Racconti inglesi

Racconti inglesi Book Cover Racconti inglesi
Evgenij Ivanovič Zamjatin
Voland
1999
9788886586542

in realtà, un romanzo breve e un racconto lungo: “Isolani” e “Il pescatore di uomini”. Informa il curatore dell’edizione, Alessandro Niero: «Ostrovitjane (“Isolani”) (1917) e Lovec ĉelovekov (“Il pescatore di uomini”) (1917-1918), nati in seguito a un soggiorno (1916-1917) di Zamjatin a Newcastle per sovrintendere alla costruzione di rompighiacci russi, rientrano (soprattutto la prima) fra le sue opere maggiori e spiccano per la coerenza tra gli assurti teorici propugnati dall’autore in materia di “tecnica della prosa” e le realizzazioni pratiche che poi ne scaturiscono (…): attivare nell’unità di tempo più breve possibile le potenzialità eterogenee contenute nella parola, cioè suono e ‘immagine’» (p. 113). Invito i lettori a godere della postfazione del curatore. Procuratevi l’ottima edizione Voland e nutritevi delle parole-guida di Niero. Fatto? Adesso potete continuare a leggere le mie paginette.

FRANCA PREMESSA

Farei carte false per poter sfogliare almeno una nuova edizione di “Noi” di Zamjatin, nella nostra bella lingua italiana. Feltrinelli l’ha pubblicato nel 1984 e non lo ristampa più, per misteriose ragioni. Eppure non fatico a immaginare che avrebbe sempre nuovi lettori: assieme a “1984” di Orwell e “Il mondo nuovo” di Huxley è uno dei capolavori della letteratura della distopia. È – ragionando in termini cronologici – un’autentica pietra miliare. Qual è il problema? Congettura: Zamjatin era ed è scomodo per certa, vecchia e dogmatica cultura comunista, purtroppo, e paradossalmente, ancora troppo influente nell’editoria italiota.

Bolscevico riottoso alle violenze, alla barbarie e ai crimini del regime, fu progressivamente ostracizzato e riuscì fortunosamente a guadagnarsi uno splendido esilio europeo. “Noi” è una eccellente satira del totalitarismo sovietico. A qualcuno spiace, sin dai tempi della sua prima pubblicazione (guarda caso: fuori dalla Russia). E questo qualcuno ne è tanto rammaricato che ha evitato, per quanto possibile, che il libro fosse letto, da queste parti. Dell’interessante e ricca produzione dell’artista russo, i contemporanei italiani possono avere idea vaga e confusa: “Il destino di un eretico” (Sellerio, 1988), l’irreperibile “Noi” (Feltrinelli, 1984) e questo “Racconti inglesi” (Voland, 1999) sono le uniche opere tradotte. Capirete quindi quanto possa essere prezioso e affascinante questo libretto, e quanto possa esasperare il desiderio di leggere e condividere con migliaia di altri lettori il respiro della scrittura zamjatiniana. Le astuzie, i giochetti e i misteri – decidete voi come chiamarli – stanno per terminare: l’autore è morto nel 1937.

IMPATTO. Due vene fondamentali in “Isolani”: la satira sociale e la rappresentazione della vitalità e della vivacità (della diversità) e della loro repressione, e cioè della collisione tra la dolcezza dell’innocenza e la disumanità del moralismo e della pretesa omologazione. È il romanzo breve d’un espressionista: capace di superba sintesi nelle descrizioni, artista nello scolpire immagini e scene appena tratteggiandole.

La vicenda è ambientata nel microcosmo di Jesmond. Leader e autorità carismatica della cittadina è il vicario Dewley, orgoglio della comunità, autore del libro “Precetti di salvezza forzata”: rigidi orari previsti per qualsiasi attività giornaliera, perché la vita possa divenire “una macchina armoniosa” e condurre i cittadini “con meccanica ineluttabilità alla meta desiderata” (p. 5).

A questa visione aberrante dell’esistenza può opporsi soltanto l’esistenza stessa: per via di quegli eventi imprevedibili e inattesi che tendono a disarcionare qualunque meccanica e qualunque logica matematica, dirottando nel disordine e nella precarietà. La forma mentis da operaio nella fabbrica del niente di Dewley s’incrina quando si ritrova a dover ospitare un giovane sconosciuto, investito proprio nei pressi della sua abitazione: misericordia impone di soccorrerlo, fredda osservanza dei precetti di salvezza suggerirebbe di liberarsene quanto prima.

