L’egemonia sottoculturale. L’italia da Gramsci al gossip

L' egemonia sottoculturale. L'italia da Gramsci al gossip Book Cover L' egemonia sottoculturale. L'italia da Gramsci al gossip
Massimiliano Panarari
Einaudi
2010
9788806204839

Massimiliano Panarari, classe 1971, consulente di comunicazione pubblica e politica, docente universitario di Analisi del linguaggio politico, firma di Repubblica e del Mulino, autore del recente, discusso “L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip” (Einaudi, pp. 148, € 16,50), è un intellettuale di sinistra con una visione solare del futuro.

GF: Siamo nel fulcro del degrado culturale: dai giorni di “Drive-in” al trionfo dell’antipolitica. L’intrattenimento s’è fatto cultura dominante. È come l’anestesia di Marcuse. Un incubo. Quanto si sta rivelando vero e profetico questo suo saggio?

MP: Giudicando dall’insieme di reazioni, direi che il mio libro ha saputo interpretare uno Zeitgeist, uno spirito del tempo. Ambiti politici culturali ben diversi e distanti, per formazioni e preferenze, andavano già da tempo in queste direzioni: penso alle contaminazioni culturali del Secolo d'Italia, come agli ultimi libri di Nicola Lagioia (“Riportando tutto a casa”) e di Luca Mastrantonio (“L'irrazionalpopolare”). Credo che questo saggio abbia rappresentato una sorta di precipitato e abbia elencato una serie di fenomeni, per dimostrare che il berlusconismo è fondato su un’idea di politica fatta sull’“iperrealtà”, cioè sulle rassicurazioni di un mondo ben diverso da quel che appare. Le televisioni in Italia, a partire da “Drive-in”, hanno rappresentato la manifestazione più nazionalpopolare del neo-liberismo. Questo fenomeno epocale, da un punto di vista economico e culturale, è diventato massiccio ed efficace soprattutto grazie al radicamento della televisione.

GF: Neo-egemonia culturale, allora: da Gramsci al Gabibbo. E quindi, se si dovesse presentare la possibilità di cantare con un gran disimpegnato come Aznavour...

MP: Direi che questo è l’inveramento di quest’idea per cui tutti i registri sono stati abbattuti, e la politica, lo spettacolo e la musica, in dimensione disimpegnata, diventano tuttuno, una sorta di impasto micidiale. Eco ci ha insegnato che non c’è barriera tra cultura alta e bassa, l’episodio di cronaca appena citato dimostra che il salto di qualità sta nel fatto post-postmoderno che il controllo politico passi nell’abbattimento di tutte le barriere: per costruire
consenso (audience) non ci si serve delle categorie della politica, ma di qualcosa di lontano dalla politica novecentesca. Ciò prepara l’apoteosi dell’antipolitica. Come un disco di Apicella,  come un passato da cantante sulle navi da crociera. Magari cantando Aznavour...

GF: Insomma: se la cantano, se la suonano... è una nuova politica. chiamiamola “la politica del cucù”. Come categorizzarla?

MP: È una definizione calzante. Credo che “Egemonia sottoculturale” sia un tentativo di raccogliere tanti fenomeni come questo. Non c’è bisogno di ricordare quanto Gramsci ci ha raccontato della storia d’Italia, e come il nucleo originario del concetto di egemonia culturale sia spendibile e impiegabile oggi, in scenari completamente cambiati, nelle relazioni tra certe classi dirigenti e
una parte del popolo italiano.

GF: Una cena a casa di un giornalista tv: per studiare una buona exit strategy, a microfoni spenti. Ideale per salutare forse “la fine dell’opinione pubblica”?

MP: Ho grande simpatia per l’attovagliamento, come dice D’Agostino, ma credo che la sinistra più che fare cene dovrebbe rimettersi a studiare, rinchiudersi in centri studi per ripensare all’importanza dell’immaginario. L’immaginario è più importante di interessi e condizioni materiali sulle scelte di voto.

