L’Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo

L'Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo Book Cover L'Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo
Aldo Ferrari
Salerno
2019
9788869734120

Aldo Ferrari restituisce cinque luoghi della millenaria storia armena: cinque simboli. Cinque nomi, fondamentali per rappresentare e sintetizzare la cultura e lo spirito armeno. Cinque microcosmi inequivocabilmente armeni: oggi al di fuori del territorio armeno. Il primo è un monte, l'Ararat, quello che i persiani chiamano Kuh-i-Nuh, il "Monte di Noè". Il secondo è un campo di battaglia, Avarayr: là, dove Vardan Mamikonian, pure sconfitto, si conquistò l'eternità. Il terzo è un lago, il lago di Van, il giardino perduto degli armeni. Il quarto è un'antica capitale, Ani, deserta e spoglia, in rovina da secoli. Il quinto è una città che è stata sconvolta, snaturata e poi ferocemente turchizzata, Kars, ormai irriconoscibile. Quattro di questi luoghi si trovano nell'odierna Turchia, abitati e governati da un popolo genocida: uno, invece, in Iran, dove, come spiega il professor Ferrari, "la situazione del patrimonio armeno è per fortuna molto differente da quella esistente in Turchia e Azerbaigian".

La nazione erede del Regno d'Armenia, primo Stato cristiano della storia (301 d.C.) si trova così orfana di buona parte del suo territorio e dei suoi simboli: in Turchia, come ben sappiamo, la popolazione armena è stata massacrata o espulsa, e "le abitazioni, le scuole, gli ambienti lavorativi distrutti o destinati ad altri usi": le chiese trasformate in moschee, quando andava bene (si fa per dire), oppure in stalle, o in fienili, o in magazzini; la nazione turca ha imposto un discorso storiografico che nega in toto l'eredità armena, minimizzando o ridicolizzando quella greca o greco-romana ed esaltando, all'opposto, l'origine anatolica. I programmi scolastici sono stati adattati a dovere, con lacune e negligenze imbarazzanti, umilianti o ridicole. Così la propaganda politica.

Il territorio dell'Armenia storica è ormai divenuto "un gigantesco sito del trauma": un trauma, peraltro, cancellato e negato e quindi quotidianamente alimentato. Un territorio che aveva saputo restare vitale e carismatico nonostante i primi massacri del 1894-96, "poi completamente spazzato via dalla violenza dei Giovani Turchi, iniziata e culminata nel 1915", soffre oggi un genocidio culturale. Lemkin, nel 1947, riferiva che un genocidio culturale si compie "prevalentemente nei campi religioso e culturale, distruggendo istituzioni e oggetti attraverso i quali la vita spirituale di un gruppo umano trova la sua espressione, quali luoghi e oggetti di culto, scuole, tesori d'arte e cultura": così è stato fatto. Riferisce Ferrari che secondo l'archivio del Patriarcato armeno di Costantinopoli, prima del genocidio, esistevano nell'impero ottomano 2538 chiese, 451 monasteri e 1996 scuole. Secondo i dati UNESCO del 1974, dei 914 monumenti armeni sopravvissuti al genocidio, 464 erano stati completamente distrutti, 253 si trovavano in rovina e 197 richiedevano restauro. Oggi, nell'odierna Turchia del sultano Erdogan, non c'è più nessun monastero e nessuna scuola armena; sei le chiese ancora in funzione; le famigerate croci di pietra sono state spezzate o sradicate o disintegrate; i cimiteri vandalizzati; qualche sconsiderato è rimasto a vivere a Istanbul, altri nell'ultimo degli eroici villaggi del Mussa Dagh ancora abitati da armeni, il villaggio di Vakif. In quali condizioni si sia rimasti, è facile immaginarlo: per la legge turca, i cittadini non musulmani, "in particolare i cristiani e gli ebrei", sono, letteralmente, "stranieri indigeni". Agli armeni della diaspora non rimane che piangere il loro "paradiso perduto", sognando un impossibile ritorno a casa. Magari, come scrive la Arslan nella prefazione, commuovendosi per "la scientifica e accuratissima eliminazione, compiuta dovunque possibile, di ogni traccia dell'esistenza degli armeni", e di tutti i nomi dei luoghi. "La terra che fu loro è perduta per sempre, e non c'è viaggio della memoria o sogno del desiderio che gliela possa rendere; così è del sacro monte Ararat, e del misterioso lago di Van, culla acquea del popolo armeno".

