Poliuretano

Poliuretano Book Cover Poliuretano
Paolo Mascheri
Pendragon
2004
9788883422713

L’esordio del giovane artista aretino Paolo Mascheri, classe 1978, potrebbe rivelarsi, tra qualche tempo, come uno dei più fedeli documenti del malessere dei giovani intellettuali borghesi del nostro tempo. Strutturato in quattordici racconti, uncinati alla narrazione in prima persona delle esperienze dell’adolescenza e della prima giovinezza di un – congetturiamo – alter ego dell’autore, va a rappresentare e incarnare il malessere, la solitudine, la difficoltà di comunicazione e di integrazione nel sistema d’un borghese che non rinnega le sue radici culturali – ma stenta a riconoscersi nella società contemporanea, arrancando da una camera all’altra della sua abitazione, sublimando carenze non più sentimentali, ma spirituali con una legione di farmaci.

La quiete sembra derivare dagli oggetti – eccezion fatta per l’ultimo racconto (viene da scrivere: l’ultimo capitolo, tanto nitida è la percezione di una coesione e di una uniformità estetica tra un racconto e l’altro), che lascia trapelare una rinnovata speranza nell’esistenza grazie ad un nuovo amore. E l’interazione con questi oggetti è tendenzialmente segnata da un’ironia e da un distacco che nascondono una curiosità, e una capacità di stupirsi e divertirsi che suggeriscono una vivacità mentale notevole; a discapito d’una staticità, e d’un’inerzia, che sospendono spesso la narrazione nel raggio di pochi metri.

Negli episodi narrati in “Poliuretano” non accade sostanzialmente nulla al protagonista; che si concentra, con dedizione straordinaria, sull’igiene orale, sul lancio delle sigarette contro il ventilatore, sulla visione delle vecchie performance di Cicciolina ai Mondiali ’90 – tra teppismo domestico, incerta autodistruzione, saccheggio del frigorifero e autolavaggio.

Ogni evento e ogni mutamento derivano da un nuovo stato di coscienza, o dalla conclusione d’un tortuoso sentiero di riflessione e interiorizzazione; pur solcato da improvvisi ritorni a strapiombo nella realtà (una realtà fatta di pizze surgelate, di confezioni di Magnum e di macchine di lusso da contemplare in estasi o da guidare fermandosi il più lontano possibile) questo sentiero restituisce una lucida visione del passato, o la consapevolezza del male oscuro che soffoca il protagonista: l’inerzia.

Il ragazzo che si scontra con la depressione e con l’alienazione, in questo libro, combatte per non dissolversi; s’affievolisce, s’assenta, ma non si spegne. Sembra essere stato viziato: ma non rinnega la propria classe sociale, si limita a spiegarne e illustrarne le contraddizioni. È un giovane snob che ascolta grande musica (Marlene Kuntz, Afterhours, Nirvana), si concede letture edificanti (Pasolini, Majakovskij) e concilianti (Bukowski), passa con disinvoltura da “The Doors” di Stone a “Magnolia” di Anderson e gioca a leggere la realtà filtrandola con le suggestioni cinematografiche; affronta costantemente l’ombra della propria adolescenza, di giovane calciatore promettente, belloccio e annoiato, e si infrange sul muro d’un presente in cui non si ritrova neppure nel suo corpo.

Poliuretano: “Polimero organico, impiegato per fibre sintetiche, nella preparazione di adesivi e vernici e come isolante termico, acustico ed elettrico”, illumina il dizionario. Dunque dovremmo domandarci cosa abbia isolato il giovane intellettuale borghese, convincendolo ad oziare nell’attesa che la sua vita cambi. Nuota nella piscina della sua abitazione: godendo del lusso derivato dall’attività professionale d’un padre che appare, di norma, figura dal successo proporzionale al fallimento (almeno: a quel che il figlio percepisce come tale) del ragazzo. Passa il pomeriggio sopra il letto, immobile: intensa attività di pensiero, ritorno all’adolescenza e fluide associazioni di idee; fin quando non sopraggiunge il sonno senza sogni derivato dai farmaci.

