Storia sociale del telefono

Storia sociale del telefono Book Cover Storia sociale del telefono
Claude S. Fischer
UTET
1994
9788877502865

“Le prime e leggendarie parole di Alexander Graham Bell al telefono, 'Signor Watson, venga qui, ho bisogno di lei', forse non erano così sensazionali come quelle trasmesse da Samuel Morse durante la prima importante dimostrazione pubblica del telegrafo: 'Ciò che Dio ha creato': nondimeno, gli albori della telefonia furono all'insegna del sensazionale” (p. 43).

Dieci anni di ricerche dell'accademico californiano Fischer: argomento, come e quando il telefono è diventato protagonista delle vite quotidiane negli States, dagli albori (1876) sino alla seconda guerra mondiale (1945). Cosa cambia in questo lasso di tempo? Il telefono sostituisce il telegrafo, negli affari; quindi, diventa strumento quotidiano a disposizione delle masse (1878: 10mila apparecchi in uso; 1880: 60mila: 1893, 260mila; 1902: 52% delle città di almeno 4mila abitanti avevano due o più compagnie telefoniche a disposizione; 1927: 15 telefoni per 100 abitanti, una macchina per il 60% delle famiglie). Le vecchie alternative per la comunicazione a distanza (gridare, scrivere) diventano desuete o stravaganti o assumono, nel caso della scrittura, diversa e più ufficiale valenza. Secondo le aziende, l'invenzione (inizialmente, a quanto pare, costosetta: i crolli delle tariffe, già attorno al 1915, servì a guadagnarsi nuovi clienti) del telefono aveva ridotto le distanze tra i cittadini americani; altri studiosi ribadivano che il telefono altro non era se non l'eco della vera comunicazione umana, mostrando non poche perplessità. Certo è che, come scriveva Carolyn Marvin, “Il telefono è stato il primo mezzo di comunicazione elettrico a entrare nelle case e a sovvertire gli abituali criteri di divisione dell'ambito privato e famigliare da quello più pubblico della comunità” (p. 35).

Quindi, in sintesi, focalizziamo quanto accaduto in quel lasso di tempo: “Nel 1875, gli americani che volevano inviare un messaggio dovevano viaggiare o usare un intermediario che viaggiasse; i messaggi erano brevi e a senso unico; la gamma e il volume della comunicazione erano decisamente limitati. Nel 1925 moltissimi americani erano in grado di parlare tra loro in tempi rapidi, a lungo, in modo bidirezionale, da un parte all'altra della loro città o della nazione” (p. 32).

1910. La AT&T finanzia uno studio sul telefono: secondo Kern, infine si scopre che il telefono “ha indotto una nuova abitudine mentale. L'umore pigro e indolente è stato abbandonato (…) la vita è diventata più intensa, agile, vivace” (p. 17). Effetti doppi: quando di angoscia, quando di conforto (dovuto alla conferma di notizie rilevanti sui o dai propri cari, etc). Meyrowitz ha osservato, in seguito (“Oltre il senso del luogo”), che chi chiama al telefono – a differenza di chi scrive lettere – infrange il privato dei cittadini, ascoltando i rumori di fondo, spezzettando il tempo libero e via dicendo; Fischer preferisce, invece, paragonare la conversazione a una visita a sorpresa in casa. Mi sembra appena più invasiva della telefonata: dipende da vari fattori (orari; contesto; educazione; confidenza, etc).

Fischer racconta come gli americani furono educati al telefono, sin dalle prime roboanti dimostrazioni pubbliche: scopriamo che i cittadini furono addestrati a riconoscere necessità e vantaggi del telefono sin dai giorni delle dimostrazioni musicali (“propaganda gratuita”) organizzate da Bell e Watson; quindi, vennero solleticati certi clienti (partiti politici, chiese, aziende) perché si servissero del telefono per fare proseliti (in tutti i sensi); al contempo, si registrò una sorprendente fortuna del mezzo tra gli agricoltori.

