La marina del mio passato

La marina del mio passato Book Cover La marina del mio passato
Alejandro Torreguitart Ruiz
NonSoloParole
2003
9788888850146

Dicembre 2003. Il secondo libro di Torreguitart Ruiz – primo ad essere stato scritto, stando alle dichiarazioni del traduttore Lupi – (sulla questione dell’identità di T.R., rinvio all’articolo su “Machi di carta”), è diverso e distante dal primo edito e dal terzo: spiazza molto che un autore vincolato essenzialmente alle tematiche della sessualità e della prostituzione coatta (cfr. “Machi di carta” e “Vita da jinetera”), in confezione prima omosessuale poi eterosessuale, grimaldello per una denuncia delle condizioni dei cittadini sotto il regime castrista, s’incarni stavolta in un nostalgico vecchio cubano. Raccontando un clima culturale che, da classe 1979, bambino negli anni del “periodo speciale”, difficilmente potrebbe sognarsi di vagheggiare. Piuttosto quel tempo l’ha trovato al limite propagandato o raccontato, senza poter né reagire né confutare pubblicamente nulla: in uno Stato in cui vengono arrestati i titolari delle biblioteche indipendenti, va da sé che sia difficile poter rivendicare idee diverse dall’idea prepotente e padrona: quella assassina e comunista.

A voler dar retta all’esistenza in vita di questo Torreguitart Ruiz, dobbiamo assegnargli la paternità di questo romanzo breve (racconto lungo forse potrebbe essere definizione più adatta) caratterizzato da un manierismo abbastanza chiaro, fondato su una vaga emulazione di Hemingway (esplicitato subito l’omaggio a “Il vecchio e il mare”, già omaggio a un marinaio cubano…) e scritto con incipit giocato per “soffio di vento” e “mattina d’inverno tropicale”, da uomo che (a 23 anni?) immagina di non essere più quello d’una volta (è sessantenne). Pescatore, è tutta la vita che non fa altro. Senza mai mangiare quel che catturava. Vendeva tutto, per sopravvivere. Faraway so close c’era e c’è Miami, sogno irraggiungibile di libertà e anticomunismo; intanto lui, 64enne, è rimasto solo. La moglie è morta, una figlia è finita in Italia (cfr. osservazioni sul tema della fuga d’amore in Lupi in “Machi di carta”) e l’altra “lontana”, a Santiago. Intanto sa – come da lezione controrivoluzionaria e lupiana, in Italia – qualcosa di importante: “Batista o Castro non c’è differenza. Ci ritroviamo per vicini miliardari, e viviamo nella nostra miseria. Ogni mattina ci risvegliamo sorridendo per vedere il futuro con occhi diversi” (p. 8).

Curiosamente, il vecchio narratore protagonista parla di “salsa e merengue” (pp. 8, 26) senza nominare il son: che scopriremo parte fondante ed esclusiva del patrimonio musicale cubano, grazie all’importante saggio divulgativo “Un’isola a passo di son”, reportage ibrido a firma Lupi, edito nel 2004.

Ricorda la sua esperienza nella Sierra… non credeva in niente, fuggiva da un’accusa di omicidio sotto il regime di Batista. Incontrò il Che, non Fidel. “C’era qualcosa da conquistare. Un’idea nuova che avrebbe cambiato il mondo e che intanto infiammava i cuori. O almeno così ci dicevano. Io che fuggivo solamente da una condanna a morte non avevo bisogno di illusioni. Non avevo ideali, questo è certo, perché non ne ho mai avuti” (p. 23). Annoto che memorie della Sierra non mancano nella narrativa lupiana: penso ad esempio al vecchio idealista de “La vecchia ceiba”, diventato poi nume tutelare della famiglia. Chi fosse interessato all’interpretazione della Sierra (e non solo) di Franqui può invece leggerne qui.

