Nel chiaro della notte

Nel chiaro della notte Book Cover Nel chiaro della notte
Fulvio Tomizza
Mondadori
1999
9788804453161

1999. Lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, triestino d'adozione, pubblica il suo ventiseiesimo libro: l'ultimo a vedere la luce mentre l'artista era ancora in vita. “Nel chiaro della notte” è un libro che finisce per confermare quanto profonda fosse la crisi di un artista che cercava, nel suo inconscio e nelle sue memorie, orientamento e rigenerazione, vagheggiando risposte definitive. In un certo senso è il libro gemello del seducente, irregolare e misterioso “La torre capovolta” [1971] quaderno di narrativa onirica; mi è difficile pensare che Tomizza non avesse in mente quel modello, mentre andava assemblando questa malinconica e fragile raccolta di racconti brevi, di sketch, di appunti, questo brogliaccio di sogni trascritti con mano assai malferma, questi frammenti impilati con momenti di incomprensibile presunzione. La differenza è che “La torre capovolta” è un libro che viene voglia di tornare a fronteggiare, a distanza di tempo dalle prime letture, per cercare di individuarne la segreta essenza, diciamo pure “i codici segreti”, le allegorie sotterranee, e così via; mentre invece “Nel chiaro della notte” ispira tenerezza, ispira rammarico, impone una domanda: ma di quanta libertà creativa poteva godere Fulvio Tomizza, di quanta incredibile libertà creativa ha potuto godere in quasi quarant'anni di carriera, tra Mondadori, Rizzoli e Bompiani? Ma soprattutto: che sia stata questa forse eccessiva, e tanto insolita (almeno nelle patrie lettere...) autonomia a deprimerlo, ad addormentarlo, a privarlo di quegli ostacoli e di quelle difficoltà che tanto fertili si rivelano per l'immaginario d'ogni artista?

Secondo il letterato Pietro Spirito, in ogni caso, “appare quantomai congeniale, appropriata, la scrittura asprigna, meticcia (frutto di vitale e diversa origine linguistica), felicemente anticheggiante - la scrittura carsica di Tomizza nel restituire, nel rappresentare, il suo mondo onirico. 'Nel chiaro della notte' è uno dei libri più intensi dello scrittore istriano, testamento spirituale forse più di quanto non lo siano stati 'I rapporti colpevoli' (Bompiani, 1992). Perché qui l'autore ci racconta non già i suoi sentimenti, pentimenti e dolori, bensì il suo inconscio, il mondo incontrollabile della coscienza [...]”.

Personalmente non riesco nemmeno a immaginare come sia possibile comparare due libri tanto diversi e distanti come “I rapporti colpevoli” e “Nel chiaro della notte”; e per parlare con chiarezza qui non vedo traccia di testamento spirituale, ma soltanto di un poco di stanchezza di un vecchio che era stato artista, e aveva dato vita e voce a popoli che dovevano diventare letteratura: e così era diventato un nome. Non credo che Tomizza sentisse la morte vicina: sentiva invece, l'artista, vicini i fantasmi di tutta la vita, suo padre e il figlioletto perduto, che qui chiama “Franco”, a un tratto, forse perché “Franca” era il nome di sua figlia.

