Storia della mia gente

Storia della mia gente Book Cover Storia della mia gente
Edoardo Nesi
Bompiani
2012
9788845270222

Il fantasma di Francis Scott Fitzgerald infesta questo romanzo. È lo spettro della decadenza economica, sociale e politica d'una generazione, e d'una nazione, che non credevano di poter ritrovarsi a camminare sull'orlo del baratro con tanta facilità, e tanta impotenza. Chi scriveva questa storia leggeva Fitzgerald nel momento giusto; forse inconsciamente, o forse con un pizzico di malizia. Stiano come stiano le cose, in ogni caso questo è un libro che fa male, fa piangere di rabbia e di tristezza, fa sperare in qualcosa di diverso – nel popolo che torna a camminare per le strade, rivendicando giustizia, dignità, lavoro e diritti.

“Storia della mia gente” (Bompiani, 2010) è il memoir dello scrittore, regista, traduttore (David Foster Wallace) ed ex imprenditore tessile Edoardo Nesi, pratese, classe 1964. Uno che aveva capito che all'Italia non conveniva affatto sprofondare nel disordine dell'apertura mondiale degli scambi commerciali, “e non per ragioni ideologiche ma per puro pragmatismo, per la semplice paura che a gran parte dell'Italia non solo non convenisse ma potesse persino risultare letale” (p. 56). Da qui sarebbe derivata la precarietà del lavoro: quindi, la cancellazione del lavoro stesso, previ licenziamenti e cassa integrazione. “I soldi che oggi risparmiamo comprando i prodotti cinesi sono quegli stessi soldi che servivano a pagare gli stipendi degli operai italiani, i mutui delle loro case e le loro pensioni, i loro ricoveri in ospedale, le scuole dei loro figli, le loro macchine e i loro vestiti. La loro vita, la nostra vita” (p. 142).

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L'azienda tessile famigliare, fondata da Omero e Temistocle Nesi, è stata venduta da Edoardo nel 2004. Era stata fondata “non tanto per il presente quanto per il futuro, per i figli che sono nati e per quelli che verranno”: la terza generazione di imprenditori Nesi, quella di Edoardo, Federico e Lorenzo, era quella alla quale “era stato promesso il mondo”. Non c'erano limiti diversi da quelli che ciascuno di loro si voleva imporre: se uno aveva capacità, coraggio e forza d'animo sfondava, punto.

Edoardo passò molte estati in America, come fuggendo dal suo “destino già scritto”, dalla sua vita pratese: passò per Harvard, si ritrovò a Firenze, a studiare Legge. Durò poco. Subito in azienda. L'apprendistato, che doveva servire a conoscere tutti gli aspetti del lavoro in fabbrica, “in pratica ti fa passare anni preziosi a farti coccolare dagli operai e a svolgere senza grande impegno mansioni minime dalle quali si impara poco o nulla: fui assistente reparto materie prime, assistente allupino, assistente magazziniere, assistente commerciale. Assistente a tutto, pareva” (p. 18).

Dall'apprendistato alla dirigenza il passo è breve. Nesi fa esperienza. A trent'anni si ritrova sposato, presto padre, il primo romanzo in stampa. Pensa che il mondo sia suo. Pochi anni più tardi, l'azienda sparisce: venduta. Assieme alla sua storia. Storia di un'azienda risorta dalle sue ceneri alla fine della Seconda Guerra Mondiale, post distruzione idiota per mano nazista; rinata vendendo coperte, e poi stoffe – principalmente, paradosso ma non troppo, alla nuova Germania. Ecco il boom.

“Immaginate un prodotto che per trent'anni non ha bisogno di essere cambiato. Immaginate un'azienda che fabbrica solo quel prodotto e, se soffre di un problema, è quello di non riuscire a produrne abbastanza per soddisfare un mercato così ampio e vitale da rendere trascurabile l'impatto della concorrenza. Immaginate di poter rimettere gli orologi sulla puntualità con cui le fatture venivano pagate a dieci giorni, nessuna contestazione, nessuna trattenuta per reclami ingiustificati, nessun fallimento, con assegni che ogni mattina arrivavano per posta dentro letterine quadrate color pastello. Azzerate ogni costo di ricerca e sviluppo, di fiere, di pubblicità, di consulenze stilistiche. Cancellate il concetto di rimanenza di magazzino. Ridete a crepapelle dell'idea di dover assumere un dirigente esterno per fare il lavoro che svolgete perfettamente voi” (p. 26).

E tutta Prato si fondava sull'industria tessile; e tutta Prato aveva fortuna economica – la distribuzione della ricchezza, se non equa, era certamente capillare. Non è poco. Il rumore della tessitura, scrive Nesi, era il canto più antico della città: era la ninnananna dei bambini (p. 94).

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Le cose adesso son un po' diverse. C'è chi cerca di chiudere senza rimetterci tutti i guadagni di una vita, ci sono migliaia di lavoratori che perdono o hanno perso il posto, e Nesi osserva la decadenza e la distruzione d'un sistema con il disperato idealismo di chi sogna che sia la cultura a salvare l'Italia. “Sarebbe un sogno. Se i romanzi e i film e i quadri e le poesie e le opere e le canzoni e persino la moda – sì, anche la moda – potessero aiutare tutti a non perdere il lavoro e a non scivolare prima nella depressione e nella povertà” (p. 49). Oppure, come gli dice Richard Ford, amico di Raymond Carver, spera che “alla fine, in qualche modo, l'economia soccomberà a un atto dell'immaginazione” (p. 77).

Intanto, Nesi vive scrivendo, ripetendosi – come fosse un mantra – che vivere “senza lavorare” è un grande privilegio. Ma ha capito che non potrà durare per sempre. Che molto presto avremo un duro prezzo da pagare. Tutti. Le nostre aziende hanno goduto di tutta una serie di circostanze “straordinariamente favorevoli e irripetibili”, la loro è stata “una lunghissima e fortunatissima cavalcata sull'onda di una crescita epocale che era nata dalle rovine del dopoguerra e aveva trasportato tutti, capaci e incapaci, industriali e dipendenti, ben oltre i loro limiti” (p. 137). Altro che capitani d'industria: erano artigiani, pronipoti di artigiani. E adesso non c'è quasi più niente. Siamo per tornare alle vecchie botteghe. Speriamo di poterle tenere in piedi. Con dignità.

La sua Prato, un tempo orgoglio tessile d'Italia, sconfitta dalla “libera circolazione mondiale dei tessuti cinesi”, è oggi sede di una delle comunità cinesi più grandi d'Europa: una comunità che “si mantiene e prospera arruolando manodopera clandestina e confezionando capi d'abbigliamento con tessuti che importa dalla Cina, perché i tessuti prodotti dai pratesi son troppo cari, e ha tutto il diritto di marchiare i propri cenci Made in Italy” (p. 106).

L'incubo di Nesi è che prima o poi, per disperazione, i disoccupati italiani e gli sfruttati – sino all'osso – lavoratori cinesi si ritrovino a darsele di santa ragione, senza capire bene perché. La speranza è che l'economia turbocapitalista venga distrutta prima. Prima la distruggiamo prima risorgiamo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Edoardo Nesi (Prato, 1964), scrittore, regista e traduttore (“Infinite Jest”). Ex imprenditore.

Edoardo Nesi, “Storia della mia gente”, Bompiani, Milano 2010. 156 pp, euro 14.

Gianfranco Franchi, maggio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Memoir dello scrittore, regista, traduttore (David Foster Wallace) ed ex imprenditore tessile Edoardo Nesi…