Scrissi d’arte

Scrissi d'arte Book Cover Scrissi d'arte
Tommaso Pincio
L'Orma
2015
9788898038671

A breve distanza dalla pubblicazione del suo romanzo più ispirato e riuscito, quel “Panorama” (NN Editore, 2015) che ha saputo rappresentare la solitudine, le chimere, la paradossale incapacità di incidere nella realtà degli uomini di lettere, l'ex pittore, ex gallerista ed ex newyorchese Tommaso Pincio, artista romano (anzi: esquilino) classe 1963, è tornato in libreria con una insolita raccolta di rarità, inedite e b-side: vale a dire, è tornato in libreria con un inatteso assemblato, una raccolta di saggi pubblicati in gioventù e nella sua prima vita. Non si può dire che siano saggi, articoli e pagine, in genere, provenienti esattamente da “inizio carriera”: sono scritti che vengono, infatti, letteralmente da “un'altra carriera”, cominciata e terminata e per qualche tempo addirittura volontariamente rimossa, o almeno non più nominata, per una decade piena, da quando Marco Colapietro è diventato Tommaso Pincio, vent'anni fa o giù di lì.

Scrissi d'arte” – questo il titolo scelto dallo scrittore capitolino – nasce su insistenza e per convinzione del suo primo lettore e più grande sostenitore, il critico letterario Andrea Cortellessa, e vede la luce nella sceltissima collana “fuoriformato nuova serie” diretta da Cortellessa per l'ambiziosa L'Orma Editore. Trecento pagine circa di scritti d'argomento artistico suddivise in tre parti: “Passato remoto”, “Presente”, “Futuro anteriore”. Nelle parole dell'artista: “La prima comprende i testi precedenti alla mia conversione alla narrativa. La seconda i successivi. La terza, un po’ più sbilenca, è composta invece da testi che pur guardando al passato indicano quel che penso o credo o spero saranno i miei rapporti futuri con l’arte. Oltre a un repertorio d’immagini a colori e in bianco e nero, il volume contiene anche parti scritte apposta per l’occasione e volte soprattutto a illustrare in quale contesto sono nati i vari «scrissi»”.

Nelle parole maieutiche di Cortellessa: “Pincio ha scritto questo libro letteralmente cancellandolo. Omettendo del tutto alcuni testi di cui era invece in possesso, magari perché da lui avvertiti troppo legati al tempo in cui li aveva scritti (o forse è vero il contrario, chissà); e altri cospargendoli di ancora più mistificatori, in quanto non dichiarati, omissis: comportandosi dunque alla maniera di un Emilio Isgrò che, in luogo di esporre le proprie cancellature, sulle sue tele allineasse solo la successione, in apparenza imperturbabile, di quei pochi frammenti di testo salvatisi dalla sua furia iconoclasta. Pratica sottile, una specie di autochirurgia a cuore aperto, alla maniera di certe performance di Orlan”.

È pacifico ammettere che personalmente sono andato a immergermi in questo curioso saggio con istinto e intento tutto filologico, e in subordine con la voglia di scoprire aneddoti e riferimenti interessanti; in altre parole, sono stato un lettore capzioso e curiosotto. Non ho particolare competenza in ambito di arti figurative, non posso giudicare posizioni e letture pinciane, in questo senso. Invece posso ritrovarmi a sobbalzare leggendo un suo scritto dedicato a Gianni Dessì, datato 1990, scorgendo questo paragrafo e ragionando a più riprese e a volte con robusta differita su ciò che è stata ed è la narrativa pinciana: “[...] limite in cui il linguaggio, spezzate le catene che lo legano al pronunciamento delle cose, oscilla tra l'opzione di trasformarsi in un mostro incomprensibile e quella d'illuminare di una luce nuova il mondo. In questo punto magico il linguaggio sembra non parlare più, raccolto nel mutismo di ciò che ha raggiunto la perfetta visibilità. Il dipingere, la materiale produzione d'immagini e di luce, si manifesta allora nella volontà di raggiungere tanto sublime silenzio, lo stato di grazia del pensiero”. Ecco: meditazioni, queste dedicate al sublime silenzio, stato di grazia del pensiero, e alle potenzialità fantastiche del linguaggio, che albergano soltanto nelle anime in tormento degli scrittori puri. Come Tommaso Pincio, il fu Marco Colapietro.

Gianfranco Franchi, febbraio 2016.

Prima pubblicazione: Ponte rosso, 9.

Cortellessa: “Pincio ha scritto questo libro letteralmente cancellandolo”.