L’alcova d’acciaio

L'alcova d'acciaio Book Cover L'alcova d'acciaio
Filippo Tommaso Marinetti
Vallecchi
2004
9788899125042

“Ho l'anima di un soldato italiano. Sapete cosa significa avere 40 anni, del genio, molto fascino, una potente irradiazione di idee personali nuovissime e sane, regalate al mondo, dei poemi meravigliosi creati, altri da scrivere, e nondimeno volontariamente e con entusiasmo giocare il tutto con disinvoltura per la propria terra e la propria razza in pericolo?” (Marinetti, “L'alcova d'acciaio”, p. 58).

Terzo libro bellico di Marinetti, post “La battaglia di Tripoli” (1912) e “Zang Tumb Tumb” (1914), “L'alcova d'acciaio” (1921) è una cronaca letteraria e un entusiasmante omaggio al vittorioso ultimo anno di guerra, vissuto da protagonista al fronte. La narrazione ha inizio nel giugno 1918. Marinetti incoraggia i suoi soldati: serve elasticità per schiacciare il passatismo austro-ungarico e rinnovare la nostra Nazione, dopo la vittoria. È convinto della vittoria finale, se ne frega della morte. Non è il solo. L'artista è accompagnato da una deliziosa cagnetta di guerra, Zazà, “fulva grassotta agile e intelligentissima bastarda, nata sul Piave da una fox-terrier purissima e da un cane randagio” (p. 19), “golosa e artista” (p. 114), molto seduttiva con i cagnetti. Intanto Marinetti smania per riscattare la ferita di Caporetto. Smania per tenere viva e alta la memoria dei suoi Boccioni e Sant'Elia, futuristi caduti perché Trieste, Udine, Trento e Pola e Capodistria fossero riunite all'Italia. Perchè l'Italia è “divina parola che merita la vita di mille poeti gloriosi” (p. 196).

La Linea del Piave era una linea forte; adesso è d'acciaio. Resisterà. Marinetti ci accompagna in prima linea. Come un mistico combattente: “Oh con quale fierezza italiana io ammiro i buoni fanti della Brigata Casale che sparano nella trincea! In uno squarcio di luce ancor torbida una allucinazione o una realtà stranissima assale i miei occhi. Ogni soldato che spara sussultando al suo parapetto ha un grande alone azzurro intorno a sé. Ne noto tre, quattro, venti, cento. Mi alzo e nell'angosciosa precipitante frenesia della fucileria seguo la trincea. Certo ogni combattente appare ai miei occhi come un nucleo opaco o meglio come il mozzo di quella misteriosa ruota di diafano azzurro. Intuisco così la presenza della vita vissuta che avviluppa ogni combattente nel momento della battaglia” (p. 45).

La nuova compagna di FTM si chiama 74. Ha una sensibilità meravigliosa: blindata. Ha una salute di ferro, anzi d'acciaio. Ha un cuore-motore forte, e non conosce distrazioni. È la sua amante-blindata. Marinetti s'entusiasma, smette d'essere l'artista di quarant'anni, somiglia sempre più a una euforica recluta di venti, piena di bei sentimenti e di patriottismo. Non mancano momentanei ritorni a Roma. E quanta gioia nel riabbracciare i vecchi amici: “Nella folla scorgo il poeta Mario Carli capitano degli Arditi ferito, ora direttore di 'Roma Futurista'. Ecco Balla, gesticolante, paglietta con nastro a colori dinamici, cravatta di celluloide tricolore. Abbracci. Entusiasmo. Sopraggiunge un gruppo schiamazzante di giovanissimi futuristi quattordicenni tutti affannati dalla speranza di partire presto volontari, tutti irti d'odio contro le isradicabili spie, il governo languido, ecc...” (p. 127).

