Romanza di Zurigo

Romanza di Zurigo Book Cover Romanza di Zurigo
Francesca Mazzucato
Historica
2009
9788896656020

Dimenticate la Crisopoli-Zurigo maledetta da Guido Morselli nella “Dissipatio Humani Generis”, coacervo freddo di banche e di chiese, città dorata che ammazza la pietà e annienta l'essenza degli esseri umani, tanto che non può più ospitarne, nel romanzo, se non come spettri, o come voci registrate. Francesca Mazzucato non condivide la linea dell'artista padre di “Roma senza papa”: la sua Zurigo è una città borghese ma fascinosa, elegante e vivibile, moderna e fertile di ispirazione. È la città che ha ospitato il primo Cabaret Voltaire, e quella in cui riposano Joyce e Canetti. È la città con la miglior qualità di vita del mondo, senza dubbio una delle più pulite.

Scopriamo quindi il nuovo libro di viaggio di Francesca Mazzucato, un “mosaico eretico e visionario” pubblicato nella collana “Cahier di viaggio” delle edizioni Historica, dirette dal giovanissimo letterato cesenate Francesco Giubilei. L'autrice è convinta che ogni appunto di viaggio, anche quello più giusto, altro non sia che “l'ologramma di un vaniloquio col proprio ego”, e che siano piuttosto i posti a scriversi (p. 24). Cosa ne deriva? La trascrizione delle “solite evisceranti piroette barocche che costituiscono i miei appunti”, lirica e divertente, sensuale e malinconica – c'è l'assenza d'un uomo amato a puntinare la narrazione, senza tuttavia cadere nel manierismo.

Zurigo non appare, tendenzialmente, un “luogo avventuroso, nemmeno vivace o controcorrente”; nell'immaginario collettivo, scrive FM, ha qualcosa di “asettico, finanziario e ordinato”, forse per l'antica natura di dogana Romana, quando si chiamava Turicum, o per via semplicemente della splendida e civile fama della Svizzera. La questione, racconta la Mazzucato, è ben diversa; c'è chi smania per visitarla per vedere la Torre di Carl Gustav Jung, il suo misterioso e stupendo ritiro spirituale; chi, come la scrittrice bolognese, desidera omaggiare le tombe di Elias Canetti e di James Joyce (“ogni volta salgo al piccolo cimitero per un omaggio che sento dovuto. Lo rifarò, lo giuro, lo prometto, lo giuro”); chi, semplicemente, per vivere con ordine, linearità e semplicità. Come prevedibile, tuttavia, la Mazzucato ammette che non avrebbe mai immaginato di poter sentire, un giorno, questo legame “morboso, fortissimo, indelebile” con Zurigo. Città diventata “madama”, “duchessa col rossetto sbavato e gioielli grandi ed eleganti”, “giocatrice di poker ed escort esperta” (p. 85); città dove piove spesso e all'improvviso, città dai ritmi lenti e lontani dall'ovvio, “svizzera-ma-diversa” (p. 124). Finalmente, letteraria.

La Mazzucato sostiene che – come tutte le città non più piccole, d'altra parte – Zurigo “produce e induce stratificazioni, sovrapposizioni, le cose prendono forme mutanti”: che Zurigo sia una sorta di “parentesi quadra” a destra della tastiera, vicino all'asterisco, un rifugio estraneo alla povertà e alla decadenza. La descrive come una città rilassante e protettiva, che sembra incartarti col profumo del “tutto è possibile”. Perfino rigenerarsi in un contesto borghese, a quanto pare, miracolosamente.

La stazione ferroviaria è elegante e accogliente, pulita e ordinata. Il colore della città è grigio-guglia: “bianco e grigiosfumato in modalità fading... città-gatta” (p. 46). Questo grigio è importante, perché “osservare il grigio fa bene, l'occhio si tuffa e si allarga, la pupilla ci naviga dentro meglio che in un colore fluo. Il grigio non aggredisce” (p. 60). Oltre il grigio, “moltissime sfumature lisergiche. Chi non lo sa perde tantissimo” (p. 87).