Un saggio profondamente coinvolgente, onestamente scombussolante, destinato, nella vostra biblioteca, a guadagnare spazio nello scaffale dedicato alla storia degli armeni, magari a fianco di libri come Il genocidio degli armeni, di Marcello Flores [Mulino, 2006], Gli armeni di Gabriella Uluhogian [Mulino, 2009] o La strage dei cristiani. Mardin, gli armeni e la fine di un mondo di Andrea Riccardi [Laterza, 2015]: Aldo Ferrari ha saputo raccontare e restituire una vicenda complessa e terribilmente sinistra, poggiando su un'apprezzabile documentazione e su una nutritissima serie di letture. Si imparano facilmente molte cose – vale anche per chi aveva già letto abbastanza sul nobile e martire popolo armeno. Si trova traccia della sorte del Naxijewan, per millenni parte dell'Armenia storica, oggi incredibilmente in territorio azero, il patrimonio artistico in condizioni di abbandono o peggio, la popolazione originaria dissolta. Si trovano elencate le dodici capitali avute, nel tempo, dai regni armeni, da Van a Sis, passando per Ani e Bagaran. Si apprezza la ben diversa sorte dei monasteri e dei quartieri armeni in territorio iraniano; si ragiona con più chiarezza sulle mutue influenze tra armeni e persiani. Nutrite e raffinate le reminiscenze letterarie; apprezzabili i riferimenti ai passaggi tra una dominazione e l'altra nelle città protagoniste dello studio. Destinati a dare vita a ripetute e profonde ore di meditazione le osservazioni sulla battaglia di Avarayr come fondamento di una "ideologia martiriale" armena: "essersi mantenuti così incrollabilmente fedeli al cristianesimo, in un contesto storico-culturale che diveniva sempre più ostile, ha costituito la causa principale delle infinite sofferenze patite dal popolo armeno, fino al genocidio del 1915, evento cruciale della sua storia [...]. Nella prospettiva storica armena, cioè, il genocidio del 1915 viene visto come l'ultima e più grande manifestazione di martirio collettivo subito per ragioni religiose".

Fermiamoci qui. Vengo a qualche utile annotazione finale di carattere strutturale, editoriale e biobibliografico. L'Armenia perduta. Viaggio nella memoria di un popolo è strutturato in un'introduzione, cinque capitoli ["Ararat, la montagna sacra"; "Avarayr: il battesimo di sangue", "Van in questo mondo, il Paradiso nell'altro", "Ani: il sogno di una capitale", "Kars: una città di frontiera"]; è completo di una buona e dettagliata bibliografia; include indice dei nomi, indice dei luoghi, indice delle (poche, ma adeguatamente avvilenti) illustrazioni.

È stato pubblicato da Salerno nella collana "Piccoli Saggi", in compagnia di titoli apprezzabili come il recente Bisanzio prima di Bisanzio. Miti e fondazioni della nuova Roma di Tommaso Braccini, o come l'amabile Costantinopoli. Metropoli dai mille volti di Peter Schreiner, o come il dignitoso ma lacunoso Quataert de L'impero ottomano [1700-1922]. L'autore, Aldo Ferrari [Ancona, 1961], storico e politologo italiano specializzato in armenistica e slavistica, insegna Lingua e Letteratura Armena, Storia della Cultura Russa e Storia del Caucaso e dell’Asia Centrale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. È stato presidente dell'Associazione per lo Studio in Italia dell'Asia Centrale e del Caucaso (ASIAC), è membro del comitato scientifico del prestigioso Osservatorio Balcani e Caucaso. Tra le sue pubblicazioni dedicate all'Armenia, ricordo almeno Alla frontiera dell'impero. Gli armeni in Russia 1801-1917, (Mimesis, 2000); L'Ararat e la gru. Studi sulla storia e la cultura degli Armeni, (Mimesis, 2008); In cerca di un regno. Nobiltà, profezia e monarchia in Armenia tra Settecento e Ottocento (Mimesis, 2011); Armenia. Una cristianità di frontiera (Il Cerchio 2016).

Gianfranco Franchi, ottobre 2019.

Prima pubblicazione: Mangialibri

Per approfondire: WIKI su A. Ferrari / UniVe – Ferrari / Associazione Italia Armenia / scheda editoriale con rassegna stampa / Aldo Ferrari in Limes / mio vecchio scritto sul centenario del genocidio degli armeni.

Cinque luoghi della millenaria storia armena: cinque simboli. Cinque nomi, fondamentali per rappresentare e sintetizzare la cultura e lo spirito armeno. Cinque microcosmi inequivocabilmente armeni: oggi al di fuori del territorio armeno.