Perturbamento

Perturbamento Book Cover Perturbamento
Thomas Bernhard
Adelphi
1995
9788845911743

KLAGE. “Schlaf und Tod, die düstern Adler / Umrauschen nachtlang dieses Haupt: / Des Menschen goldnes Bildnis / Verschlänge die eisige Woge / Der Ewigkeit. An schaurigen Riffen / Zerschellt der purpurne Leib. / Und es klagt die dunkle Stimme / Über dem Meer. / Schwester stürmischer Schwermut / Sich ein ängstlicher Kahn versinkt / Under Sternen, / Dem schweigenden Antlitz der Nacht”. Georg Trakl (1887-1914). [«LAMENTO». “Sonno e morte, le aquile tetre / frusciano tutta la notte intorno al mio capo: la gelida onda dell’eternità / ingoierà forse / l’aurea effigie dell’uomo. / Contro orridi scogli / si sfracella il corpo purpureo. / Ed è un lagno la voce opaca sul mare. / Sorella di burrascosa tristezza, / vedi: una barca angosciata affonda / sotto le stelle, / sotto il tacito volto della notte”. Traduzione di Ervino Pocar].

Perturbamento” (1967) fu il secondo romanzo di Thomas Bernhard. Scrive Eugenio Bernardi, nel saggio “Prima dell’ultimo spettacolo”: “Bernhard affronta, in modi evidenti e diretti, il problema dell’eredità del passato, ora attraverso l’immagine ricorrente di un immenso patrimonio di cui gli eredi, labili e ossessionati da fantasie di cambiamento radicale, provano e spesso riescono a disfarsi, ora invece (o contemporaneamente) nell’immagine emblematica del rapporto padre/figlio, anch’esso ossessivamente presente (in Perturbamento al doppio livello del medico/figlio del medico e del principe/figlio del principe/padre del principe” (p. 227).

Bernhard è il fanatico officiante d’un rito funebre: è morta la grande Austria, e quel che ne rimane non conosce altro che vizio, malattia, sofferenza. In un certo senso, è difficile liberarsi dall’idea che questa sua irresistibile acredine nei confronti dell’Austria presente, e dei suoi connazionali, non sia altro che una macabra forma di voyeurismo e, al contempo, una feroce satira della decadenza. La sua scrittura è nervosa, confusa e febbrile: nonostante l’illusione d’una fluidità e d’una compattezza abnormi, per via del rifiuto d’una suddivisione in capitoli del testo e per l’immediata adozione della narrazione in prima persona, “Perturbamento” è un libro ondivago, impetuoso e precipitoso e a un tratto disteso; schiuma di disperazione, di nausea esistenziale, di orrore per la quotidianità. È velenoso, e non conosce altro che non sia distruzione: è l’ossessiva nenia d’un’anima che – come la sua nazione – sembra non conoscere idea diversa dal suicidio; sembra che la tendenza d’un intero popolo sia quella di vagheggiare e agognare il suicidio sin dalla prima giovinezza, e – qualora si sia mancati all’appuntamento – si finisca col macchiare e col deteriorare tutto quel che è. Non è difficile individuare le principali antitesi tra i personaggi del romanzo – come opportunamente segnala Bernardi nel passo poc’anzi citato – è, piuttosto, difficile individuare una, e una sola figura letteraria che scampi, in questo libro, alla morsa della malattia, alla febbre dell’autodistruzione, alla barbarie o alla corruzione. Leggendo, ho visualizzato l’artista austriaco come un burattinaio che mette in scena uno spettacolo all’inferno, attori e spettatori le anime dannate: e m’ha inquietato il parossismo di questa compiaciuta rappresentazione del degrado, della fatiscenza e della putrefazione d’un popolo, d’una nazione e d’una cultura. Perturbante è che non esista non solo traccia di speranza, ma seme di rinascenza: stile e argomento coincidono nei tre colori principali: irrimediabilità, inevitabilità, impotenza.

Non la rabbia, ma il disprezzo rimane; un disprezzo che sfianca ed esaurisce il lettore, perché è così estremo e incurante d’ogni altra sensibilità che finisce con l’andare a scrivere, nelle nostre menti, un secondo libro; dedicato e intitolato, per così dire, alla radice del perturbamento: la coscienza della passata grandezza, dello splendore e dell’intelligenza d’un impero e d’una nazione, che sembrano assolutamente smarrite. Non si può negare quel che è stato: non si può dimenticare: ma la comparazione con il presente è così grottesca e stridente da impedire ogni serenità e ogni auspicio di rinascenza.

Verrebbe da dire: ogni lucidità. Difficile pretenderla, tuttavia, in chi, austriaco, ha dedicato un’esistenza a scavare una fossa più profonda ancora per l’Austria, scandendone miserie, fallimenti, suicidi e grettezza con precisione e puntualità impeccabile e implacabile.