Il tedesco che parlano da queste parti è un po' atipico (“suizzendoic”), in ogni caso s'ascolta spesso una babele di lingue. La città ospita la maggiore galleria d'arte della Svizzera, la Kunsthaus (“è nuda”), famosa per la più grande raccolta delle opere di Munch al di là della Scandinavia, per le tele di Chagall e per le sculture di Giacometti (“fa bene rivedere i Giacometti”); qui è nato il Cabaret Voltaire, culla del dadaismo, nel 1916. Adesso è una “dada haus”: “è cupo e piccolo, la zona per le performance profuma di carta antica, di polvere e ferro” (p. 111).

Principale strada zurighese è la Banhofstrasse, centro dell'attività commerciale cittadina: “fiancheggiata da negozi di lusso e ristoranti chic, sede di diverse banche. Mette quasi soggezione, in certi punti. Termina a Burlikplatz. Sullo Zurichsee, da questa piazza, partono le gite in barca sul lago” (p. 83). Patroni della città, Felix e Regula; a loro è dedicato l'antico duomo, Grossmünster. La cucina classica si assaggia nelle Bierhalle, ascoltando magari country tedesco, ibrido tra folk svizzero e musica americana anni Ottanta. Altrimenti, ci sono i rilassanti caffè americani.

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Tra i principali omaggi letterari, quelli rivolti a Franz Hessel, Cormac McCarthy, James Joyce e a Annemarie Schwarzenbach, scrittrice morta giovanissima (a 32 anni, nel 1942), “nomade, spezzata, inquieta”; una che scriveva per “febbri di ispirazione, dannazione o perdizione”, giorni e notti intere. Joyce, lasciati pezzi di anima a Trieste, “vestiti, amici e amanti a Parigi, radici mezze rinnegate a Dublino”, si trasferì a Zurigo nel 1940; lì, nel 1941, sarebbe morto per l'aggravarsi della sua ulcera duodenale. Riposa nel cimitero di Fluntern con sua moglie Nora e col figlio Giorgio. Francesca Mazzucato sente di dover tenere viva la memoria dei suoi ultimi anni di vita, e così fa salutando la sua tomba. Ripetutamente.

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Numerosi gli omaggi commerciali alla catena di caffè “Starbucks”, considerata un rifugio e un piccolo paradiso per via della connessione wi-fi gratuita, della quiete e del caffè americano (presumo). L'autrice auspica prossimi sbarchi in Italia di locali come quelli. Personalmente, mi contenterei di connessioni wi-fi gratuite e di un buon caffé italiano. In un bel locale italiano.

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L'opera, come spesso accade nella narrativa della Mazzucato, ospita interessanti e personali riflessioni sulla scrittura. Secondo la Mazzucato, ad esempio, “scrivere è disciplina e atroce punizione che trova le origini nella notte dei tempi e nelle note dei tempi e spesso porta a scolorire i margini delle ore e a rendere impalpabile la grana del tempo. Scrivere somiglia alla musica ma le note possono, a volte devono, essere stonare e stonare” (p. 9). E allora diciamo che qui stona la presenza di Starbucks e l'assenza della Crisopoli di Morselli, che poteva essere uno spettro da esorcizzare nominandolo e fronteggiandolo per intervalli di rabbia, e di distacco, e invece è rimasto anonimo, negletto. Peccato? Forse no.

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“Ogni volta che torno, ogni volta che parto qualcosa muore, del resto qualcosa muore sempre, ci viene la tentazione di praticare continue respirazioni bocca a bocca ma non va bene, non è giusto. Questa ciclica morte è giusta. Capire che cosa sia esattamente la parte, l'oggetto, la nota, lo sguardo o il ricordo che muore, questo è importante, questo è il punto” (FM, p. 79).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Francesca Mazzucato (Bologna, 1965), scrittrice, giornalista free-lance e traduttrice, è editor e consulente di case editrici. Ha scritto per il teatro e tiene corsi di scrittura creativa. Ha esordito pubblicando “La sottomissione di Ludovica” (Borelli-Pizzo Nero, 1995) e “Hot Line” (Einaudi 1996).

Francesca Mazzucato, “Romanza di Zurigo”, Historica, 2009. In appendice, bibliografia, sitografia e un inserto fotografico, curato dalla stessa autrice. Collana “Cahier di viaggio”, diretta da Francesca Mazzucato.

Gianfranco Franchi, dicembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.