L’operaio

L'operaio Book Cover L'operaio
Ernst Jünger
Guanda
2000
9788882462284

“Non esiste un potere astratto, così come non esiste una libertà astratta. Il potere è un segno caratteristico dell'esistenza, e a ciò corrisponde il fatto che non esiste neppure alcuno strumento di potere in sé e assoluto: gli strumenti ricevono il loro significato dall'ente che di essi si serve” (p. 65)

1932. Jünger pubblica “Der Arbeiter”, saggio politico che configura un futuro in cui gli operai possano animare una autentica democrazia del lavoro: l'artista tedesco considera terminata l'era del terzo stato – la borghesia – e giudica i lavoratori tedeschi unici eredi della cultura nazionalista prussiana; assieme, auspica la nascita di un “movimento combattentistico, un partito social-rivoluzionario, un esercito” che sappia tramutarsi in una “nuova aristocrazia che s'impossessa dei mezzi decisivi di natura spirituale e tecnica. La differenza che esiste tra simili grandezze e un partito vecchio stile è evidente. Qui si tratta di allevare e selezionare, mentre lo sforzo del partito politico è rivolto all'educazione delle masse” (p. 239). Non poteva immaginare che, di lì a un anno, la tragedia distruttiva e autodistruttiva del nazismo avrebbe incenerito la sua visione, macchiandola di rovina e di vergogna, quasi fosse stata una profezia infernale: nella premessa all'edizione del 1963, spiega: “In quegli anni, nessuno poteva ormai negare che il vecchio ordine di cose fosse insostenibile, né sopravvivevano dubbi sull'avvento di nuove forze. Il saggio rappresentò e rappresenta il tentativo di raggiungere un punto di osservazione dal quale gli avvenimenti molteplici e contrastanti possano essere non soltanto capiti, ma anche affrontati, per quanto ciò finisca per essere pericoloso. Non è un caso che il libro sia apparso poco prima di una delle grandi svolte; e non mancarono voci che gli attribuirono un'influenza sugli eventi (…) neppure io, con rammarico, posso approvare una simile interpretazione (…). Se i grandi protagonisti si fossero lasciati guidare dai principii sviluppati in queste pagine, avrebbero tralasciato molto d'inutile ed anzi d'insensato, e avrebbero fatto il necessario, probabilmente anche senza la forza delle armi. Invece, misero in moto una macina schiacciasassi il cui significato nascosto era destinato a rivelarsi proprio nelle conseguenze che essi meno prevedevano: l'ulteriore disfacimento dello Stato nazionale e dell'ordine che con lo Stato era connesso” (p. 7).

Il titolo dell'opera è di difficile traduzione. Spiega Quirino Principe: “In Francia, il traduttore abituale di Jünger, Henri Plard, ha preferito il titolo 'Le travailleur', e anche Alain de Benoist trova troppo riduttiva la parola 'ouvrier', che da alcuni è stata usata. Noi, a un possibile 'Lavoratore', preferiamo 'L'operaio', per quella quasi impercettibile sfumatura di maggiore virilità e miticità che era nelle intenzioni di Jünger, e per il suo stesso suono assurdamente paradossale, quasi di antifrasi al principio (…). Quanto al 'milite del lavoro' proposto da Delio Cantimori, si tratta certamente, come nota Ferruccio Masini, di un'espressione felice, ma troppo analitica, tale da dare già tutti i significati in partenza: ciò che Jünger non voleva” (nota 2, p. IV).

Detto questo, è fondamentale aggiungere che si tratta di un libro estremamente vincolato al momento storico in cui fu scritto: la congetturata fine dell'individuo borghese e romantico è stata ampiamente smentita, così come la possibilità che l'operaio (il lavoratore; il milite del lavoro), svincolato da ogni connotato di classe, “dominasse la tecnica trasformandola in forza costruttiva”. Tuttavia il saggio di Jünger mantiene vivi fascino e letterarietà, costituendo per i contemporanei una macabra, torrenziale ma suggestiva fonte per capire quali fossero le condizioni culturali e spirituali della Germania prima dell'avvento del regime nazionalsocialista; assieme, nella sua natura ultima, anarco-aristocratica, rimane allineato ai sogni di una società e di una civiltà retta con diversa intelligenza e amore dei cittadini, rispetto alle repubbliche parlamentari o alle monarchie costituzionali, emblema della corruzione, dello spreco delle risorse, dei privilegi delle vecchie aristocrazie e del clero europeo.

Jünger spiega, nelle prime battute, cosa significasse la libertà in Germania: “In questo Paese è impraticabile un concetto di libertà che si voglia applicare, come una misura immutabile e indifferente ai propri contenuti, a qualsiasi grandezza si pretenda di adattargli. Qui invece, da sempre, si è imposto questo principio: la misura di libertà, di cui una forza dispone, corrisponde esattamente alla misura degli obblighi ad essa assegnata” (p. 14).