E poi si torna a combattere, pazzi di patriottismo e di coraggio, sin quando non arriva l'annuncio tanto atteso: cinquantamila prigionieri, 300 cannoni. L'intero sistema difensivo del Grappa è caduto nelle nostre mani. Il cuore vorrebbe schizzare “lagrime e singhiozzi felici” (p. 213). S'avvicina una pace, una pace giusta: l'Italia unita, per la prima volta, con l'eccezione ingiusta di Fiume che il Comandante D'Annunzio saprà correggere, partendo per liberarla da Ronchi – oggi si chiama Ronchi dei Legionari, in memoria dell'impresa. Austria Kaputt, allora. Viva l'Italia, viva gli italiani. Si entra nei paesi e nelle città liberate come sotto un arco di fiamme, mentre suonano le campane. Le donne vogliono abbracciare e ringraziare i soldati vittoriosi. Marinetti torna alle goliardiche imprese di Mafarka, in più di una circostanza: ecco che appare un lettone da sultano con diciotto odalische italianissime, qualcuna moralista ma non è un guasto; altrove, donne bellissime si concedono mantenendo un voto fatto alla Madonna (“Giurai alla Madonna che mi sarei data al primo italiano vincitore che mi fosse piaciuto”, p., 245); altrove, mariti giurano che saranno per sempre estranei alla gelosia, adesso che la patria è tornata a essere tricolore. Non mancano deliziosi quadretti boccacceschi.

Ma il pensiero, dopo la gioia, va ai caduti: ai 700mila eroi dell'Isonzo, del Carso, del Piave. Infine, giubiliamo tutti: 4 novembre 1918. “La guerra contro l'Austria Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. Il Re Duce Supremo, l'Esercito Italiano inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta e asprissima per 41 mesi, è VINTA”. 300mila prigionieri austriaci, e molte migliaia in disperata fuga. Il Risorgimento è appena terminato, Trieste, Trento, Pola, Capodistria tornano a parlare italiano – l'orgoglio di chi ha dato tutto per la patria e per i nostri fratelli feriti dall'occupazione straniera è smisurato, come la memoria dei soldati e degli ufficiali caduti e mutilati. La felicità che si sprigiona nelle ultime pagine di questo libro è impressionante, e davvero commovente. Sarà che io, a Trieste, sono nato, 60 anni dopo, e non per parlare tedesco, o serbo-croato come voleva Tito. Ma credo che valga per tutti. La mia generazione deve riappropriarsi di questo libro, per tornare a capire cosa sia stata la Prima Guerra Mondiale, perché sia stata combattuta, quanto fondamentale sia stata, e quanto eroica, a dispetto del sangue e del dolore. Lasciate stare Lussu, tornate all'essenza di quei giorni. Sacri, indimenticabili.

Concludiamo con le parole di Gino Agnese, autore della (bella) prefazione: “L'alcova d'acciaio", spiega "è marcatamente attraversata da una convinzione che pionieristicamente Marinetti coltiva addirittura dalla gioventù: la convinzione che le tecnologie più direttamente utilizzate dall'uomo, funzionando da protesi del sistema nervoso centrale, modifichino la nostra sensibilità e quindi, in qualche misura, abbiano influenza anche nella creazione artistica”. Più avanti, dopo aver accennato all'influenza di Marinetti su McLuhan: “Non c'è trama nella 'Alcova d'acciaio'; e l'impianto diaristico non basta ad annullare l'effetto sconcertante – ancorché seducente – d'una narrazione che si allunga come un suk orientale, con l'offerta di tutto un po': preziose meraviglie, andante artigianato, sorprendenti provenienze e, magari tra qualche robetta un po' kitsch, il pezzo da collezione” (p. 10). Da collezione, di lusso. Italiana.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d'Egitto, 1876 – Bellagio, 1944), poeta e scrittore italiano, padre del Futurismo.

Filippo Tommaso Marinetti, “L'alcova d'acciaio”, Vallecchi, Firenze 2004. Prefazione di Gino Agnese. Collana “Caratteri del Novecento”.

Prima edizione: Vitigliano, 1921; quindi, Mondadori, 1927.

Approfondimento in rete: WIKI It.

Gianfranco Franchi, febbraio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Una cronaca letteraria e un entusiasmante omaggio al vittorioso ultimo anno di guerra, vissuto da protagonista al fronte