GF: Quali possono essere i nuovi intellettuali e i nuovi artisti italiani di riferimento, per forgiare e plasmare una nuova egemonia culturale? Quanto è importante che siano estranei all’ideologia?

MP: Credo che una persona molto capace sia Carlo Freccero. Credo che molte lezioni dovremmo prenderle da Aldo Grasso, da Alberto Abruzzese. Credo che il PD possa attingere a Gianni Cuperlo. Credo si debba guardare con attenzione a ciò che accade in Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Dovremmo rileggere libri usciti tra Sessanta e Settanta, perché i situazionisti come Debord avevano già saputo anticipare certe cose. Proprio come Foucault.

GF: «Mezzi di distrazione di massa». Qual è la distrazione ideale per esorcizzare l’incubo “P3”? Un altro esercizio di voyeurismo supremo?

MP: Probabilmente sì. Una cosa cui ci ha abituato questo uso della tv è l’enorme potere simbolico e l’enorme creatività che è in grado di mettere in gioco soluzioni inimmaginabili. Un nuovo reality potrebbe essere adatto: o una nuova rivoluzione del costume (come quella che ci ha trasformati forzatamente in coatti): siamo passati dal realismo all’iperealitysmo. Le vie del potere manipolatorio che utilizza armi di distrazioni di massa sono infinite. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi... serve spirito critico.

GF: Sin qua, quali tra le reazioni al suo libro l’hanno più sconfortata, e quali più stupita?

MP: Sì... “Il Giornale” e “Libero” sono stati particolarmente duri e feroci: mi permetto di immaginare che sia successo perché il libro ha colto nel segno. Sono positivamente colpito dallo spazio dedicato al testo da Secolo e Farefuturo: la sua compatibilità col lato eretico e corsaro del loro lavoro conferma che questo è un libro fuori dagli schemi. Don Andrea Gallo ha detto a Repubblica Genova che questo è un saggio indispensabile da leggere: mi ha fatto piacere, dico davvero.

GF: Nuove narrazioni capaci di riconquistare gli spettatori-(e)lettori: cosa immagina, oggi? Può Vendola...?

MP: Sì, io credo che Vendola sia la risposta più facile e immediata, nel suo lessico politico postmoderno di sinistra ha colto la dimensione della narrazione. In generale, mi riferisco al centrosinistra, il discorso delle narrazioni diventa fondamentale, in questo momento. Il punto è fare proprio questo linguaggio decisivo, quello televisivo, sperimentando e innovando: non con un palinsesto bacchettone, ma servendoci di un mezzo di massa formidabile come la tv e animando un modello culturale, e non subculturale, che sappia essere non supponente e sappia portare informazione, conoscenza e spirito critico.

GF: Il suo saggio, assieme all’ultimo romanzo di Carlo D’Amicis, “La battuta perfetta”, ha interpretato tutto il malessere per la decadenza culturale italiana. Protagonista, guarda caso, la fatiscenza catodica... superato il complesso di Eco?

MP: Sì... un ottimo romanzo. Rientra in questa congerie. Siamo probabilmente a uno zenit del fenomeno: la cultura bassa ha finito per sovvertire completamente la realtà, e le sue manifestazioni più prive di contenuto culturale autentico hanno finito per diventare dominanti. Grazie a Eco esistono fenomeni che hanno segnato in maniera potente la cultura nazionale, dalle graphic novel ai fumetti. L’elemento nuovo che invera le considerazioni di Eco è che l’assenza di cultura si trasforma in egemonia sottoculturale. Diventa quindi uno strumento di controllo, per dirla con Foucault.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Massimiliano Panarari (1971) consulente di comunicazione
pubblica e politica, docente universitario di Analisi del linguaggio
politico e firma di “Repubblica” e del “Mulino”.

Massimiliano Panarari, “L'egemonia sottoculturale”, Einaudi, Torino 2010.

Gianfranco Franchi, luglio 2010. L'intervista, in forma leggermente diversa e più sintetica, è apparsa sul “Secolo d'Italia” del 17 luglio, p. 4. A ruota, Lankelot.