Vale a dire: il cittadino tedesco è un buon patriota con un enorme senso della solidarietà sociale e dello Stato; ama ubbidire perché ama ascoltare, ed è pienamente consapevole che il capo della nazione è il primo soldato e il primo operaio della nazione:

“L'ubbidienza è l'arte di ascoltare, e l'ordine è la disposizione ad accogliere la parola, la disposizione ad accogliere il comando che trascorre come un fulmine dalla cima alle radici. Ognuno e ogni cosa trova il suo posto nell'ordine feudale, e il capo della nazione è riconoscibile dal fatto che egli è il primo servitore, il primo soldato, il primo operaio. Perciò, sia la libertà che l'ordine si riferiscono non già alla società, bensì allo Stato, e il modello di ogni struttura è la struttura militare, non certo il contratto sociale” (p. 15). Dominio e servizio sono la stessa cosa: e questo la borghesia, secondo Jünger, proprio non l'ha compreso.

Ecco quindi che il mitico lavoratore (operaio) di Jünger riconosce, nelle radici profonde del suo essere, “la vocazione a una libertà totalmente diversa dalla libertà borghese, e le esigenze che egli è pronto a rivendicare sono di gran lunga più ampie, più importanti e più temibili di quelle che una classe sociale potrebbe far proprie” (p. 19). Vale a dire: il cittadino lavoratore immaginato da EJ crede che le regole e gli obblighi coincidano con la sua libertà, perché in ogni sua azione egli è onesto, leale, patriota e solidale; il suo bene coincide con il bene del suo popolo, perché altro bene non può esistere; ben venga un nuovo ordine, solo apparentemente gerarchico, in realtà – a ben vedere – iperlibertario, in questo senso.

Invece, “l'incarceramento delle passioni è la ricevuta che il borghese rilascia come garanzia, per potersi godere in pace il bottino delle rivoluzioni, e l'impiccagione del boia è il dramma satiresco che conclude la tragedia dell'insurrezione”: e il borghese riconosce la guerra soltanto in accezione difensiva (dei suoi diritti; dei suoi privilegi) perché...

“Nella conquista di una colonia, egli sa riconoscere un fenomeno di pacifica penetrazione; nel portare via una provincia da uno Stato, egli vede l'autodeterminazione del popolo; il saccheggio sulla pelle dei vinti è per lui una riparazione. Ma è sufficiente conoscere i suoi metodi per indovinare che la concezione di questo suo vocabolario ha avuto inizio dall'identificazione di 'Stato' e di 'società” (p. 21).

Perché? Perché “società è l'intera popolazione del globo terrestre, concepita come l'immagine ideale di un'umanità la cui divisione in Stati, nazioni o razze trae fondamento da null'altro che da un errore del pensiero (…). Società è lo Stato, la cui essenza si cancella in proporzione a come la società assoggetta lo Stato alle proprie categorie e misure (…). Suo strumento è il concetto di libertà borghese, il cui compito è la trasformazione di tutti i vincoli responsabili in rapporti contrattuali con possibilità di rescissione” (p. 22).

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Più avanti, Jünger spiega che una differenza tra il borghese e il soldato combattente al fronte (chiaro è che questo soldato è un operaio) è che il borghese cerca sempre la strada della trattativa, mentre per il soldato la guerra significa “spazio in cui abbia valore morire, ossia vivere in modo tale da riaffermare la forma dello Stato: di quello Stato che per noi è destinato a rimanere, anche se gli sottraggono il suo corpo” (p. 37). In questo frangente, è particolarmente sensato ribadire la drammatica ed eroica esperienza del soldato Ernst Jünger al fronte, nella Prima Guerra Mondiale: chi ha visto cadere tanti fratelli non può accettare che sia accaduto invano, e per tutta la vita cerca di dare senso a un evento che ha, purtroppo, soltanto molti significati diversi. Ecco che diventa chiara anche l'assimilazione dell'operaio al prussiano: “Il concetto prussiano di dovere si adatta ad essere applicato, nel suo carattere intellegibile, proprio al mondo del lavoro (…). La filosofia prussiana è individuabile dovunque nel mondo nuove realtà si sforzino di esistere” (p. 63).

Questo è quanto. Irragionevole considerare “proibito”, come per molto tempo è stato (Evola pubblicò un lungo commentario a questo saggio, appurata l'impossibilità di trovare un editore disposto a tradurlo), un libro come “L'operaio”. È un trattato della sofferenza e del desiderio di rigenerazione di un popolo sconfitto in guerra, e della sua volontà di tornare a vivere con dignità, semplicità e giustizia. Il sogno ultrademocratico di una nazione non socialista, ma egualmente fondata sulle capacità e sulla dedizione dei lavoratori, il sogno di una nazione deideologizzata, e ultrasolidale, gerarchica, ma profondamente anarchica, è un principio di grande forza letteraria, enorme fumosità e scarsa applicabilità. La coincidenza tra “filosofia prussiana”, infine, e “senso del dovere” in tutto il mondo, è prova dell'amore di Jünger per il suo popolo; una delle molteplici forzature (romantiche: che gran paradosso) di questo volume, destinato a passare dagli scaffali di filosofia politica a quelli, più consoni a EJ, di narrativa. Metapolitica, e metafisica.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d'acciaio” nel 1920. Studiò Filosofia e Scienze Naturali a Lipsia.

Ernst Jünger, “L'operaio”, Guanda, Parma, 1991. A cura di Quirino Principe. Collana “Testi e documenti della Fenice”.

Prima edizione: “Der Arbeiter”, 1932. IT: Longanesi, 1984.

Gianfranco Franchi, novembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Saggio politico che configura un futuro in cui gli operai possano animare una autentica democrazia del lavoro…