La gloria

La gloria Book Cover La gloria
Giuseppe Berto
Rizzoli
2014
9788817076524

Jorge Luis Borges scrisse, ne “La setta dei trenta”, uno degli splendidi racconti contenuti nel “Libro di sabbia”, parole che possono valere come introduzione alla trattazione di quest’opera: Nella tragedia della Croce - lo scrivo con la dovuta reverenza - ci furono attori volontari e involontari, tutti imprescindibili, tutti fatali. Involontari furono i sacerdoti che consegnarono i denari d’argento, involontaria fu la plebe che scelse Barabba, involontario fu il procuratore di Giudea, involontari furono i romani che eressero la Croce del Suo martirio e piantarono i chiodi e tirarono a sorte. Volontari sono stati soltanto due: il Redentore e Giuda. Questi buttò via i trenta pezzi che erano il prezzo della salvezza delle anime e immediatamente si impiccò. Aveva allora trentatre anni, come il Figlio dell’Uomo. Non vi è un solo colpevole; non c’è nessuno che non sia un esecutore, consapevole o no, del piano tracciato dalla Sapienza. Tutti partecipano ora della Gloria”.

Giuda grida all’Eterno da “luoghi troppo profondi”, invitandolo a non ascoltare la sua voce. Eppure questo romanzo ha una disperazione umanissima e una vocazione - diremmo quasi un’aspirazione - al ritorno all’Unità profetizzato dal Messia tradito: e sembra spesso di assistere ad una eretica, ma eroica, apologia del tradimento, qui giustificato, paradossalmente, dall’eccessivo amore, o dalla dedizione assoluta ad una causa. Giuda invita dunque l’Eterno a non ascoltare la sua voce: ma quest’opera è l’ultimo tentativo, e niente affatto velleitario, di comunicazione tra l’uomo, nato per essere strumento d’un disegno divino, e quella divinità misteriosa e assente - indecifrabile, per dirla con le parole dello stesso Borges.

Giuda narra, in prima persona, la parabola della sua esistenza. L’opera è suddivisa in 121 paragrafi: i primi due descrivono l’ambiente e la situazione precedente all’avvento del Messia. Da quattrocento anni Dio tace: il popolo d’Israele è dominato dall’impero romano, l’attesa del Salvatore è sempre più dolorosa ed estenuante, sedicenti profeti e visionari confondono il popolo. Popolo che sembra tuttavia sentire un legame indissolubile col la divinità: immensa è la sua fede, e nulla può scalfirla. Ma ecco come Berto, d’un tratto, introduce il protagonista dell’opera, al principio del paragrafo terzo.

Il respiro del testo si fa epico: e un silenzioso sgomento ammanta l’atmosfera della lettura. “Io, Giuda Iscariota, nato a Gerusalemme da padre mercante, cresciuto all’ombra del Tempio, istruito nella Legge e nelle Scritture, osservante delle norme e dei precetti, legato agli zeloti per cospirazione e fuggito alla città santa per scampare alla croce, percorrevo le terre d’Israele ansioso che l’Eterno Adonai si manifestasse mostrandomi un segno della sua potenza, o della sua vanità. Ero giovane, e impaziente. […] Di fronte a ciò io ero tentato di chiedermi dove fosse l’Eterno, e se ci fosse davvero un Eterno o non piuttosto un infinito vuoto, un infinito niente come aveva cantato Qohélet”.

Giuda viene dunque descritto come un giovane impaziente idealista, profondo conoscitore dei testi sacri e sinceramente dedito al suo Dio. Così immenso è il desiderio d’un segno della sua esistenza, che Giuda teme costantemente che questa sua impazienza impedisca l’apparizione dell’atteso cenno. Non è difficile individuare i primi tratti del dubbio: Adonai può essere potente, o può essere pura vanità; può essere l’Eterno, o l’infinito niente. Giuda è dunque un ricercatore della Verità: e il più consapevole tra i ricercatori della Verità del suo tempo, e il più pronto a sacrificarsi e ad esserne strumento, come vedremo. Strumento, esattamente come strumento era l’uomo che sosteneva d’essere il Messia. Giuda odia il peccato, perché sa che la virtù è “potenza”: attende d’essere redento dall’oscurità della sua impazienza, attende che i suoi angoscianti dubbi e il suo costante interrogarsi trovino soluzione e trovino requie.

Sin dal primo incontro con Giovanni il Battezzatore, riconosce nelle sue profezie e nella sua purezza di spirito il soffio dell’Eterno: e per qualche tempo si illude addirittura d’esser lui stesso il Messia, e di dover poco a poco prendere consapevolezza d’essere il figlio di Dio. Tanto grande è il desiderio di Verità e di Dio in Giuda, che saranno bastevoli poche e misteriose parole del Battezzatore a trascinarlo nel dubbio. “In mezzo a voi sta uno che non conoscete”. Giuda attende la rivelazione: crede d’essere stato designato, perché “abissi sono le sentenze di Adonai, impenetrabile il suo agire”, e tutta la notte interroga l’Eterno. L’Uno, il Nome, si ostina a non rispondere alle suppliche di Giuda. Nessun segno. Che la sua voce sia il silenzio? - si chiede il suo segreto strumento.

La mattina successiva, Giuda torna dal Battezzatore, ed incontra l’uomo che chiamano Rabbi. Ascolta la benedizione di Giovanni: quell’uomo è il Maestro che tutti attendevano. Dapprima si sente amareggiato, sfiorato com’è stato dalla vanagloria: subito dopo inizia a dubitare che tra i due ci sia un accordo, giacché Giovanni grida d’aver visto lo Spirito scendere dal cielo in forma di colomba, e lui questa colomba non l’ha vista. Solamente studiando lo sguardo del Messia si sente vittima del suo magnetismo, e capisce d’esser pronto a donargli la sua stessa vita, per qualsiasi causa. C’è davvero in lui qualcosa di insolito e di “alto”: questo, Giuda lo accetta, ed inizia ad amare con una devozione inaudita il Rabbi, pur non sentendosi mai convinto che Gesù di Nazaret, di Galilea, fosse davvero il figlio di Dio. Era agli occhi di Giuda splendido e maestoso: non poteva evitare di seguirlo, sebbene il Maestro non sembrasse dimostrare alcun interesse nei suoi confronti.

