La curva della notte

La curva della notte Book Cover La curva della notte
Andrea Di Consoli
Rizzoli
2008
9788817021685

Nera ballata d'amore e di morte: frammentata narrazione d'una vita che si spezza, e si spezza dopo aver preteso d'essere esausta; aleggia intanto una greca predestinazione, ed è limpida la sensazione d'essere a un passo da un disastro. “La curva della notte”, secondo romanzo del letterato lucano Andrea Di Consoli, classe 1976, è un obbligato sguardo nel baratro della depressione, dell'angoscia e del male di vivere; non negando la sensualità, il desiderio e il piacere, ma ammettendo l'inevitabilità e la sacralità della sconfitta. La necessità della morte. In profondità abissale.

È la scrittura di un'intelligenza che ha deciso (accettato) di scarnificarsi, di mettere a nudo tutte le debolezze e le fragilità dell'anima, di non nascondersi eccessivamente al di qua dei simbolismi. Di Consoli è un giovane maestro capace di fondere, nella sua narrativa, tutta l'intensità e tutto il ritmo della poesia, poesia da cui deriva e discende; tiene salde le redini della trama, spezzandola senza piegarla allo sperimentalismo: dissolvendola, piuttosto, in tante correnti diverse, giocando su piani temporali diversi. Infine, guida il suo narratore, protagonista della storia, alla piena risoluzione della crisi.

***

Una piovigginosa città di mare. Un ex ferroviere – ex rivoluzionario, poi la giovinezza è finita e la generazione è emigrata – che soffre, perché ha capito d'essere come la sua terra, il suo Sud: un'assurda coincidenza piena di odio e di infanzia: “un Dio sbagliato, ammalato di solitudine” (p. 66). Sempre più indifferente al genere umano, è un martire della depressione: “viene dalla sera alla mattina, la depressione, perché all'improvviso, tra te e il mondo, cala un vetro opaco. E quasi non te ne accorgi, di questo doloroso sipario che cala” (p. 119).

Teseo, l'ex ferroviere, ha capito che tutte le vite sono sbagliate; e che l'amore è la porta d'ingresso al nostro inferno personale (p. 93): “e si chiami madre, si chiami padre, si chiami figlio (…), finché si trova la faccia di un uomo che ride, e che poi ci fa piangere di dolore, fino a morirne”. Ha rinnegato sé stesso, e da uomo di molte donne s'è ritrovato compagno di un maschio, che sempre sembrava attenderlo, come se avesse presentito che quella era la sorte. Quando, infine, ha compreso che il destino è non avere destino, destino diverso dalla morte, Teseo non l'ha accettato; ne è impazzito.

Una volta guardava i treni dissolversi all'estremo limite della sua terra e dell'Italia, e s'era innamorato dell'idea d'essere altro, di cambiare vita e di cambiare donna. E poi si è ritrovato, dopo aver animato un ristorante di legno sulla spiaggia, il Byron, e vissuto un secondo matrimonio con una donna dissoluta, a sentire stanchezza di tutto.

“Ma non potevo fare a meno di quel mio mondo – perché tutto quello mi apparteneva, tutto quello era in me, fino nel sangue. E quanto più s'inabissava nell'orrore della depressione, quel mio mondo, tanto più lo amavo. La geografia della mia anima era una malattia che non si poteva guarire. Ma nessuna malattia è davvero incurabile, e questo lo imparai, a mio beneficio, al termine della giovinezza” (pp. 10-11).

E' l'incontro con un vecchio amico che credeva di aver imparato a odiare, Rocco, cantante famoso, a farlo deragliare. Teseo vuole che chiariscano le antiche incomprensioni: ossia, la storia della liason tra Rocco e sua madre. Rocco ne era innamorato, Teseo non riesce ad accettarlo: sente l'accaduto come la rappresentazione della fine di dignità di sua madre e del suo migliore amico. Vuole sapere i dettagli. Si ubriacano, e infine Rocco li racconta. E poi guida, e guida come tutti quelli che hanno bevuto troppo; sbanda e finisce fuori strada. Muore. Piomba la cappa dei sensi di colpa a infoibare la coscienza di Teseo. Pochi giorni dopo, entra nella sua vita la vedova di Rocco. E la fine della storia la presentite già: sedotti dal dolore, gli amanti profanano la memoria di quel che è perduto; strapiomba, così, la lucidità del carnefice – nel buio soltanto sente di poter esistere: buio pretende.

Il narratore del romanzo di Di Consoli medita sull'essenza della morte: sulla sua epifania. E ne deriva un passo eccezionalmente visivo, e lirico; “La morte è fatta di scale che si scendono e si salgono senza gambe. È un piacere indescrivibile, la morte – vedi, su grandi pietre che sembrano frangiflutti, persone che forse hai conosciuto da sempre, e che ti mancano, e che forse ti aspettano; e ci sono bambini che stanno voltati di spalle, e questi bambini non avranno mai i capelli bianchi, gli occhi gonfi e appannati al mattino, quando si è appesi a un filo, perché i bambini morti sono muri, sono pioggia, sono insegne di negozi. Sono conchiglie” (p. 71)

Teseo ha saputo essere uomo pieno di donne: dal senso di colpa dongiovannesco ha trovato riparo in un altro uomo; assolta la colpa del seduttore, tramutatosi in schiavo di un suo simile, si è ritrovato tra le braccia dell'ultima donna – quella proibita. Teseo ha così commesso la stessa colpa del suo vecchio amico Rocco: ha violato i sacri legami della famiglia. È stato un essere umano primitivo, non evoluto; dominato dalla carne, s'è piegato all'inciviltà, e all'ingiustizia. Rocco aveva amato la madre di Teseo, e per questo l'amicizia s'era infranta: ma Teseo avrebbe avuto la vedova di Rocco. L'innocenza – ecco, guarda – si spoglia: ormai nuda, basta una carezza a deflorarla. Rifiutale quella carezza. Rinascerà.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Andrea Di Consoli (Zurigo, 1976), giornalista, poeta, saggista e narratore lucano. Vive e lavora a Roma; lavora come consulente editoriale.

Andrea Di Consoli, “La curva della notte”, Rizzoli, Milano 2008.

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.