Sono una snob?

Sono una snob? Book Cover Sono una snob?
Virginia Woolf
Piano B Edizioni
2011
9788896665244

“Ma non possiamo avere alcuna compassione. Il destino saggiamente ce lo vieta. Se i figli, già stremati come sono dalla sofferenza, dovessero accollarsi anche questo peso, aggiungendo nella loro immaginazione altri dolori oltre ai propri, non si costruirebbero più palazzi; le strade tornerebbero sentieri erbosi; sarebbe la fine della musica e della pittura; solo un enorme sospiro si leverebbe al cielo, e le uniche risposte rimaste agli uomini sarebbero l'orrore e la disperazione. Fortunatamente, c'è sempre qualcosa che ci distrae: un organetto che gracchia all'angolo dell'ospedale, un negozio di libri e cianfrusaglie, la smorfia curiosa di un cane o di un gatto […]. Oggi, solo i pigri e i falliti dispensano compassione”. (Woolf, “On Being Ill”).

Scritti laterali e minori di Virginia Woolf, tradotti da Antonio Tozzi per una nuova edizione pop della Piano B di Prato: questo è “Sono una snob?”, un'antologia di otto saggi restituiti allo sguardo e allo studio dei lettori italiani nella primavera 2011, nell'ottima collana “Elementi” - in cui abbiamo già apprezzato, negli ultimi mesi, un must come “Uomini non sudditi” di Thoreau, “Amicizia” di Emerson e il divertente “La filosofia dell'ombrello” di Stevenson.

Veniamo subito a qualche annotazione per ognuno dei pezzi più interessanti di questa edizione. “Sono una snob?”, originariamente scritto nel 1936 e pubblicato postumo nel 1976, nella raccolta “Moment of Being”, è un testo nato per il suo snobissimo memoir club: la Woolf si presenta come una “semplice scribacchina”, “peggio: una sognatrice dilettante”, una né carne né pesce: i suoi ricordi non hanno valore, da un pezzo nessuno vuole più sedurla e non c'è un ministro che venga mai a domandarle un consiglio. E allora, per capriccio, l'artista si concentra su un aspetto minore della sua identità: su una domanda vezzosa. È forse una snob? Eh. Sosteneva Virginia Woolf che l'essenza dello snobismo fosse il desiderio di fare colpo sugli altri: di stupirli e di incutere loro rispetto e soggezione. La scrittrice ammetteva d'essere una snob da salotti sfavillanti e da feste del bel mondo: e che la sua vanità d'artista fosse prevalentemente snobistica. Ne deriva, come vedrete, discreta aneddotica.

“Sulla malattia”, apparso sul “New Criterion” nel gennaio 1926, è una meditazione sulle epifanie delle malattie in letteratura: la Woolf osserva che al di là di poche eccezioni (De Quincey nelle “Confessioni di un mangiatore d'oppio”, qualcosa di Proust) la letteratura sembra concentrarsi sulla mente più che sul corpo. Per l'artista inglese è un peccato, per diverse ragioni. Una di queste è che quando siamo malati diventiamo sinceri come bambini: “si svelano certe verità che la cauta rispettabilità dell'uomo sano nasconderebbe”, ammette la scrittrice. Un'altra è che durante la malattia le cose incomprensibili hanno su di noi un potere enorme, “e forse più legittimamente di quanto non possano concedersi i sani”. Ecco la poesia: “Nella malattia, liberi da ogni sorveglianza […], le parole liberano tutta la loro fragranza e distillano il loro profumo, sussurrano come le foglie, ci ricoprono di luci e d'ombre”. Non male.

“A zonzo per le vie di Londra”, originariamente apparso sulla “Yale Review” nell'ottobre 1927, apparso postumo nel volume “The Death of the Moth” nel 1942, è un gioco sul piacere del vagabondaggio per le strade della capitale inglese, magari al tramonto, naturalmente d'inverno, complici l'effervescenza di champagne dell'aria e le strade stracolme – in quelle strade è stupendo confondersi nella massa, sprofondare nell'anonimato. La fantasia dell'artista è così grande, e così dolce la sua sensibilità, che basta andarsene in cerca di una matita per vivere un'avventura di quelle memorabili, piena di incontri tutto a un tratto non più quotidiani e spiccioli, ma assolutamente letterari.

Poi c'è “L'attimo: una sera d'estate”, apparso postumo in “The Moment and Others”, nel 1948: è una meditazione lirica e discretamente scolastica sulla coscienza di ciò che accade, e sull'intensità del presente. Non particolarmente memorabile. Stesso discorso vale per “La morte della falena”, pezzo protagonista della raccolta postuma “The Death of the Moth” che abbiamo già incrociato: sintetico, poetico, un po' manierista. Non rimane impresso.

“Il committente e il croco”, invece, pubblicato per la prima volta in “Nation & Athenaeum” nel 1924, è una interessante meditazione sul mercato inglese d'antan, e sulle possibilità di assumere tanti diversi ruoli come autrice, e come artista: “C'è la stampa quotidiana, la stampa settimanale, la stampa mensile; il pubblico inglese e il pubblico americano; il pubblico dei bestseller e quello dei libri che non vendono; il pubblico intellettuale e quello più passionale”: ognuno di questi pubblici è un potenziale committente. E se uno ha l'animo gentile di chi si commuove scoprendo il primo croco nei giardini di Kensington, poco cambia. Deve pensare comunque a cosa scrivere, per chi, e per quale prezzo. Tenendo presente che per l'autore è la prova più importante, questa, cercare il committente giusto: “Sapere per chi scrivere significa sapere come scrivere”. Vero. Oggi come allora. Non è questione di snobismo...

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Virginia Woolf (Londra, 1882 – Rodmell, 1941), scrittrice e saggista inglese.

Virginia Woolf, “Sono una snob?”, Piano B, Prato, 2011. Traduzione di Antonio Tozzi.

Prima edizione: “Am I a snob?”, postumo, 1976; “Street Haunting: a London Adventure”, 1927 in rivista; “The Patron and the Crocus”, 1924 in rivista; “The Mark on the Wall”, 1917 in “Two stories”; “On Being Ill”, 1926, in rivista; “The Moment: Summers' Night”, postumo, in raccolta, 1948; “Thoughts on Peace in an Air Raid”, in raccolta, 1942; “The Death of the Moth”, postumo e in raccolta, 1942.

Approfondimento in rete: WIKI / Virginia Woolf Society

Gianfranco Franchi, marzo 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.