Il ferito, Campbell, discende da una famiglia aristocratica. Decaduta.  Ha poche convinzioni: due supreme, l’esistenza di Dio e la superiorità dell’Inghilterra. Ma è diverso rispetto ai cittadini di Jesmond: sa infrangere le barriere dei falsi moralismi, dei bigottismi e delle ipocrisie. Piace pensare che sia così perché rifiuta, in coscienza, quel che vede ogni giorno: in realtà, appare puro per via della sua infantile ingenuità, della sua estraneità a qualsiasi corruzione; è intatto, e questa sua integrità sta per conquistare addirittura la robotica moglie di Dewley.

Campbell verrà assunto come impiegato da uno stravagante avvocato irlandese, O’Kelly – primo passante a soccorrerlo dopo l’incidente, primo ad offrirgli un impiego non appena s’è ripreso. O’Kelly è un fanatico della menzogna: e – come ogni mentitore – è narcisista, e ostenta e sbandiera questa sua vocazione alla mistificazione e all’alterazione della verità.

Campbell non sa smascherare le bugie: crede a tutti. E così, avrà fede nel buffo e infame satiro irlandese e nella stupida e bella attricetta che proprio il suo amico gli farà incontrare: vivrà del sogno d’un amore e d’un legame che non è mai esistito; amore che intanto, mentre lei gioca con i suoi sentimenti, desta scandalo nella comunità figlia dell’egida del precetto della salvezza forzata, strutturata com’è secondo degradanti principi borghesi – immagine, decoro, rispettabilità.

Zamjatin sa equilibrare con grande intelligenza la rinascita di Campbell, a partire dall’incidente stradale fino all’illusione dell’amore, e la sua dannazione: pilotata e architettata, sembrerebbe, dalla diabolica mente del vicario, insofferente nei confronti delle eccentricità del ragazzo, della sua concubina e del loffio e ambiguo ruffiano irlandese. L’epilogo è amarissimo e tragico: la fabbrica di esseri umani non ammette l’esistenza di esemplari anomali, atipici o non irreggimentati. Sembra quasi il profetico annuncio della strategia di omologazione propria d’ogni regime totalitario del primo Novecento: esiste solo quel che deve esistere – tutto il resto va sradicato o annullato. La macchina può funzionare soltanto se ogni ingranaggio è ben oliato, e nessuna rotella rallenta il suo ritmo.

Londra è lo sfondo de “Il pescatore di uomini”, elegiaco e amarissimo racconto sentimentale: Bailey è un alter-Campbell, innocente sino all’ingenuità, tenero nella sua adesione a un purissimo sentimento d’amore. Come avviene in “Isolani”, è proprio questo amore a essere la scintilla della rottura d’un equilibrio; l’esito è egualmente sfortunato e doloroso, e – apparentemente – d’una gelida inevitabilità.

L’incipit vale come sintesi dello spirito dell’opera: formidabile come Zamjatin, in poche battute, introduca e illumini e accompagni nel mondo di carta che ha creato: “La cosa più bella della vita è il delirio, e il più bel delirio è l’innamoramento. Nella nebbia mattutina, vaga come l’innamoramento, Londra delirava. Rosa latteo, a occhi socchiusi, Londra navigava, non importa dove” (p. 85).

Questo “Racconti inglesi” è il canto d’una individualità che si vedeva sommersa dal cemento armato di norme, ruoli e convenzioni che non poteva non rifiutare: questa ricerca del sentimento forte – anche solo della sua rappresentazione, per intenderci – è una ribellione a un tempo desolante e irresistibile; perché è una ribellione destinata alla soppressione e alla sconfitta, ma con una grazia e uno stile davvero non comuni.

Può un fiore crescere nell’asfalto e non essere osservato e coltivato dai viandanti? Soltanto se a dominarli è la rigidità e la freddezza: gemelle figlie del dogma, e della barbarie dell’uguaglianza. Libro d’uno scrittore eccellente: in cerca d’adoranti lettori, e di intelligenti editori. Non negatecelo più.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Evgenij Ivanovich Zamjatin (Lebedjan, Russia 1884 – Parigi, Francia 1937), ingegnere navale e scrittore russo. Fu drammaturgo, saggista, e romanziere. Esordì pubblicando il libro di racconti “La vita in provincia”, nel 1913. Insofferente nei confronti del regime sovietico, emigrò a Parigi, dove morì.

Evgenij Zamjatin, “Racconti inglesi”, Voland, Roma 1999. Traduzione di Alessandro Niero e Sergio Pescatori. A cura di Alessandro Niero.

Datazione delle opere: “Ostrovitjane”, 1917. “Lovec ĉelovekov”, 1918.

Gianfranco Franchi, febbraio del 2005.

Prima pubblicazione: Lankelot.