La mia puttana francese

La mia puttana francese Book Cover La mia puttana francese
Gene Wilder
Sagoma
2010
9788865060094

“Grazie a Dio, aveva senso dell'humour. Sorrisi, mi pulii i residui di panna montata dalla faccia e dalle mani e la guidai nel valzer che il quartetto di archi stava attaccando a suonare. Mia madre mi aveva insegnato a ballarlo, quindi ero a mio agio, almeno per il momento. Mentre volteggiavamo, incrociai lo sguardo del colonnello Steinig. Sorrise e annuì in segno di approvazione. Fu così che conobbi Annie Breton” (Wilder, “La mia puttana francese”, Otto)

Gene Wilder, attore americano classe 1933, tutto a un tratto ha deciso di sperimentare un'altra strategia per sprigionare la sua creatività. Smessi i panni del comico di genio, ha scelto quelli, polverosi e non sempre fascinosi, del narratore. È stato spiazzante scoprire che l'attore feticcio di Mel Brooks, a fine carriera, ha deciso di dedicarsi alla letteratura. Se il primo risultato, quello forse più prevedibile, è stato un'autobiografia (“Baciami come uno sconosciuto”, con buona critica) il secondo, questo, è stato un tentativo di narrativa pura. “My French Whore” (2007; IT, “La mia puttana francese”, Sagoma, 2010) è una strampalata commedia degli equivoci con retrogusto da spy-story ambientata tra Stati Uniti, Francia e Germania nei giorni tristi e dolorosi della Grande Guerra. Wilder punta a raggiungere – scopriamo nei ringraziamenti – una “certa semplicità di linguaggio”, fondando la sua ambizione su due modelli non da poco: Hemingway e Jean Renoir. Ne deriva uno stile estremamente semplice – in più d'un frangente, verrebbe da dire, “elementare”. E in questo senso non particolarmente hemingwaiano, nemmeno facendo le debite proporzioni. E tuttavia Wilder non manca d'una sua dignità autoriale tutt'altro che disprezzabile. Mel Brooks – che non è un critico letterario, ma è sicuramente un artista con una sua sensibilità estetica – ha trovato questo debutto narrativo di Wilder un “elegante intreccio di intrigo, azione, sesso e umorismo”, dichiarandosi sorpreso per la presenza d'una storia d'amore “particolarmente commovente e davvero ben scritta”. Probabilmente l'intreccio non può essere considerato elegante, né particolarmente innovativo: ma ha una sua apprezzabile compostezza, ecco. Soprattutto nei frangenti erotici, sporadici, Wilder ha una certa classe.

La Aspesi, invece – leggiamo in quarta – s'è divertita, come la maggioranza assoluta dei lettori che sentiranno il bisogno e la curiosità di sfogliare questo libro, a immaginare che il protagonista avesse “la testa ricciuta, gli occhi chiari e spalancati, la dolcezza e la fragilità del suo creatore, quel Gene Wilder che ha smesso di fare film ma non di farci sorridere”. La tentazione, che ve lo a dico a fare, c'è – e c'è soprattutto per certi frangenti che sembrano scritti pensando a una successiva versione cinematografica. Wilder è – come ogni bravo sceneggiatore – molto portato per i dialoghi e tendenzialmente tutto visivo. Non è immaginifico e non ha niente di visionario. È portato, scrivendo, per una satira docile, leziosetta, piuttosto beneducata.

Qualche notizia sulla trama. Paul Peachy viene dal posto da cui viene la birra: Milwaukee. Tutti sanno soltanto questo di Milwaukee, ma a lui va bene così. Cittadino americano di sangue tedesco (e cognome alterato: da “Paquet” a “Peachy”), alle spalle discreti studi letterari e un po' di teatro amatoriale senza pretese, lavora come conducente di treni. Il suo matrimonio ha perso un po' di brillantezza, e lui stesso non sa più esattamente cosa vorrebbe essere. E così, complice la contingenza storica, sceglie un'avventura tosta: partire per il fronte. È la Prima Guerra Mondiale, e chissà che questo suo poco di teatro alle spalle non possa tornargli comodo, assieme alla sua buona conoscenza del tedesco. Quando Peachy incontra una misteriosa spia sanguemisto, Harry Stroller, non sa ancora che quel tizio diventerà il suo paradigma. Perché quando Peachy verrà catturato dai tedeschi e si troverà con i fucili puntati all'altezza del petto, saprà come improvvisare. Con quale tono. E di qui ne deriveranno tutta una serie di cose interessanti... Io mi fermo qui altrimenti brucio il piacere della lettura d'un romanzo che, Wilder ne converrebbe, è fatto sostanzialmente di trama. E basta.

E però vi stuzzico con questa immagine qui, da trattare con la dovuta fantasia... “Dopo le uova di quaglia, il caviale, la cacciagione, i Napoleon e tre bicchieri di vino (bianco), tutti i commensali – tranne Annie – vollero sapere cosa facevo quando vivevo in America con mia madre. Stupidamente mi lasciai scappare che un tempo avevo recitato in teatro. Fu come se nella stanza fosse appena entrato Rodolfo Valentino. Steinig mi chiese di recitare un brano da un'opera teatrale e tutti si unirono, pregandomi di esibirmi. Tutti, tranne Annie. Alla fine mi alzai in piedi, rimproverandomi di non aver saputo tenere chiusa quella mia boccaccia, cercando di non mostrare quanto fossi alticcio [...]” (p. 80).

Ecco, in questo caso viene voglia di adottare la strategia della Aspesi, vale a dire sovrapporre quei lineamenti che sappiamo a quelli di questo attore alticcio che sta per cominciare a recitare. “Sembra un vero professionista”. Già...

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Jerome Silberman, alias Gene Wilder (Milwaukee, USA, 1933 - Stamford, USA, 2016), attore e scrittore nordamericano.

Gene Wilder, “La mia puttana francese”, Sagoma, Vimercate, 2010. Traduzione di Alessandra Olivieri Sangiacomo. Illustrazione in copertina di Leonardo Rodriguez. Collana “Le sagome”.

Prima edizione: “My French Whore”, 2007.

Gianfranco Franchi, dicembre 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.