Nelle prime pagine del libro, il narratore parla di suo padre, dottore, vittima d’una “popolazione malata”, portata “alla violenza e alla pazzia”. Il dottore vede un mondo tutto malato e triste: e vuole educare i suoi figli alla comprensione e alla coscienza di questa realtà, perché non neghino quel che effettivamente accade (p. 19). L’insopprimibile pessimismo e il radicale male di vivere del dottore possono essere confermati da un passo come questo: “Quello che c’è di essenziale in una persona viene alla luce soltanto quando dobbiamo considerarla perduta per noi, disse mio padre, nel momento in cui, ormai, questa persona può soltanto dirci addio. Ad un tratto, in tutto ciò che in essa è ormai soltanto preparazione alla morte definitiva, questa persona può essere riconosciuta nella sua verità” (p. 25). Il dottore ha un solo amico, Bloch. Nutre grande preoccupazione nei confronti di sua figlia: afflitta da un’angoscia invincibile, somiglia sempre più, nell’ostinata contemplazione dell’idea della morte, a sua madre (p. 45): la sua è una malinconia cristallizzata, permanente; recentemente divenuta apatia.

L’esistenza di questa ragazza, sorella del narratore, alterna pensieri di suicidio a tentativi di suicidio (p. 50). Il narratore, ventunenne, sente di potersi disciplinare grazie alla volontà: sa di essere costantemente sul punto di cadere nella disperazione, ma s’accorge di preferire la stanchezza alla depressione (p. 48). È un quadro micidiale: alla malattia d’un nucleo famigliare s’accostano morbi e vizi d’una intera comunità, rivelata e sintetizzata dalle esperienze e dalle visite del dottore. Non viene risparmiata nessuna forma d’abominio comportamentale, turba psichica e deviazione etica: testimonieremo, per ogni ceto sociale, per ogni ruolo della cittadinanza, decadenza, isolamento, fatiscenza. “Ciascuno di noi è completamente isolato in se stesso, anche se tra noi il legame è strettissimo. La vita intera non è altro che un tentativo ininterrotto di ritrovarci” (p. 46). È il valzer del suicidio: nella nazione europea con il più alto tasso di suicidi, in cui gli studenti più benestanti e intelligenti sembrano avere nel sangue il pensiero ossessivo di levarsi la vita (quanto esaspera e mortifica questa insistenza sulla decadenza d’un popolo: è inaccettabile), un personaggio di questo coro tragico non può che giungere a parlare del suicidio dello Stato: “è lo Stato che rovina tutto, questo continuo, perenne suicidio dello Stato. Caro dottore, oggi tutti gli Stati, e non soltanto in Europa, continuano ininterrottamente a suicidarsi (…). Lo Stato che rovina tutto e gli uomini che non riescono a venire a capo di questo loro Stato e lo mandano in rovina. Mi viene in mente il termine catastrofe intellettuale (…)” (p. 117): in frangenti come questo, non può che tornare in mente quel che pre-esisteva alla grottesca Austria contemporanea, ridicolizzata e massacrata dalla narrativa di Bernhard: la granitica e confortante esistenza dell’illuminato impero asburgico, erede spirituale del Sacro Romano Impero, dilaniato dalle avvilenti tenaglie dei nazionalismi istintuali e barbarici dell’Europa orientale e dall’avidità delle nazioni europee occidentali.

Il nuovo cittadino austriaco è contraddistinto, sembra di intuire leggendo questo romanzo – che incarna lo spirito del male umano e sociale di questo nostro tempo – dalla distanza dal suo prossimo: è vicinanza e comunanza solo nel dolore, non nel tormento (p. 136).

I padri sono ombre, i figli spettri di carne che accompagnano queste ombre nell’Ade, negandosi sogno, immaginazione e speranza: ma è un Ade che somiglia, sinistramente, al presente – troppo, per non poterlo combattere. Allora la ritirata nella satira, nella letteratura della dissoluzione e dell’oltraggio, può valere per i cittadini austriaci ed europei come monumento artistico; ma non può essere accettata come disamina o affresco della nostra sconfitta. Non è storia: è lettura e trasfigurazione della storia: letteratura. E in fin dei conti, in ogni caso, la storia è composta da fasi ed epoche; che, a distanza di tempo, possiamo percepire come istanti, di luce e d’ombra. Avanti, Austria. Risorgi.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Thomas Bernhard (Heerlen, Olanda, 1931 - Gmunden, Austria, 1989), poeta, romanziere e drammaturgo austriaco. Esordì pubblicando il romanzo “Frost” nel 1963.

Thomas Bernhard, “Perturbamento”, Adelphi, Milano 1981. A cura e con un saggio di Eugenio Bernardi.

Prima edizione: “Verstörung”, 1967.

Gianfranco Franchi, ottobre 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.