Russia senz’anima

Russia senz'anima Book Cover Russia senz'anima
Susanne Scholl
Zandonai
2011
9788895538822

Sappiamo veramente poco della Russia contemporanea: quel poco che sappiamo spesso ci scandalizza, e a ragione. Il reportage della giornalista austriaca Susanne Scholl, “Russia senz'anima?”, può servire per orientarci a dovere e per sensibilizzarci, per quanto possibile, alle condizioni di vita dei cittadini, moscoviti in particolare, e al mood di un popolo dominato e governato da un regime ingombrante e prepotente. Le sofferenze del popolo russo e dei popoli feriti da quasi un secolo di sovietizzazione non sono affatto terminate, al limite si sono attenuate e diluite. Quel che la Russia oggi rappresenta non è certamente un paradigma di democrazia e di civiltà: piuttosto, stando a quanto la Scholl ci riferisce, è un modello di sincero degrado civile e di stagnazione culturale, di immonda burocratizzazione, di incresciosa concentrazione del potere nelle mani di un'oligarchia. Oligarchia d'ascendenza chiaramente sovietica, non estranea a un passato kgb, e di dubbia etica e scarsa credibilità. Eppure il fascino della vecchia Russia non scompare. Potere di Puskin, di Tolstoj, di Lermontov. Niente più intaccarlo, nemmeno questa farsesca democrazia di cui la Russia in questi vent'anni s'è man mano ammantata. Se siete tra quanti, come me, sognano un giorno di visitare San Pietroburgo e Mosca, e vagheggiano un estenuante e meditativo viaggio in treno sino alle estreme periferie dell'antico impero e della meno antica unione, questo libro potrà essere un buon viatico. Onesto e lucido. “Russia senz'anima?” è scritto, per quanto è dato capire, con equilibrio e con compostezza, senza nessuna debolezza ideologica: non c'è nessuna nostalgia invadente, e nessuna capziosa difesa dell'indifendibile, passato o presente. C'è molta umanità e molta lealtà – una lealtà preziosa, e rara. Profondamente apprezzabile, insomma, la scelta di Zandonai di puntare sulla traduzione di questo saggio, sintetico (neanche duecento pagine) ma tosto e illuminante. E realistico. Decisamente.

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La Russia di Putin è la nazione in cui può capitare che i giornalisti scomodi vengano massacrati per strada, magari al termine di una conferenza stampa. La lotta per la “glasnost”, per la trasparenza, è dura quasi quanto sotto regime sovietico. E non è stata affatto vinta. La Russia di Putin è la nazione in cui l'alcol continua a viziare le esistenze di tanta povera gente. Non è soltanto un fattore culturale: è una questione di bisogno di consolazione, o di annullamento. La Russia di Putin è la nazione in cui il popolino sembra sempre più spesso vittima della xenofobia e del razzismo, dopo tanti decenni di internazionalismo predicato e sbandierato nel mondo. Gli ebrei (l'antisemitismo non è una novità, in Russia: dai tempi dei pogrom a quelli, meno noti, dell'odio staliniano e sovietico, qui ben descritti) e i caucasici sono considerati i nemici primi: la Scholl dice che dare a qualcuno del caucasico evoca la possibilità che sia “terrorista, bandito, ladro, assassino. In ogni caso, un estraneo di cui non ci si può fidare” [p. 27]. Per passare per caucasico basta poco: avere occhi e capelli scuri, o un accento azero, ceceno o georgiano. Insomma, no, non tira aria buona per chi vuole integrarsi nella nazione dei russi, senza essere russo. Per niente.

