Silvia Bellucci e l’arte dell’ufficio stampa

copyright Luca Linzalata

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L‘ufficio stampa è un mestiere delicato, funambolico e proteiforme; è un lavoro da stakanovisti. Cosa significa studiare un lancio? Cosa significa “stare appresso” a un libro? Quanto dura la dedizione a un libro fresco di stampa? Che significa “diventare” una casa editrice? Come si informa un ufficio stampa, cosa legge ogni giorno, dove si aggiorna? A raccontarci la delicatezza e la complessità del ruolo è Silvia Bellucci, pisana, romana d’adozione; classe 1988, alle spalle un master in editoria e comunicazione, ha iniziato a lavorare a 23 anni dedicandosi a Valigie Rosse, un “catalizzatore di idee”, “braccio poetico” del famigerato Premio Ciampi Livorno; poi è passata a Caravan Edizioni, marchio consacrato agli esordienti sudamericani; quindi, ha lavorato per una casa editrice di culto come Exòrma, dove è rimasta per circa due anni e mezzo, fino a fine 2017. Dal gennaio 2018, è responsabile ufficio stampa e comunicazione di Tunuè.

Silvia, che differenza c’è tra uno spedizioniere e un ufficio stampa? Cosa significa studiare un lancio?

È un po’ la differenza che c’è tra tirare del grano in un terreno e sperare che ne nasca qualcosa oppure valutare il tipo di campo e poi decidere se seminare lì o altrove. Studiare un lancio richiede attenzione: parto dal valutare il titolo che mi trovo tra le mani, la tipologia, il genere, i temi trattati, valuto l’attualità e l’interesse. Studiare eventuali ricorrenze o appuntamenti affini a quello che si vuole promuovere è un’altra parte fondamentale del lavoro. La prima cosa che faccio è stilare una lista dei media che si vogliono andare a intercettare, poi mi segno dei nomi di critici e giornalisti che ritengo possano sentirsi coinvolti e interessati a parlare di quel determinato volume. Nello stesso modo cerco di contattare blogger e influencer. Naturalmente l’unico modo di individuare la persona giusta è leggere quotidianamente ciò che scrive e conoscere la sua posizione e il suo interesse. Mandare un libro alla persona sbagliata comporta non solo il fallimento di quell’azione, ma potrebbe compromettere l’interesse del giornalista/critico letterario/blogger verso quella realtà editoriale che lo ha pubblicato. Dopo delle e-mail, qualche messaggio whatsapp per dire che ho mandato una e-mail e alcune chiamate per dire che ho mandato un messaggio whatsapp in cui dicevo che avevo mandato una e-mail… quando ho un riscontro positivo, spedisco il libro.

Cosa significa “stare appresso a un libro”? Quanto può durare la tua dedizione a un libro e uno soltanto? Quando comincia, e quando finisce?

Inizia tutto nel momento in cui il direttore mi comunica il piano editoriale, è lì che mi faccio un’idea delle cose su cui andrò a lavorare. Man mano che ci si avvicina alla data di uscita del titolo in libreria si entra sempre più nel dettaglio: si prepara la cartella stampa con il comunicato che vada a evidenziare i temi d’interesse, qualche estratto, tavole (nel caso di graphic novel o libri illustrati), per i libri in traduzione si inseriscono alcuni strilli dalla stampa estera e la cover del volume. La partenza della comunicazione – compatibilmente con i tempi della produzione – deve essere molto precisa per far sì che si parli del volume nel momento esatto (meglio ancora qualche giorno prima) dell’uscita in libreria. Se, al momento dell’uscita, un libro non ha sufficiente attenzione dalla critica e dalla stampa, data la grande quantità di pubblicazioni che affollano gli scaffali, rischia di”non muoversi” (leggesi “non essere venduto”) e di finire prematuramente in resa. Un altro dei motivi che rendono i ritmi dell’addetto all’ufficio stampa molto serrati è la continua ricerca da parte di giornali e riviste della novità: pressati dal grande numero di titoli che vengono pubblicati, i giornalisti si interessano al volume solo se il titolo non è ancora presente in libreria, difficilmente si riscuote interesse dopo. Il periodo di fuoco della comunicazione si ha nei quattro mesi a cavallo dell’uscita, ma se il libro continua a riscuotere attenzione anche dopo ne siamo tutti più che felici. Naturalmente la promozione non è incentrata solo sui media, ma comprende anche i premi e le presenze dell’autore in fiere di settore e festival.

