Lo sbaglio

Lo sbaglio Book Cover Lo sbaglio
Flavia Piccinni
Rizzoli
2011
9788817050890

Dramma borghese, generazionale ed esistenziale, “Lo sbaglio” [Rizzoli, 312 pagine, euro 18.50], secondo romanzo della scrittrice tarantina Flavia Piccinni, classe 1986, lucchese d'adozione, è uno spaccato d'un periodo di profonda decadenza e di confusione: individuale, sociale, estetica. È un libro di narrativa che riesce a comunicare malessere e insofferenza su più livelli; e in questo senso sa interpretare correttamente lo spirito del nostro tempo, precipitato in una paura del futuro che sembra rivelarci la prossimità d'una guerra, e altrimenti piombato in un torpore che racconta la depressione d'una generazione intera che non si sente più necessaria, più utile a niente, e assiste alla distruzione della legge e della morale con l'aria misteriosa di chi ha capito che la caduta del sistema è sin troppo naturale: è nelle cose.

La protagonista del libro della Piccinni, Caterina, è una che vorrebbe imparare a rischiare. Nella vita, come negli scacchi, sua grande passione, sua velleitaria potenziale professione: vorrebbe trovare il “coraggio di sacrificare e di lottare anche in condizioni disperate”: vorrebbe vincere la paura, vorrebbe vincere ogni angoscia; stenta. Vagola: prende tempo. Intanto studia all'Università, come se fosse inevitabile, e all'orizzonte si prospetta il lavoro in farmacia, con la mamma: come la mamma. Studia, e si domanda quando riuscirà a discutere la tesi – perché di questo passo rischia di dimenticare “la forza, la sottomissione, con cui ho scelto di iscrivermi a farmacia” [p. 68]; incespica su qualche esame, forse volontariamente forse no, e rifiuta, comunque, le scorciatoie: di tutti i generi.

Il padre è un imprenditore, assente. Uno che durante gli anni delle scuole non sapeva nemmeno in che classe e in che sezione fosse la figlia, uno per cui era tutto uguale. Il fratello minore è Carlo; studia ancora al Liceo e non fa niente per nascondere d'essere viziato, e di non sapere che direzione prendere: “è stato abituato così, a sciupare ciò che non gli interessa, a non pensare a niente perché i genitori si occuperanno sempre di lui” [p. 259]. Nei ritagli di tempo, combina guai e frequenta persone sbagliate.

Il fidanzato di Caterina, Riccardo, “occhi da zingaro e capelli ricci e neri”, è un ragazzo di plastica; sta nel mondo degli affari – sta tra quelli che vanno a fare investimenti in nazioni in cui in questo periodo conviene, come la Turchia: a quanto pare – e ha già imparato a mentire, con italiota disinvoltura. Lei l'ha tradito con Duccio, e non è stato il primo, e non è stata la prima volta. Ma Duccio insiste. Non se ne sta al suo posto. E forse fa bene. Caterina non vuole saperne di sposarsi con il destino – con il ragazzo imposto dal destino, per perpetuare certi sbagli.

La madre di Caterina è Giuseppina, detta Tina, tarantina, figlia di un sindacalista dell'Ilva, comunista, e di una maestra delle elementari, nostalgica. Giuseppina è “una che ha incontrato papà nei corridoi dell'Università di Pisa, al primo semestre, e non l'ha più lasciato. Quella che adesso lavora con lui e che prima di arrivare in Toscana, alla civiltà, non aveva mai assaggiato il caviale né bevuto lo champagne, conosceva solo le cozze e i cannolicchi al limone, soltanto la birra Raffo” [pp. 18-19]. Tina è una che per la famiglia e per la borghesia ha rinunciato a Taranto, al suo tessuto sociale, alla sua libertà, alla sua essenza: e sta cominciando a stancarsi, e chissà – forse vuole riprendere possesso della sua vita prima che sia troppo tardi, nonostante tutto, nonostante tutti.

Entriamo in questa famiglia di personaggi nel momento in cui si rompono tutti gli equilibri: la mamma ha un malore e viene portata in ospedale, Caterina deve prendere il suo posto a casa e in farmacia e non sa nemmeno dove cominciare, e forse non ne ha nemmeno voglia, e intanto i conti in casa stanno messi sempre peggio, e intanto il fratellino s'è beccato una sospensione, a scuola. Entriamo in questa famiglia nel momento in cui si rompe per sempre l'epoca del compromesso – e la verità costringe tutti a versare un tributo.

Quello di Caterina è un tributo doloroso, e tumultuoso – e figlia coscienza nuova. Quella d'aver capito di non voler essere come chi l'ha preceduta; di non voler passare la vita ad assecondare disposizioni e desideri, come fossero diktat, e di non voler essere responsabile d'altro da sé: “Io voglio essere sola” - dice – “Voglio che il mondo come lo conosco finisca con me” [p. 202]. E altrove: “Voglio che il tempo sia solo mio […]. Non voglio niente di tutto questo” [p. 244]. Non vuole eternare ciò che ha ereditato: un sistema sociale, culturale, economico e famigliare sbarellato, inconcludente e plastico. La piccola rivoluzione di Caterina è imparare ad ammetterlo. E a scoprire cosa significa, e cosa implica, ammetterlo.

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Il libro è ambientato a Lucca – cittadina borghese in discreta decadenza, come il resto della nostra nazione, in grave sofferenza complice la recessione, che si ritrova a vivere per un po', in queste pagine, “dentro una palla di neve. Le sue case sono di vetro, e tutto il resto è ghiaccio” [p. 136]. E allora tutto, da quelle parti, diventa come una prigione, nelle pagine della transizione di Caterina: “Le mura medievali con i tigli e le querce, i baluardi dalle altalene colorate, i fiori gialli che crescono vicino alle panchine e le panchine che affacciano solo, sempre, esclusivamente sulla città. Lucca è una finestra su un meraviglioso cortile in cui non succede niente” [p. 174].

E questo meraviglioso cortile in cui non succede niente è la giostra borghese di questa nostra epoca di fine regime: la grande abbuffata (quanto si mangia e come si mangia bene, nella prima parte di questo libro...) che annuncia il collasso. E niente, bisogna sapere scegliere da che parte stare; bisogna saper scegliere come e cosa e dove guardare; bisogna saper scegliere a cosa rinunciare.

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Sicuramente un grande passo avanti rispetto ad “Adesso tienimi” [Fazi, 2007], “Lo sbaglio” è un romanzo non più giovanile e nient'affatto di maniera; è pieno di sentimento ed è tessuto per sviluppi non sempre previsti e già visti, e si sente che nasce da profonde e dolorose e vere riflessioni, e da una valanga di belle letture, e da qualche piacevole civetteria. È un romanzo d'una provincia occidentale abbastanza universale, non solo toscana, non solo italiana; andrà incontro a buone traduzioni all'estero. Darà all'autrice l'energia per plasmare un terzo romanzo più personale e intenso ancora. È nelle cose.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Flavia Piccinni (Taranto, 1986), scrittrice italiana. Ha esordito pubblicando “Adesso tienimi” (Fazi, 2007). Collabora con “Il Riformista” e con “Nazione Indiana”.

Flavia Piccinni, “Lo sbaglio”, Rizzoli, Milano 2011. Pagine 312, euro 18,50.

Gianfranco Franchi, settembre 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Dramma borghese, generazionale ed esistenziale…