Vive un’inquieta vita sentimentale, in cui sembra incapace d’accettare l’idea d’esser stato lasciato (Ilaria nel racconto “Rimmel come fango”; Erica in “Energia psichica”) e torna con la memoria ai momenti di maggior sensualità, riannodando i fili d’un legame spezzato alla ricerca d’una ragione, d’un senso, d’un errore da rimediare; invano. “È una vita che ingoio etere e rabbia. È una vita che non mi sento un essere umano”. (Harmony, p. 67) – questo frammento suggerisce una lettura che – se non “universale” – è almeno eccezionalmente riconoscibile nello spirito del protagonista dei quattordici racconti.

A volte s’intravede un meno trasfigurato biografismo: “Fu naturale per me dire che ero uno scrittore e fu naturale pensare l’attimo dopo: che cazzo sto dicendo? Precisai di non essere famoso. Loro mi guardavano e facevano Uuhhhh. Certo che mi guardavano: gli scrittori mica si vestono così e mica sono abbronzati e in carne come me. Se mi avessero chiesto cosa avevo scritto, che gli avrei risposto? Che mi avevano pubblicato un racconto in un libro che con la letteratura non c’entrava un cazzo e che probabilmente era stato acquistato solo da gente che passava la vita su La Gazzetta dello Sport?” (Mamma, regalami l’atomica, p. 41).

Sporadicamente s’intravedono descrizioni d’una singolare e lirica bellezza: si va dalla “città pozzanghera scomposta dal vento” (p. 51) alla splendida “capriola di luce che schiaffeggia la faccia” (p. 54), segno d’una passata e speriamo non abiurata consuetudine con la scrittura in versi.

I dialoghi sono piuttosto vivaci e manifestano fedeltà al parlato, senza esibire artifici o ostentare slang o giovanilismi irritanti. L’impressione – anche quando si legge d’una semi-goliardica gara d’hamburger terminata a vomitare nella vasca da bagno, poche ore prima della seduzione d’un manichino in plexiglas – è quella di sfogliare i racconti di uno scrittore dalle grandi potenzialità e dal sicuro talento. Uno scrittore che potrebbe dedicare un’opera d’altro e più ampio respiro alla decadenza della borghesia, e al malessere dei giovani intellettuali del nostro tempo: perché conosce l’isolamento, i silenzi, l’incomprensione, perché non si vergogna dell’ereditato benessere e non ha paura d’apparire un privilegiato raccontando la sua storia. I personaggi di Mascheri tradiscono rabbia nei confronti dei disordini famigliari, e manifestano fastidio e rancore verso la propria generazione: il tempo rivelerà se il narratore Mascheri è come quel calciatore mancino che non sbagliava una punizione, ma non sapeva stare in campo; ossia, se può continuare a dar vita a racconti notevoli, pur argomentando sul niente (ma con stile), o se architetterà un’opera assolutamente paradigmatica e generazionale. Ambientando magari qualche scena nella ex Yugoslavia – che sembra essere la terra eletta alla sua ispirazione – registriamo con piacere, a proposito, che la questione slava sembra aver profondamente colpito la sensibilità del giovane Mascheri. Non dimentichi di scriverne in futuro.

Due appunti. Non si comprende la ragione del livore e dell’astio nei confronti del Liceo Classico: l’ambiente descritto corrisponde più alle classi dei licei privati che a quelle dei licei statali; non ricordo questa pioggia di Ralph Lauren, pur avendole indossate – ricordo piuttosto che l’estetica degli alternativi modaioli dei licei, negli anni Novanta, era più sgradevole nel suo pseudo minimalismo di facciata, o nella sua ostentata e compiaciuta trasandatezza. L’abbinamento Ralph Lauren–razzismo fascistoide non è particolarmente gradevole, né indovinato.

