L’angelo sigillato

L'angelo sigillato Book Cover L'angelo sigillato
Nikolai Leskov
Garzanti
2009
9788811365310

Leskóv è l’ennesima figura letteraria ingiustamente “laterale”: estraneo alle logiche politiche ed editoriali della Russia del secondo Ottocento, autodidatta rapidamente emarginato dal sistema, si è rivelato artista dallo stile fascinoso e deliziosamente naif e sensibilissimo interprete della voce del popolo.

Afferma Bruno Osimo, curatore dell’edizione: “Il 'popolo' di Leskóv si narra in prima persona e il lettore si trova ad ascoltare la viva voce del novellatore. Lo scrittore Leskóv, artigiano che opera con l’occhio, con l’anima e con la mano, lascia che altri artigiani – fabbri, 'connesséri', isografi – creino un mondo capovolto, dove l’unica normalità è la creatività povera, dove paradossalmente l’unico normale è il diverso, vuoi perché ebreo, vuoi perché “giusto”, vuoi perché onesto e fedele allo zar”.

Lo skaz di Leskóv, scrive più avanti il traduttore, è “l’isografia della parlata di persone vere”: valgano queste parole del coraggioso studioso come miglior presentazione d’un romanzo breve, questo “L’angelo sigillato”, che davvero meriterebbe d’esser letto e goduto in lingua originale: una tale effervescenza linguistica, una tale polifonia e una simile originalità vanno inevitabilmente perdute in qualunque traduzione. Dubito che si possa ribadire il concetto di “fedeltà” al testo: impossibile assaporare certe sfumature lessicali e impossibile approdare agli originari strati semantici d’ogni singola parola d’una lingua che andremo ricostruendo nella speranza, al limite, di mantenerne vivo il ritmo e di rifletterne qualche colore. Scrivevo, poco fa, che Osimo è stato coraggioso: tradurre un libro del genere implica inevitabilmente una sovraesposizione alle critiche. Non possono essere dei calchi e dei neologismi a sostenere l’impianto dell’edizione italiana: ma s’apprezza, e infinitamente, la dedizione empatica al testo, e l’entusiasmo idealistico.

Da lettore appassionato, manifesto riconoscenza: tenevo ad affermarlo. Tuttavia, ritengo credibile che si possa parlare, in circostanze come questa, di un “altro libro” a tutti gli effetti: senza scomodare la questione Foscolo-Sterne del “Sentimental Journey”, ribadisco che è comunque assai difficile che un libro che adotti la tecnica dello skaz possa venire fedelmente geminato in un’altra lingua. Veniamo alla trama e a qualche rapida annotazione.

Nel cammino dell’uomo che va in giro la prima cosa è il compagno di viaggio; con un compagno intelligente e buono anche il freddo e la fame sono più lievi, e a me questo bene era stato dato nel miracoloso adolescente Levóntij. Io e lui ci siamo incamminati a piedi, avendo con noi i sacchi e una somma sufficiente, e per la difesa loro e della nostra vita avevamo con noi una vecchia sciabola corta con un largo manico, che avevamo sempre conservato per un’occasione di pericolo. Abbiamo seguito noi il nostro cammino fingendoci uomini di commercio, inventando come capitava a seconda del posto il motivo per il quale stiamo viaggiando, e invece noi, s’intende, perseguivamo la nostra causa” (N.Leskóv, “L’angelo sigillato”, capitolo decimo).

Un misterioso ometto fulvo dalla barbetta aguzza, Mark Aleksàndrov, è il narratore della vicenda. Durante un tormenta, assieme ad altri viandanti assiepati in una locanda, appare a dirimere una questione tra l’oste e un gruppo di avventori che insistono per poter entrare a ripararsi dal freddo, invano. L’umanità raccolta nella locanda è eterogenea e finalmente equiparata dalla necessità fisiologica di trovarsi sotto un tetto: nobili, mercanti e contadini si tengono stretti e attendono che passi la bufera, rallegrati e incantati, nel frattempo, dal racconto d’una storia che promette magia. Perché “non tutti sono in grado di vedere la strada dell’angelo”, e solo un vero esperto “può averne cognizione”.