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La Russia di Putin è una società senza padri: proprio come quella di Stalin. “Allora non era solo Stalin a far arrestare o uccidere i padri, e spesso pure le madri, ma anche la guerra, che contribuiva a produrre orfani. La società senza padri era ed è tuttora un dato di fatto, un marchio di fabbrica” [p. 39]. In Russia si cresce dai nonni, coi nonni, come durante il socialismo. Altrimenti sono le mamme a sacrificare la carriera – e le loro giornate – agli eredi. Non va bene. La Russia di Putin è una società che non può vantare una grande assistenza sanitaria. Secondo la Scholl, “chi non ha parenti che gli stiano vicino, muore nella miseria. Ai tempi dell'Unione Sovietica le cose non andavano diversamente. Allora la situazione era resa ben più grave dal ben noto scarseggiare di farmaci di qualità” [p. 75]. La giornalista austriaca è più esplicita ancora: da quelle parti, oggi, ci si può permettere di essere vecchi e malati soltanto se si è molto benestanti, o se si hanno parenti medici. La Russia di Putin è una nazione in cui la storia viene riscritta per assecondare le nostalgie imperialiste-comuniste e staliniane della classe dirigente al potere – degli uomini di Vladimir, che non hanno paura di nascondere la verità sulle purghe, sulle repressioni di massa, sulla fame nera e sul Terrore staliniano.

Mosca. Mosca viene descritta come una megalopoli piena di attrattive, e naturalmente vivace, e tuttavia intossicata dal traffico, sovrappopolata, molto disorganizzata e sinceramente caotica: sino all'invivibilità. Una invivibilità romanesca, mi pare di capire – e forse peggiore, considerando che noi siamo meno di un terzo di loro, e abbiamo l'aggravante dell'italianità. “Mosca non è fatta per le persone”, ripetono spesso le persone amiche della Scholl. Perché l'amministrazione locale sembra curarsi più di sé stessa che dei cittadini (ricorda niente?), così come il governo. E tuttavia rimane una città che nasconde angoli fiabeschi. Basta saperli andare a cercare. Basta saperli stanare. Tra le ombre più fastidiose, in città, la presenza dei nazionalbolscevichi, quelli di Limonov: “formazione che riunisce in sé il peggio del nazionalismo russo e delle tendenze egemoniche sovietiche”: radicali, nazionalisti, antisemiti, ma con ricca e nostalgica falce-martello. Che va tradotta come nostalgia della grandezza russa. Madonna.

Insomma: tutto un disastro? Ma no. Questi russi sono superstiti da un regime atroce, di una cattiveria e una malvagità deliranti. Stanno ritrovando, man mano, un equilibrio: si stanno comunque battendo per una vita più civile, democratica e onesta. Spiega bene cos'era l'Urss che si sono lasciati alle spalle questo passo: “Aver avuto fortuna, secondo l'interpretazione dei russi, o meglio degli ex cittadini sovietici, significa essere finiti in un campo di concentramento invece che in un altro. Oppure essere stati condannati a quindici anni di reclusione invece che a venti. O avere riabbracciato un figlio dopo anni di prigione – sebbene poi quel figlio traumatizzato ed estraneo fissi il genitore e gli rinfacci ciò che in realtà è stato quest'ultimo, in prima persona, a subire, e quindi indirettamente anche la sua creatura. Aver avuto fortuna poteva anche voler dire ottenere una seconda stanza in un appartamento condiviso. Oppure non essere spediti a lavorare nel profondo Nord o nelle regioni periferiche del Paese” [p. 106].

Eppure la Russia sembra una nazione che non si può non amare. Come diceva un loro poeta, è una nazione che non si può intendere – ci si può credere soltanto. Come nei sogni. E allora, che sogno sia: e che sia migliore di questo. Diciamo così, che sia non sia più così tanto sputinato.

Da leggere.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Susanne Scholl (Vienna, 1949), giornalista e scrittrice austriaca, già corrispondente a Mosca tra 1991 e 2007 per il canale ORF.

Susanne Scholl, “Russia senz'anima?”, Zandonai, Rovereto, 2011. Traduzione di Chiara Marmugi.

Prima edizione: “Russland mit und ohne Seele”, 2009.

Approfondimento in rete: WIKI de / sito di Susanne Scholl

Gianfranco Franchi, luglio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.