Infine – non era Pam a scambiare il sangue con Jim, nei Doors. Ecco perché quella storia è andata male, Mascheri: avevi in mente il modello sbagliato. Era l’amante di Morrison, e non la sua compagna, a suggellare il patto.

Continuai a guardare il soffitto finché non arrivò l’ora di cena. Mi chiamo Paolo Mascheri. So mangiare una scatola di Magnum Algida in un pomeriggio. So viaggiare in treno e in auto. Non so cambiare una gomma bucata. E mio padre dice che lo farò crepare. Università di Firenze. Numero di matricola 2462256” (Compendio di anatomia umana, p. 107)

Uno dei più brillanti esordi di questo 2004: intelligente, sarcastico, disperato: e orgogliosamente borghese. Passo adesso, grazie alla disponibilità dell’autore, a una breve intervista.

G.F. “Poliuretano" è un documento del malessere dei giovani intellettuali borghesi del nostro tempo. Scritto da un artista che non rinnega le proprie radici culturali e la propria estrazione sociale – ma rifiuta una lineare integrazione nel sistema. Si riconosce in questa interpretazione?”

P.M. “Innanzitutto devo precisare che non sono orgogliosamente borghese, né mi ritengo uno snob e non mi considero un intellettuale. Rappresento solo me stesso. Per questo credo che non sarò mai un autore generazionale e quindi dovrò lavorare anche, oltre a scrivere. Tu sollevi, dopo aver letto il mio libro, la questione borghese, giustamente. Io credo di poter rispondere dicendo che le fasce sociali si differenziano solo in base alle diverse disponibilità economiche. Racconto un mondo che conosco, senza giocare il ruolo dell’innocente o del puro che non si fa corrompere, e senza usare stereotipi del tipo ricco = cattivo, povero = buono. La mia critica sociale non si basa nel rendere i personaggi macchiette o nel fare facile manicheismo, ma nel mostrare, nel sovraesporre certi modelli capitalistici. In "Poliuretano" non ci sono personaggi buoni o cattivi. Ci sono esseri umani rappresentati nelle loro contraddizioni, come hai notato tu, nelle loro pulsioni e nella loro incapacità di comunicare. Persone che hanno un benessere economico che spesso li schiavizza e che mai garantisce loro la felicità individuale. Da questo punto di vista il libro è una critica a un certo capitalismo e a una società dell’apparenza in cui tutti inevitabilmente siamo immersi”

G.F. “L’inerzia non sembra essere la fonte del malessere, ma l’esito d’un’esperienza esistenziale solcata da difficoltà di comunicazione e di interazione con il sistema – da una naturale diffidenza (verrebbe da dire: dall’estraneità) nei confronti dei ruoli, delle consuetudini, delle convenzioni. Può la scrittura esorcizzare o sublimare l’inerzia?”

P.M. “Sono d’accordo. L’inerzia è il risultato finale. Personalmente non credo che la scrittura possa fare più di tanto. Per quel che mi riguarda lo scrivere arriva dopo una serie di esperienze, come una sorta di dichiarazione di indipendenza da tutto”

G.F. “Il ragazzo che si scontra con la depressione e con l’alienazione, in questo libro, combatte per non dissolversi; s’affievolisce, s’assenta, ma non si spegne. È l’arte, è il sogno di un amore o è un’orgogliosa coscienza della propria atipicità a tenerlo in vita?”

P.M. “Soprattutto la fortuna salva il protagonista del libro, ma anche l’estremo fallimento rappresentato dall’incapacità di sparire dal mondo, di togliersi la vita”.

G.F. “Sporadicamente s’intravedono descrizioni d’una singolare e lirica bellezza: si va dalla “città pozzanghera scomposta dal vento” (p. 51) alla splendida “capriola di luce che schiaffeggia la faccia” (p. 54), segno d’una passata propensione alla scrittura in versi. Conferma?”

P.M. “Mi fa piacere che lo hai notato. Sì, ho scritto alcune poesie tempo fa. Quei frammenti che citi sono dei versi che ho inserito nella prosa”.

