Memorie di un fumatore

Memorie di un fumatore Book Cover Memorie di un fumatore
Stelio Mattioni
MGS Press
2009
9788889219461

“Sono un fumatore, un sorvegliato a vista, un nemico pubblico potenziale. Da me, del perché lo sono, non ho coscienza, mi sento innocente. Eppure sono tanti anni che fumo. A farmi sapere o a voler farmelo credere che sono un individuo pericoloso sono gli altri, ormai sempre più di frequente...” (Incipit di “Memorie di un fumatore”).

Le sigarette sono una delle cifre stilistiche della narrativa giuliana, almeno a partire dalla “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Stelio Mattioni, fedele al paradigma di Ettore Schmitz, racconta la sua esistenza giocando sulle sigarette fumate dall'adolescenza sino, sostanzialmente, alla fine dei suoi giorni; e dà vita a un grande romanzo triestino, gioia per i suoi lettori e per tutti gli appassionati di narrativa italiana atipica. La ragione è semplice: non esiste un romanzo che racconti la vita d'un artista tramite vulcanici e ludici cambi nella scelta del tabacco da fumare. Più ancora, non esiste, sul territorio nazionale, una città che abbia sofferto più rovesci della sorte e cambi di bandiera, nell'ultimo secolo, della nostra bella Trieste.

Racconta Chiara Mattioni, nella bella postfazione delle “Memorie di un fumatore” di suo padre Stelio, pubblicate postume da MGS Press nel 2009: “Questo è il romanzo di un uomo, di una vita e di una città, non sbrigativamente un libro di ricordi. Perché le memorie non sono i ricordi, pur passando attraverso essi. La differenza sta nella prospettiva da cui si rievocano luoghi, cose, persone, situazioni […]”.

Vero, assolutamente. Stelio Mattioni non è stato soltanto lo scrittore padre d'un romanzo come “Il Re ne comanda una” (1968): è stato impiegato e dirigente d'azienda (già: proprio alla Svevo), sceneggiatore e giornalista, piccolo imprenditore nel dopoguerra e prima ancora soldato, costretto a qualche anno di prigionia dopo essere stato catturato in Africa. È stato bambino nella prima Trieste italiana dopo tanti secoli di Austria: è stato ragazzo nell'interregno doloroso che ha preceduto la liberazione, nel 1954; è stato adulto nei giorni delle luci e delle ombre della Trieste repubblicana, che andava perdendo sempre più abitanti e tuttavia manteneva viva la sua aristocratica scontrosa grazia. E poi, certo, è stato un gran fumatore. Innamorato del tabacco. Tanto da aprire questo suo libro con un omaggio (a questo punto inevitabile) allo scrittore-tabaccaio portoghese. Pessoa. Questo: “Rabbrividisco al pensiero di quanto poco rimane nel mio spirito di ciò che è stata la mia vita passata. Un libro di uno di questi autori, una sigaretta da 45 centesimi al pacchetto, l'idea di una tazza di caffè. Ecco in che cosa si riassume la mia felicità”.

E così il vecchio Mattioni ci racconta la sua prima sigaretta, bambino di dieci anni che voleva superare una prova di coraggio, e di virilità: una Popolare, una di quelle che andavano solo tra i facchini del porto e i fumatori di mezzi toscani, scrive, per quanto era aspra e forte. E poi, man mano, evoca e accenna alle sigarette fumate di corsa nei bagni del liceo, e mentre parla di loro parla di sé, all'epoca poco studioso, ancora confuso a proposito della propria essenza, del proprio futuro: convinto d'essere qualcosa quando la mamma, per la matura, gli regala un portasigarette d'argento col monogramma.

Ci ritroviamo quindi nei disperati e atroci giorni della Seconda Guerra Mondiale, al fianco di questo giovane soldato che fuma le Milit, le sigarette che passa l'esercito: tremende, ma ci si adatta. Proprio come a certe mansioni: “La vita militare riduce l'uomo a una matricola. La mia, appesa al collo sotto la camicia, porta il numero 13726. Uccide l'individualità, mortifica il carattere, rende inutile l'intelligenza” (p. 33). Yugoslavia, Toscana, e poi in Africa: a combattere eroicamente pur senza essere fascista, per semplice senso del dovere. E a ritrovarsi prigioniero, ma senza vergogna. “La guerra in Africa finì, e noi l'avevamo persa. E io oggi dico di non vergognarmi affatto d'esser stato fatto prigioniero, invece di morire eroicamente. Come allora sarei forse stato capace di fare. L'unico rammarico che ebbi, lo ripeto, fu quello di essere rimasto senza sigarette e con ben poche possibilità di procurarmele” (p. 45). Già, ché nei campi di prigionia si fumavano le Victory. Costavano care, al mercato nero.

Il soldato Mattioni torna a casa. A Trieste, nel 1946, ci sono ancora le forze di occupazione angloamericana: in Italia invece vagisce la nostra amata e maledetta repubblica. Stelio è sconvolto dagli anni di prigionia, racconta d'esser stato squilibrato per qualche anno: reagiva male per qualsiasi sciocchezza, non soltanto in casa. Le nuove sigarette erano svizzere, si chiamavano Fib. Avevano un tabacco scuro, amaro. Accompagnano l'artista negli anni dell'incertezza, fino al ritorno dell'Italia: ritorno che coincide con le prime Nazionali, almeno le prime non clandestine. Intanto, gli americani partono, e poco dopo vengono seguiti da tanti altri giuliano-dalmati, protagonisti d'un secondo esodo.

La vita di Stelio cambia poco a poco. S'innamora di sua cugina, si sposano, sarà un matrimonio felice. E intanto un amico di amici, fantastico rabdomante delle patrie lettere, misterioso e silenzioso, riesce a trovare un buon editore per i suoi primi racconti. Einaudi. Il suo misterioso talent scout si chiama Bobi Bazlen. Prima di morire, accompagnerà il Mattioni in Adelphi. Ben fatto.

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Chiara Mattioni, a beneficio degli aficionado dell'artista giuliano (1921-1997), spiega che “Nei capitoli che riguardano l'infanzia ci sono gli elementi originari di 'La casa dei Golob' (inedito scritto nel 1967), storia ambientata nel rione di San Giacomo quando ancora passava il tram e di 'Palla avvelenata' (Adelphi, 1969). Il periodo del servizio militare e della guerra, sulla base di un taccuino in cui annotava gli accadimenti (parzialmente trascritto in queste Memorie) ha dato vita a 'Camàn' (inedito). L'assidua frequentazione di Cittavecchia ritorna sullo sfondo di 'Il richiamo di Alma' (Adelphi, 1980). Trieste, che pure gli andava stretta, da cui eternamente sognava di fuggire, insomma ritorna sempre” (pp. 117-121).

E lascia un segno. Niente è andato in fumo. E a testimonianza di quanto sia generazionale ed esemplare la lezione di Mattioni, aggiungo – piccola nota personale – che questo libro mi è stato donato da un giovanissimo letterato e regista triestino, Gianluca Minucci. Uno che farà parlare tanto di sé. Un artista puro. Grazie.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Stelio Mattioni (Trieste, 1921 – Trieste, 1997), giornalista, scrittore e poeta italiano. Ha esordito pubblicando in poesia “La città perduta” (1956) e in narrativa “Il sosia” (1962).

Stelio Mattioni, “Memorie di un fumatore”, MGS Press, Trieste 2009.

Gianfranco Franchi, luglio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Notevole memoir di Mattioni, postumo…