent'anni di catena di montaggio sul groppone, si ritira in Florida. Vive una tranquilla vita da pensionato, irritandosi soltanto quando qualcuno non compra macchine americane – ha mantenuto intatto il culto della Ford – sincronizzato con sua moglie Maya. Un bel giorno, la piccola Pammi, nove anni, vicina di casa, si presenta a sorpresa; si spoglia e chiede qualche centesimo in cambio. Lui resiste, naturalmente, ma qualcosa non va per il verso giusto. In quel momento arriva sua moglie, e pensa subito molto male. Il papà di Pammi non la prende bene. Pesta il vecchio Stanley e chiama le guardie. Galera. In gabbia, si ritrova con un certo Robert Smith, alias di Troy Louden. Troy non è una bellezza: labbra grandi e spesse, naso rotto e sistemato male, un tic abbastanza ridicolo, una strana aria da rettile.

"Sono un criminale professionista – dichiara – uno psicopatico con tendenze criminali. Vorrebbe dire che sono in grado di distinguere la differenza tra il bene e il male, ma che non me ne frega un cazzo" (p. 63). In realtà, semplicemente, è uno a cui non gliene frega niente del male o del bene.

"Sono un uomo d'azione, non di pensiero. Mi considerano incapace di esprimermi, così mi tocca parlare un sacco per mascherare la cosa. Basta guardare a un passato neanche tanto lontano per vedere come l'America ha prodotto un discreto numero di gente come me. Sam Houston, Jack London, Stanley Ketchel, Charlie Manson, Jack Black" (p. 123). Nelle poche ore che Stanley passa con lui, Troy gli dà un incarico. Una questione da poco, sembra: consegnare un messaggio scritto a un tizio che ha avuto qualche incomprensione col suo amico Troy, diciamo così. La commissione verrà eseguita, e Troy uscirà di galera. Stan torna a casa, il papà di Pammi si scusa, ma è troppo tardi. Sua moglie ha fatto le valige e se ne è andata, i vicini di casa pensano sia uno sporcaccione. Non c'è problema, almeno per quanto riguarda loro: "Di questa gente non poteva fregargliene di meno. Non li conosceva, non voleva conoscerli, non voleva sapere i fattacci loro. Fossero stati colleghi di lavoro, o roba del genere, magari avrebbe provato interesse per le loro questioni private; ma di certo non gli importava di queste donne di casa, né dei loro mariti, né dei loro rumorosi figlioli" (p. 98).

Troy, uscito di prigione, va a cercare il vecchio Stanley. Fraternizzano. E Troy, già che c'è, si spende in lezioni di vita: "Vecchio mio, sei tondo e liscio come un'agata. Sono settantun anni che te ne stai in quella sacca, amico. Potrebbero mostrarti alla TV come il perfetto esempio di maschio americano. Sei figlio di un immigrato polacco, hai lavorato tutta una vita per una grande industria, cioè il volto indifferente del capitalismo. Tuo figlio è un venditore di macchine che non vale una cicca, e il tuo matrimonio è il tipico matrimonio infelice e asessuato. E per finire, una splendida vita da pensionato in Florida, la terra del sole" (p. 124). E così convince il vecchio a partire per Miami, suo ospite. Chiaramente, sta cercando di trascinarlo dalla parte delle forze del male. All'orizzonte, c'è una rapina. Fermiamoci qua.

L'altro piano narrativo è quello dedicato all'investigatore protagonista di una saga, Hoke Moseley: questo libro – leggo – è il penultimo della serie. Commentava Maurizio Marsico su "Pulp", nel 2005: "Viva Hoke, investigatore della Omicidi con dentiera, homesitter itinerante, ragazzo (si fa per dire) padre, neodivorziato, collega di una poliziotta cubana incinta (Ellita Sanchez) nonché coinquilino della stessa. In questa penultima puntata della saga willefordiana, Hoke schiatta per lo stress. Una mattina collassa sulla sdraio e torna a casa da papà. Non vuole più saperne, né di crimini né di casi irrisolti – preferisce piuttosto fare il portinaio in una proprietà di famiglia in canottiera e boxer da bagno. Peccato, però, che i delitti non dormano mai e i piani criminosi idem. Così, nell’inconsueta struttura di questo romanzo, convivono due racconti paralleli che convergono (solo) nel gran finale, quasi casualmente. Da una parte c’è la cronaca dell’esaurimento psicofisico del sergente Moseley (e relativa riabilitazione) seguita passo passo, mentre contemporaneamente scorre tutta un’altra storia che incrocia le vicende del Nostro (soltanto) nelle ultime pagine del libro".

Ecco – personalmente mi sono appassionato all'altra storia. Le ragioni sono logiche: non conoscevo affatto la saga di Hoke, e ho faticato a trovare appassionanti le sue evoluzioni. In compenso, tutto quel che ha riguardato le grottesche vicende del vecchio Stan e le straordinarie involuzioni della sua esistenza ha saputo catturarmi e divertirmi. Lo stile di Willeford è straordinariamente descrittivo – eccessivamente per quanti, come me, preferiscono immaginare e fantasticare, piuttosto che osservare rappresentazioni metodiche di ogni singolo ambiente o di ogni singolo gesto. I dialoghi, invece, sono scoppiettanti, a un passo dalla crudeltà del maestro Lansdale.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Charles Willeford (Little Rock, Arkansas, USA, 1919 – Miami, Florida, USA 1988), ex vagabondo, ex soldato americano, scrittore, poeta e critico letterario dal 1948.

Charles Willeford, “Tiro mancino”, Marcos Y Marcos, Milano 2005. Traduzione di Luca Conti. Copertina di Lorenzo Lanzi.

Prima edizione: “Sideswipe”, 1987.

Gianfranco Franchi, dicembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.