In questi tuoi primi anni di carriera, hai lavorato per una casa editrice elegante e piena di personalità come Exòrma, per una casa editrice estremamente connotata come la sudamericana Caravan, adesso sei in Tunué, forse nel periodo di maggior ambizione della casa editrice. Quanto è stato difficile interiorizzare, ogni volta, un’identità editoriale così pronunciata? Cosa significa diventare l’immagine di una casa editrice?

Effettivamente sono realtà molto diverse tra loro, il passaggio da una all’altra è stato ogni volta stimolante, non difficile. Entrare a lavorare per Tunué è stato un bell’impatto, il fumetto è un vero mondo a parte, ma allo stesso tempo questa casa editrice si occupa anche di narrativa, quindi ho mantenuto un piede in ciò che ho sempre seguito. Il campo dei graphic novel è stata una vera e propria sorpresa, non me ne ero mai occupata prima e devo dire che mi sono molto appassionata. Certo non è stato subito facile, anche perché rispetto al mio precedente lavoro il quantitativo di titoli da seguire si è quintuplicato, ma devo dire che è stata una sfida eccitante. Quando fai da ponte tra una realtà editoriale e il mondo esterno è importante conoscere tutto della casa che rappresenti, per questo sono fondamentali le riunioni con i colleghi e con il direttore editoriale. Si deve sapere da dove si viene e dove si vuole andare per saper valutare tutte le occasioni di promozione che possono interessare quella realtà.

Che differenza c’è tra i critici letterari, i giornalisti culturali e i blogger? Quante lingue diverse devi parlare? Quanto cambia il lessico, quanto e come i tempi? Quanto la professionalità?

È un lavoro che ha regole semplici: saluti, usi il condizionale, ringrazi a prescindere e ti congedi. Messe in campo queste piccole accortezze e capito che serve disponibilità e attenzione, è un lavoro che si può fare in molti modi e non è mai uguale. Ogni interlocutore è un caso a sé, il tipo di linguaggio dipende sia dal rapporto che si ha, sia dal tipo di interesse che quel critico/giornalista/blogger può avere nei confronti della proposta.

Che significa che un ufficio stampa deve fare scouting, ogni giorno? E a quale livello? Vale soltanto per critici, giornalisti e lettori forti (in genere) o vale anche per gli artisti e gli addetti ai lavori?

Siamo quelli che fanno da ponte tra la casa editrice e il mondo esterno, questo ci lancia verso la conoscenza di nuove idee e opportunità. Io sono costantemente alla ricerca di nuovi media, nuovi canali, nuove proposte per diffondere il catalogo oltre i soliti limiti. Questa posizione esterna alla casa editrice talvolta ci porta a conoscere anche nuovi artisti. Mi è capitato di conoscere autori e poi correre dall’editore per dire “questo è un libro che secondo il mio punto di vista ha un grande potenziale”: è stato il caso di Marco Truzzi e Ivano Di Maria che avevano raccontato e documentato con foto un viaggio fatto sui confini europei.

Quand’è che un critico letterario diventa disonesto? E che differenza c’è tra la propaganda e l’informazione letteraria?

La critica letteraria è un’attività fondamentale dal momento che ogni giorno in libreria arrivano vagonate di nuove pubblicazioni. In questo quadro i critici sono da difendere più dei panda, la loro è una funzione di filtro sulla qualità letteraria. La prerogativa della critica non è quella di raccontare un libro facendone la sinossi, ma fare un’analisi che inquadri quella determinata opera come lodevole o meno inserendola all’interno di determinati canoni e categorie che prescindono dal gusto personale. Talvolta le logiche di mercato passano avanti al lavoro intellettuale, si preferisce tagliar corto e non parlare di un determinato libro per non esporlo a critiche negative. Da lettrice credo che anche un’analisi non positiva – soprattutto se autorevole – può essere interessante per elevare la qualità del dibattito. Il rischio può esserci anche in senso inverso: quando gli aspetti commerciali spingono verso una positività di giudizio che non ci sarebbe altrimenti.

In una vecchia intervista, hai detto che, potendo scegliere, nel passato saresti stata l’ufficio stampa di Landolfi, del Landolfi dei primi racconti. Adesso ti chiedo qual è stato, tra gli artisti che hai seguito in questi anni, quello che ti ha dato maggiori soddisfazioni – quello (o quella) che sei stata più orgogliosa di seguire, e perché.