Le pubblicità della Bell parlavano di “no service which saves so much time and effort and gives so much pleasure for the money it costs”, e del tuo “cheapest servant”, “servo più economico” (in Italia, restiamo da quelle parti: “Il telefono è il domestico ideale, sempre a portata di mano, preciso, velocissimo ed economico” - anni Trenta. Classismo a manetta). Notevole e pericoloso lo slogan “Non scrivere: la conversazione a tu per tu è più efficace” (p. 86); agghiacciante e falso “Tu sei la tua voce”; prodromico al cellulare “In contatto con il mondo. L'uomo affari è raggiungibile anche quando è in vacanza” (già: era così anche prima dei cellulari). Non mancavano (legittimi) slanci d'orgoglio: “Il servizio telefonico è di pubblica utilità” (1928). Già nel 1937, si cominciava a intravedere la furbata: “Il cammino dell'amicizia segue spesso la traccia dei fili del telefono” (p. 102: per strangolarsi?). Una telefonata era, così, la “promozione” dell'amicizia. Come se non bastasse, la polizia – pensate un po' – incoraggiava a prendere “l'abitudine del telefono”: se uno sospettava la presenza di uno scassinatore in casa, non doveva accertarsene. Doveva telefonare subito in centrale. Le tristi conseguenze di questo imbecille consiglio potrebbero essere confermate da qualunque telefonista della polizia o dei carabinieri, qui in Italia. Voi potete verificarlo quando, una volta ogni 12 anni, avete bisogno di dire loro qualcosa di grave, e di volata. Strana quell'attesa, prima della risposta, eh? E tutti quei dettagli necessari quando siete nel panico... magari hai un minuto, ma devi dire tutto con calma, ripeterlo come se stessi parlando con un deficiente. È che devono accertarsi che non sia uno scherzo, il delirio di un pazzo, l'ansia di un paranoico, e via dicendo. Ormai è così.

Torniamo al tema. In generale, tre erano i concetti-cardine della pubblicità: pratico, funzionale e sociale: ecce telefono. Probabilmente era difficile immaginare che nel 1989 ci sarebbe stato chi, di fronte a bollette pazzesche, avrebbe dichiarato che uno dei miracoli della nostra epoca era stata la commercializzazione della conversazione: perché proprio di questo si è trattato. Della banalizzazione e della commercializzazione delle nostre conversazioni.

All'epoca sembrava già difficile far accettare l'idea che servisse un telefono per evitarsi quattro passi. Come, in effetti, in certi contesti di piccole città dovrebbe e potrebbe essere, a dirla tutta (non nei paesi: le distanze per certe comunicazioni necessarie sono inevitabilmente maggiori; così la frammentazione delle zone abitate, etc). Ma anche come, curiosamente, sembra stia accadendo, negli States, nelle case di certi maschi scapoli. Altrove, non vi stupirà, c'è chi – privato del prezioso medium per un paio di settimane – subito si sente “a disagio” o “isolato”: accade a Manhattan (p. 207), accade nelle nostre città. Prima cosa che fai, appena succede qualcosa di sensazionale, è sincerarti che a casa vada tutto bene, o che ne siano informati. È logico? No.

Nell'America raccontata e analizzata da Fischer i criteri di durata delle chiamate variavano da luogo a luogo, di famiglia in famiglia; esisteva una sorta di galateo (chiamate brevi; bambini lontani dal telefono) che veniva discretamente rispettato. Tutto a un tratto, le donne (per prime) hanno scoperto i talenti sociali (e pettegoli) del telefono e molte cose sono cambiate.

“Reach Out and Touch Someone”: si andava a solleticare il desiderio dei socialità, in certe reclame. Eppure, già nel 1929, c'era chi sospettava che il telefono “incoraggiasse l'impudenza e la villania” e rappresentasse “una minaccia alla solidarietà del vicinato” (p. 9): un professore americano, altrove, scriveva: “Grazie al telefono, all'automobile e a invenzioni simili, i nostri vicini hanno il potere di trasformare il nostro tempo libero in una serie di interruzioni, e più tempo libero essi hanno, più si applicano a distruggere il nostro” (p. 246).

Non aspettatevi che Claude Fischer sia di questo avviso: il libro è sponsorizzato dalla Telecom, qualcosa vorrà dire. Trascurate, a meno che non siate sociologi, tutte le sue osservazioni (molte) sul parallelismo automobile-telefono; sono a dir poco forzate, e non eccessivamente centrate. Almeno: non mi hanno trasmesso altro che disorientamento e perplessità. Si tratta di strumenti ben diversi. Cos'hanno in comune? La fortuna contemporanea. Un po' poco.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Claude S. Fischer (Paris, France 1948) insegna Sociologia a Berkeley.

Claude S. Fischer, “Storia sociale del telefono. America in linea 1876-1940”, Utet, Torino 1994. Prefazione di Chiara Ottaviano. Traduzione di Alessandra Lorini.

Prima edizione: “America calling. A Social History of the Telephon to 1940”, California, 1992.

Gianfranco Franchi, maggio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.