Nel corso dell’opera ci accorgiamo che lo Giuda che narra è divenuto una sorta di spirito: spesso allude a filosofi o letterati o grandi anime del nostro secolo, discutendo gli insegnamenti del Messia. La sensazione è che si sia sempre incarnato, o che tutto abbia potuto contemplare dal limbo gelido in cui attende la sua redenzione. E dunque può nominare Engels, Freud, Camus e Reich: sembra, tuttavia, che questa sua acquisita onniscienza ancora non possa illuminare il segreto dell’Eternità: la Silenziosa Verità lo angoscia e continua a martoriarlo nel dubbio. È più facile amare Cristo che credere in Cristo, sostiene Giuda. La Verità dunque non può essere intesa: solamente la fede sostiene, nelle tenebre dell’esistenza. Giuda dunque, prima di credere, appartiene. Non sa accettare, dubita: e tuttavia ammette d’essere strumento d’una macchinazione divina, e non intende ribellarsi.

C’è qualcosa di disumano, non posso dire divino, nella resa di Giuda al volere dell’Eterno: una rinuncia a se stesso, sino all’assunzione in quella stessa Gloria che attende il Cristo. La fede di Giuda è così grande da comprendere la rinuncia alla propria vita, e alla propria ricerca. Muore Giuda, e muore Cristo. Giuda accompagna, da primo apostolo, il Messia nel suo cammino: dubita dei suoi miracoli, soffre per il suo parlare misterioso, per enigmi e contraddizioni, per il suo ammutolito silenzio alla diretta domanda di Pilato.

Che cos’è la Verità?, domanda l’alto funzionario romano, agognando concretezza e bramando risposte credibili. Il Cristo non risponde. A chi chiede chi egli sia, il Rabbi risponde: “Io sono”.

Giuda è ossessivamente turbato dalla malinconia e dalla freddezza che il Maestro sembra trasmettere: appare all’apostolo come il fulcro di una serie di indicibili e irrisolvibili contraddizioni, dall’incomprensibile distacco dalla madre e dai fratelli sino all’astio e al livore e al tenore delle parabole che narra. E così, pur non capendo e mai potendo accettare che quella splendida figura carismatica sia l’incarnazione dell’Eterno, procede al suo fianco. Non mentirà e non rinnegherà, a differenza del prediletto Pietro: all’opposto, attuerà quel che Gesù ha profetizzato nel loro primo incontro. “Non immagini quale croce sarai chiamato a portare. Quando avrò bisogno di morte, lo dirò”. Questa la condizione del patto.

Gesù lascia che Giuda lo segua: ma a costo della sua stessa vita. Il legame diviene sacro e inscindibile. E l’onda impetuosa dei dubbi e delle incertezze e delle perplessità di Giuda, la sua angoscia di trovarsi di fronte ad un mentitore o ad un imbroglione, sono la stessa angoscia e gli stessi dubbi dell’umanità. A ben pensarci, l’esito è il medesimo: non saremo forse illuminati dalla verità sulla natura di Dio e dello Spirito solo nell’assunzione alla sua stessa Gloria, a prezzo dell’annullamento di noi stessi e della nostra stessa esistenza? Dunque è questa la Gloria promessa dalle Scritture: la morte, l’oblio, il ritorno all’Uno. Giuda, e come Giuda ogni uomo, pur desiderando Dio e avendo fede, non può e non sa capire. Le parole del sedicente Dio incarnato sono misteriose, enigmatiche, i suoi atti spesso contraddittori e l’ombra dell’inganno si annida ovunque. Tuttavia, l’ultimo atto d’amore di Giuda è nella rinuncia a se stesso e alla logica in nome della fede. Per sempre il suo nome sarà macchiato dall’infamia d’un tradimento che non ha deciso di compiere: ha attuato un progetto del suo Dio.

Opera, questa, avvolta da un tragico senso di predestinazione: opera di dubbio, e di incomprensione, e di ribellione alle leggi misteriose del Dio del silenzio. Sacrificio o assassinio, in conclusione, quello del Cristo? Procedendo lungo il sentiero tracciato da Berto e dal suo Giuda, senza alcuna esitazione dovremmo propendere per il sacrificio, e non per l’assassinio. Non poteva forse il Messia invocare le legioni del Padre? Quel Padre che sempre nominava, e sempre adorava, e che per un solo istante credé lo avesse abbandonato, in punto di morte? Poteva: ma nel misterioso suo disegno era previsto il tradimento, il sacrificio, la morte. Neppure l’eroica hybris di Giuda, né il suo indomito amore per la Verità, poterono mutare la decisione. E l’unica menzogna accertata, nel testo come nei Vangeli, rimane quella di chi rinnegò il Cristo: Pietro. Che mai rinunciò a sé stesso. Aleggia, e domina, il dubbio. Ma a quel dubbio nessuno potrà trovar rimedio, né soluzione. Giuda è più innocente di Cristo. Giuda è un uomo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE.

Giuseppe Berto (Mogliano Veneto, 1914-Roma, 1978), narratore italiano.

Giuseppe Berto, La Gloria, Bur, Milano, 2001. Prefazione di Carlo Bo.

Gianfranco Franchi, luglio 2002.

Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, lankelot.