La banda Apollinaire

La banda Apollinaire Book Cover La banda Apollinaire
Renzo Paris
Hacca Edizioni
2011
9788889920596

“Seppe riconoscere il genio di Jarry, del doganiere Rousseau, di Picasso, di De Chirico, di Derain. Mentre Paul Valéry poteva sembrare un attardato, al suo cospetto. Per Philippe Soupault, Apollinaire non era un capo ma un 'fusée-signal'. Era contagioso, non aveva bisogno di persuadere, di spiegarsi. Bastava sentirlo parlare per credere alle sue parole. Dubitava poco e chi lo seguiva migliorava i suoi versi. Quanti fantasisti o neoclassici non sarebbero mai nati senza di lui? Era triste ma non disperato. Aveva il senso della novità. Non si dichiarava, tuttavia, mai rivoluzionario, e chiamava 'sorpresa' lo 'scandalo'. Se qualcuno gli resisteva la sua risata diventava irresistibile. Voleva distruggere per ricreare” (Renzo Paris su Apollinaire, pp. 253-254).

Guillaume Apollinaire, vale a dire Guglielmo Vladimiro Alessandro Apollinaire de Kostrowitzky, nato a Roma nell'agosto 1880, voleva essere considerato il papa di tutte le avanguardie del primo Novecento; e figlio illeggittimo del papa sussurrava di essere. Quando Picasso si decise a ritrarre l'amico poeta, battezzò non a caso la sua tela “Le pape”. Per tornare a sentire e riconoscere l'intensità, l'ispirazione e la complessità dell'opera di Apollinaire, ideale viatico è la lettura della sua biografia romanzata, “La banda Apollinaire” - firmata da Renzo Paris per le edizioni Hacca, di Matelica. Paris aveva già curato un'edizione degli “Amori” del poeta francese, per Mondadori: questo suo nuovo libro, piace pensare, esisteva sin da allora, nell'immaginazione del letterato di Celano. E magari qualche riga era nascosta nella sua “Vita personale”, esteso adattamento romanesco d'un gran pensiero parigino, a ben guardare.

Già, Apollinaire è l'anello di congiunzione tra le due capitali della vecchia Europa mediterranea. Il poeta, di padre dubbio e di madre ambigua, visse per i primi sette anni nella Città Eterna; di quegli anni fioriti e innocenti scrisse in racconti e poesie. Renzo Paris ricorda, nel suo “Le Poète assassiné”, una memoria della Befana in piazza Navona, tra le bancarelle piene di bambini: i giocattoli nominati da Apollinaire erano “cavalli, pulcinella, sciabole, birilli, burattini, soldati, carriole: tutti di legno”. Che meraviglia. Sempre nello stesso libro, per dire, l'artista francese scriveva di quando era stato lui il protagonista del gioco del lotto, in piazza Ripetta: per una volta, un sabato, aveva estratto lui i numeri vincenti...

“Allora, al centro della piazza, io divenni il Caso. E poi non avevo mai visto tanti occhi ansiosi su di me. Alla fine certi occhi fiammeggiavano di collera, altri di gioia. Alcuni mi mostravano i pugni e mi lanciavano insulti, mentre altri erano in festa e mi chiamavano Gesù, Salvatore, agnello pasquale...”.

A sette anni, complici i traffici e le doppiezze di sua mamma, Apollinaire si ritrovò a Monaco, non distante dal celeberrimo casinò di Montecarlo. Monaco: secondo Paris, già allora, “città di avventurieri, gente adusa a ogni specie di travestimenti, sempre ai limiti della delinquenza”. Da quelle parti, nel collegio Saint-Charles, qualche anno dopo, il poeta sarebbe stato considerato sgradito e quindi espulso – complici, parrebbe, le letture degli scritti dell'osceno marchese. In quegli anni, nasceva il suo pseudonimo – un po' per omaggiare Apollo, dio della poesia, un po' il nonno materno Apollinare.

Paris racconta la giovinezza dell'artista e le sue simpatie anarchiche, la passione per il giornalismo e per gli pseudonimi, le prime prove liriche, “metricamente mosse”; per lo scrittore di “Cani sciolti”, Apollinaire è stato, in gioventù, un “punk ante litteram, con una famiglia scombinata alle spalle”. Uno che a Parigi s'è ritrovato a fiancheggiare la mala, ad avere fame e ad amare la vita con un'intensità incresciosa. Una sorta di proto-squatter, scrive Paris. E così, leggendo questa sua biografia romanzata, a un tratto “ci pare di vederlo, povero in canna, attraversare i boulevards nel silenzio della notte, agitare le mani nella discussione artistica coi suoi nuovi amici, pretendere di essere seguito nei suoi riferimenti eruditi e ogni tanto ridere con tutto il corpo, facendo rabbrividire l'ascoltatore. Erano giovanotti ubriachi di acquavite, drogati di oppio e di poesia, che volevano vivere la vita da bohémiens, un po' libertini un po' fintamente innamorati” [p. 102].

Apollinaire e compagnia, nei giorni della Belle Epoque, andavano allegramente per le strade parigine a combinare poco e niente, disfatti dai vizi e dalla confusione mentale, gridando “Viva Rimbaud!”. Paris ci guida nei microcosmi dell'artista francese, passo dopo passo: eccoci a Montmartre e a Montparnasse, nei primi anni Dieci del secolo scorso, eccoci ad accompagnare Apollinaire nei suoi appostamenti sotto casa del suo perduto amore, Marie (oddio, l'ossessione, che tutto disintegra), e in galera, per una manciata di giorni, per via di un furto stupido e decisamente artistico al Louvre; e al fronte, durante la Prima Guerra Mondiale, “guerra meccanizzata e terribile” di cui, secondo Paris, l'artista seppe cogliere tragedie e meraviglie. Vero, così è stato.

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Rocambolesca vita d'un artista di talento: seconda grande biografia parisiana dopo quella dedicata al suo mentore e sodale Alberto Moravia, “La banda Apollinaire” è destinata a ispirare forse un bel film d'autore. Servirebbe il grande Bertolucci, qualcosa del genere. Sognare non costa niente. Ricordare il passato non è sempre un sacrificio.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Ha insegnato Letteratura Francese all’Università di Viterbo. Collabora con “Pulp” e “Nuovi Argomenti”.

Renzo Paris, “La banda Apollinaire”, Hacca, Matelica, 2011. Copertina di Maurizio Ceccato. Bandella di Lalanne.

Approfondimento in rete: wiki it

Gianfranco Franchi, aprile 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Quando Picasso si decise a ritrarre l’amico poeta, battezzò non a caso la sua tela “Le pape”.