E così, da un angolino della locanda, in ginocchio, la voce dell’ometto sospende il tempo e rapisce. Lui è un mugìk. È un artigiano, forestiero, poco istruito. Orfano, fin da bambino ha lavorato con i compaesani nella compagnia dell’agricoltore Lukà Kirilov, leader carismatico dei lavoratori, maestro di mestiere e di fede. Lukà era un grande collezionista di icone sacre: era uno dei vecchiocredenti, scismatici esuli nella periferia dell’impero, contrastati e martoriati dalle autorità, radunati in piccoli villaggi, gli skity, senza la guida di un pope.

Sul petto, Lukà portava la splendida icona di un angelo, che la comunità adorava e considerava una sorta di guida spirituale. Per molti anni, la fede nell’icona aveva protetto e tutelato i lavoratori. Fin quando, giunti per costruire un ponte nei pressi di una grande città sul fiume Dnepr, decisero di edificarvi un nuovo villaggio. Per tre anni vissero e lavorarono in armonia. Poi, per una serie di pettegolezzi, di equivoci e di disordini derivati dalle millanterie megalomani di un miles gloriosus della compagnia, che spacciava l’angelo come taumaturgo e mago, si trovarono a subire una rappresaglia dei funzionari della città, che impilarono e sigillarono tutte le icone. Perfino quella dell’angelo, che pure avevano cercato di nascondere: essa anzi fu sigillata direttamente sul viso della divina figuretta. Mark e il giovane Levóntij giurarono di rubare e dissuggellare l’angelo, a costo della loro stessa vita.

La comunità è presto abbattuta per via della perdita della loro icona-guida: la fede dei vecchiocredenti e l’equilibrio di un intero ambiente vacillano. Così, tra sogni, visioni, sostituzioni e variopinti miracoli, assisterete all’esito della parabola dell’angelo caduto (in cattive mani), che non è compito del recensore tratteggiare.

[…] che adesso, dico, i pittori mondani quell’arte non ce l’hanno: loro hanno i colori a olio, mentre là le tinte sono diluite nell’uovo e tenere, e in pittura il tocco è sporco, perché abbia l’aria naturale solo da lontano, mentre qui il tocco è elegante e nitido anche da vicinissimo; e poi l’artista mondano, dico, non può andare bene nemmeno per la trasposizione stessa di un disegno, perché a loro è stato insegnato di rappresentare quello che è contenuto nel corpo dell’uomo terrestre, attaccato ai valori mondani, mentre nella sacra iconografia russa viene rappresentato un viso di tipo celestiale, sul conto del quale un uomo materiale non può nemmeno farsi una vera e propria idea” (N. Leskóv, “L’angelo sigillato”, capitolo nono).

Romanzo breve (racconto lungo), “L’angelo sigillato” è strutturato in sedici capitoli. Tra superstizione e ortodossia, irrazionalità e ingenuità, lo spirito d’una svanita Russia emerge dalla polvere dell’Ottocento. Intatto.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Nikolài Leskóv (Goróchovo, Orël, 1831 - Pietroburgo, 1895), giornalista, saggista e romanziere russo. Autodidatta.

Nikolài Leskóv, “L’angelo sigillato – L’ebreo in Russia”, Mondadori, Milano, 1999. Introduzione, cronologia, bibliografia, discografia(!) e traduzione a cura di Bruno Osimo. Il volume ospita il saggio “L’ebreo in Russia”, finora inedito in Italia.

Il romanzo, stroncato da Dostoévskij, apparve originariamente nel 1873 sul “Rùsskij véstnik” e riscosse grande successo.

[…]le prediche pubblicistiche sul fatto che bisogna studiare il popolo non le capivo proprio e non le capisco nemmeno adesso. Il popolo bisogna semplicemente conoscerlo come la propria vita, senza analizzarlo, ma vivendolo. Io, grazie a Dio, lo conoscevo, il popolo, lo conoscevo dall’infanzia e senza nessuno sforzo né fatica; e se non sempre sono stato in grado di rappresentarlo, ciò va quindi attribuito a incapacità”.

Gianfranco Franchi, novembre 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.