G.F. “La straordinaria presenza dei farmaci, nei racconti, costituisce una denuncia, una documentazione d’una anomalia più generazionale di quel che si preferirebbe credere o è semplicemente un espediente narrativo? In questo caso, cosa vuole realmente significare o rappresentare?”

P.M. “Alle spalle ho studi scientifici che mi hanno fatto conoscere abbastanza bene la materia di cui parlo. Per il resto la farmacologia come materia di studio mi ha sempre affascinato molto. Riprendendo le tue parole, posso dire che nel libro i farmaci sono usati come documentazione di un fenomeno”.

G.F. “Riconosce d’avere qualche debito nei confronti di altri scrittori? Sente d’avere testimoniato un’eredità, con questo suo esordio, o d’essersi integrato in un filone? Oppure preferisce non nominare padri spirituali e più o meno illustri antecedenti, e giudicarsi estraneo ai contemporanei?”

P.M. “Per quanto riguarda Poliuretano, devo molto ad alcune strutture che adotta Thom Jones che ho ripreso in "Spider" e "Racconto di Natale". Punti cardinali sono stati anche Fante, Bukowski e Carver. Nello sviluppo della mia estetica un ruolo importantissimo lo giocano anche i gruppi musicali che hai citato nella recensione, e i film di Ulrich Seidl, un artista eccezionale con cui ho avuto la fortuna di dialogare ultimamente”.

G.F.: “Narrativa italiana contemporanea. Nomini tre artisti che apprezza, e tre che sinceramente detesta o disprezza; e motivi la sua scelta, argomentando a piacere”.

P.M. “Conosco poco la narrativa italiana contemporanea. È una mia lacuna, lo ammetto. Sono cresciuto con la narrativa statunitense soprattutto. Ho letto qualcosa di Benni in passato e l’ho trovato demagogico e brutto. Non mi piace la letteratura fatta di slogan politici, la demagogia e l’idolatria, né mi piace tutto il filone moralista-civile. La letteratura che moraleggia e giudica la società dall’alto, la trovo disgustosa. Inoltre una scrittura ancorata ai problemi politici italiani, può trovare più facilmente un pubblico fedele, ma invecchia subito e male. Mentre 'Chiedi alla Polvere', ad esempio, che parla dell’ombelico di Arturo Bandini, a sessant’anni di distanza, riesce a parlare a tutti e pare scritto ieri”.

G.F. “Ambizioni, speranze e rimpianti di Paolo Mascheri nell’estate del 2004: ragioni d’orgoglio e soddisfazione e motivi di rammarico o frustrazione, a pochi mesi di distanza dal suo esordio”.

P.M. “Per certi versi posso considerarmi soddisfatto. Il libro non ha subito censure di alcun tipo, e ho avuto la possibilità di pubblicare qualcosa di coraggioso che piacesse prima di tutto a me. Il rimpianto più grosso è che ancora non ha avuto la visibilità che – ho la presunzione di credere – merita. Le difficoltà e le amarezze inevitabilmente ci sono state e ci sono. Non mi va di elencare i torti subiti perché sarei patetico. Ma è molto deprimente doversi scontrare, anche nel piccolo, con la difficoltà a organizzare reading e presentazioni in contesti più o meno importanti, e ciò, soprattutto, per la stupidità e l’assenza di coraggio di qualche organizzatore che preferisce puntare su nomi esclusivamente noti che magari non hanno un cazzo da dire, anziché su artisti poco conosciuti. In generale manca molto il coraggio di essere disturbanti e di rischiare. Le mie speranze sono di continuare in un percorso che sento mio con il secondo libro e di trovare persone che credano nel mio lavoro”.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Paolo Mascheri (Arezzo, 1978), scrittore italiano. Ha esordito con un racconto apparso in “Il colore viola” (Limina).

Paolo Mascheri, “Poliuretano”, Pendragon, Bologna 2004.

Gianfranco Franchi, luglio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Prima raccolta di racconti dell’outsider aretino Paolo Mascheri, classe 1978…