Il libro è suddiviso in tre parti: “Frontiere”, “Vita d'esilio”, “Capricci”. Uno dei migliori momenti della raccolta s'incontra proprio in apertura: il racconto “Il trio Mystic” è una fantasia dal retrogusto bergmaniano, estetizzazione d'una esperienza della gioventù di Tomizza, d'un incontro avvenuto nella natia Giurizzani di Materada, presso Umago, negli anni dell'incertezza tra una nazione e un'altra; il ragazzo aveva assistito all'arrivo d'un carrozzone guidato da una strana famiglia di tre persone, padre, matrigna e figlia, capaci di leggere nel pensiero, ipnotizzare e andare in catalessi. Hanno origini misteriose, mezze mitteleuropee, mezze balcaniche, e vanno per la Jugoslavia in cerca di dinari e di anime. Il narratore finisce per innamorarsi di Rosa Mystica, la figlia del Maestro – per ritrovarsi sballottato da una parte all'altra dei Balcani. E passa del tempo, e viaggiano; e infine è come se il narratore si risvegliasse da un lungo sonno – da un sogno durato una vita. Ma in quel sogno, a sentire la sua amata, qualcosa di importante l'ha fatto. Ha partecipato agli spettacoli: “Hai raccontato tutto di te, e il pubblico, non un solo pubblico, non avrebbe smesso mai di ascoltarti. Era anche istruttivo perché passavi da una lingua all'altra, anche ai dialetti e perfino alle lingue della scuola; parlavi con uomini celebri, ti trasferivi in altre epoche, in luoghi molto lontani. Pure a me piaceva ascoltarti. Adesso so tutto della tua vita, o quasi” [p. 27]. Sembra quasi la traduzione della carriera dello scrittore istriano – dello spirito della sua letteratura.

Tra i frammenti, rivestono almeno discreto fascino quelli dedicati alle memorie della Belgrado degli anni Cinquanta, “solerte e bonaria”, “con odori di paprica arrostita e accordi di musica tzigana”, e quelli – ripetuti – concentrati sulla nuova tragedia balcanica degli anni Novanta, quella delle sanguinose guerre tra serbi e croati, dei nuovi massacri: nell'Istria tomizziana succede qualcosa di antico, vale a dire che si presentano nuovi e sconosciuti fuggiaschi, provenienti dalla Bosnia o dalla Serbia, o magari dal Kosovo; l'artista scrive che “la gente di qua li temeva come fossero soldati allo sbaraglio, capaci di tutto, le donne a loro copertura e magari sostegno. Dopo quasi cinquant'anni si ridestava tra noi l'eco delle bande partigiane che parlavano una lingua più dura, seguivano principi sconosciuti, si distinguevano per la loro crudeltà; e sporgeva nei miei istriani, in buona parte anch'essi slavi, una segreta diffidenza, una prevenzione invincibile, soffocate in questi decenni di loro dominio”.

Torna, poi, l'Istria delle case di pietra e dei muri rossastri, delle stradine senza nome e degli alberi imbiancati di polvere; e torna l'Istria ferita dall'abbandono degli istroveneti, delle tante case vuote, deserte di storia e di vita; e torna l'incubo della metamorfosi della foiba, passata da essere nemica degli animali al pascolo, e dei pastorelli incauti, a essere l'inferno che si nutriva di “tanti infelici, sopraffatti da un nemico incrudelitosi fino alla bestialità” [p. 57]. Succedeva a Pisino.

Torna la paura della povertà dell'Istria, descritta per angosce di maltempo e di stagioni così neutre che impediscono alla terra e ai roveri di assumere il loro colore, rosso; e qua e là invece flash di viaggi di lavoro o di piacere, più o meno trasfigurati, tra Parigi e Milano, Roma e Urbino; allucinazioni letterarie (un antagonista che ossessiona il povero Tomizza: difficile non pensare a Magris) e i soliti, frastornanti ombelichismi.

“Nel chiaro della notte” si staglia una solitudine mozzafiato, e una vita vissuta nel sogno di un ritorno – avvenuto forse troppo silenziosamente; niente affatto celebrato; frainteso, al limite, e addirittura avversato. Da qui in avanti scopriremo il Tomizza postumo: almeno quello de “La visitatrice” e del “Sogno dalmata”. Libri di un altro livello.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, frazione di Umago, Istria, Italia; 1935 – Trieste, FV-Giulia, Italia, 1999), scrittore e giornalista istriano. Esordì, come narratore, pubblicando “Materada” nel 1960.

Fulvio Tomizza, “Nel chiaro della notte”, Mondadori, Milano, 1999. ISBN, 978880445316. Prima edizione: Mondadori, 1999.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, maggio 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Un libro che finisce per confermare quanto profonda fosse la crisi di uno scrittore che cercava, nel suo inconscio e nelle sue memorie, orientamento e rigenerazione…