Ho detto veramente una cosa simile? Ero forse giovane o ubriaca (o tutte e due). Forse l’ho detto perché è il mio libro preferito e non sapevo come rispondere alla domanda. Tra gli artisti che ho seguito sono molti quelli a cui sono affezionata. Andando indietro con i ricordi penso con piacere a “Le cose sono due”, la raccolta poetica di Francesco Targhetta pubblicata da Valigie Rosse. Targhetta è un grandissimo poeta e romanziere, da pochi giorni è nuovamente disponibile il suo romanzo in versi “Perciò veniamo bene nelle fotografie“, riedito da Mondadori dopo la chiusura d’ISBN. Senza dubbio è stato bello lavorare con Claudio Morandini, un autore che ha sempre meritato un catalogo molto letterario e che ora – dopo il grande successo di lettori riscosso da “Neve, cane, piede“, romanzo a cui ho avuto il piacere di lavorare e che ha contato quasi 8.000 copie vendute – uscirà a giugno per Bompiani. Qui una levata di cappello va anche ai suoi agenti della Otago che hanno saputo trovare la casa giusta a un autore di talento. Matteo Meschiari mi ha portata a lavorare su un genere del tutto nuovo come quello dell’antropofiction, una sfida a dir poco stimolante. Sono talmente affezionata a Meschiari che, dopo essere stata la sua addetta all’ufficio stampa, gli ho chiesto di officiare le mie nozze e ora tifo per il suo nuovo romanzo, “L’ora del mondo”, che sarà già disponibile al Salone di questo anno per Hacca Edizioni. In Tunué provo soddisfazioni ogni giorno muovendomi da un genere all’altro tra autori già affermati e potenti esordienti.

Come si informa Silvia Bellucci? Quali sono le tue riviste letterarie preferite, e da quando? Quali sono i quotidiani e i periodici cartacei (superstiti) che non ti stanchi di scandagliare? Quali i social network d’elezione?

Da quando lavoro non solo per il mondo della narrativa ma anche per quello del fumetto lo spettro si è ampliato notevolmente e salto da un settore all’altro. Leggo i quotidiani e i vari supplementi, i settimanali, i mensili e i periodici. Per le riviste spazio davvero molto muovendomi dal cartaceo al web, passando da riviste generaliste a quelle più specifiche di cultura, letteratura, poesia, fumetto, musica o costume. Per quanto riguarda i social confesso di usare passivamente Twitter, leggo post e notizie senza troppo interesse, lo uso solo quando devo protestare contro #Trenitalia. Uso molto Facebook, talvolta lavorativamente lo sfrutto come motore di ricerca: Tizio scrive ancora su quella rivista? Caio abita ancora in quella zona? Per il mondo del graphic novel sono molto interessanti i canali Instagram e Youtube, dove si ha modo di mostrare immagini e video, dando così risalto a illustrati o fumetti.

Chi sono i tuoi modelli, come ufficio stampa? Quali le colleghe o i colleghi che hai più ammirato, nel tempo, e perché? In cosa ti sono sembrati eccezionali o almeno notevoli?

Nell’ultimo anno, da quando Tunué è stata acquisita per il 51% da Editrice Il Castoro, ho avuto spesso modo di confrontarmi con Paola Malgrati, che ammiro molto e di cui apprezzo il modo di lavorare, la calma e l’attenzione con cui riesce a gestire questo mestiere che è di per sé frenetico. Sono molto amica di Chiara Di Domenico, a lei devo un grande insegnamento sul lavoro prima ancora che sul nostro mestiere. Anni fa mi aveva fatto notare che non ero trattata adeguatamente per le mansioni che svolgevo. In un primo momento – forse perché non volevo ammetterlo – ho trovato brusco l’appunto, ma in seguito ho realizzato che mi stava aiutando, oggi le sono molto grata per questo. Grande maestra è stata per me Elena Giacchino, ora bazzica meno nel campo editoriale ma è stata la prima addetta all’ufficio stampa che ho conosciuto quando sono entrata in questo mondo.

Gianfranco Franchi, aprile 2019.

Per approfondire: intervista a Librangolo acuto [aprile 2017] / intervista su Goodbook [fine 2017] / intervista a Senzaudio [2015] / Linkedin.

photo copyright Salvo Mancuso

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