Il protagonista del racconto, a dispetto della scarsa idealità, da adulto si ritrova a essere figlio del comunismo: non vive per avere (cucina essenziale: l’unica possibile), si ristora leggendo le poesie della gloria nazionale (e idolo lupiano: cfr. omaggi e dediche sparse, da “Orrori tropicali” a “L’età d’oro”, da “Nero tropicale” a “Almeno il pane, Fidel”) José Martí (p. 18), gioca a domino e beve tanto rum (di pessima qualità, da vero cubano). Pensando magari al figlio caduto in Angola o alla moglie perduta… e alla figlia in Italia. “L’Italia non la conosco, come non conosco affatto il resto del mondo. E non mi interessa affatto conoscerla. Mi viene a mente una bella canzone di Willy Chirino” (p. 28) – Chirino, come ben sanno gli aficionado della narrativa di Lupi, è uno dei suoi pallini. Cfr. parecchi omaggi in apertura dei suoi libri o all’interno (ad esempio, “Cuba magica”; “Il giustiziere del Malecon”).

E così, simbolicamente, si ritroverà a danzare non un son, ma una salsa “sotto un volo di gabbiani che si tuffano tra le onde e riemergono nel cielo con la preda sicura nel becco” (p. 53: sul rapporto tra i gabbiani e Lupi, cfr. una volta ancora “Machi di carta”), mentre combatte con lo squalo che lo trascinerà via, mentre pensa alla sua amata moglie. L’allegoria è abbastanza chiara. La nostalgia per quel che poteva essere e per la propria giovinezza, e l’infelicità per le condizioni del cittadino nell’isola comunista sono i sentimenti dominanti. Invincibili. La vecchia Cuba si lascia quasi catturare dallo squalo, pur di non vivere di ricordi e malinconia. La lettura si rivela piacevole: il libro è stilisticamente fondato su un periodare breve e compassato, non estraneo a descrizioni di maniera; è narrativa elegiaca e probabilmente politica. Sicuramente, ribadiamolo, debitrice scolastica e lirica della storia del vecchio Santiago.

A questo punto – superato il posizionamento nel contesto della produzione di “Torreguitart”, vado a posizionare il libro, seguendo una suggestione facile e naturale, nella narrativa di Lupi. I prodromi si presentano nell’opera prima, “Lettere da lontano”: malinconia e nostalgia del passato, adorazione del mare. Qui nel mare si va a morire, con splendida naturalezza. Come Santiago, ci si consegna al mare dopo l’ultima battaglia. Le tematiche – dalla denuncia della condizione di vita dei lavoratori e del popolo in avanti – si ripetono con interessanti variazioni da anni, nella produzione lupiana; se in principio erano lavoratori italiani, nel tempo – come abbiamo letto – sono diventati cubani, con una curiosa e inedita (in Letteratura Italiana, ovviamente) traslazione. Peraltro, quel che Lupi salva – sempre – del comunismo cubano è proprio l’esperienza rivoluzionaria originaria, quella da cui ha attinto l’immaginario di larga parte della sinistra europea. Non stupisce quindi che in questo frangente vada a richiamarsi a quel momento come grande innesco del sogno poi infranto. Trovo che questo libro rappresenti l’elegia della fine della sua fede nel comunismo.

Da leggere… se siete appassionati di Lupi e di storie cubane. A latere, ricordo che l’autore tosco-cubano è appassionato di film sugli squali. Notevoli le pagine in proposito pubblicate nella monografia dedicata a Castellari, suggerite per intriganti cortocircuiti.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Alejandro Torreguitart Ruiz (L’Avana, Cuba, 1979), scrittore cubano. Probabile pseudonimo di Gordiano Lupi.

Alejandro Torreguitart Ruiz, “La marina del mio passato”, Nonsoloparole, Napoli 2003. ISBN 88-88850-14-7. Traduzione (?) di Gordiano Lupi.

Gianfranco Franchi, Giugno 2007

Prima pubblicazione: Lankelot.