In uno specchio, in un enigma

In uno specchio, in un enigma Book Cover In uno specchio, in un enigma
Jostein Gaarder
Longanesi
2001
9788878189614

(…) noi discutiamo di una realtà che non ci tocca. Ma sembra ancora più singolare ritenere strambo essere quello che si è. Non credo che ci sia nemmeno una pietra che reputi bizzarro essere una pietra. E sicuramente non c’è una sola tartaruga che reputi tanto singolare essere una tartaruga. Però certi umani ritengono strambo essere umani. E sono assolutamente d’accordo con loro. Non mi sono mai sentito in sintonia con le pietre o le tartarughe” (Gaarder, “In uno Specchio, in un Enigma”).

Dalla “Consolatio ad Marciam” ad oggi, non è semplice trovare traccia in letteratura di testi che aiutino ad affrontare e accettare il più atroce dramma dell’esistenza: la morte di un bambino. Non è forse un caso, allora, se sia compito di un filosofo, duemila anni dopo Seneca, quello di trattare, con compostezza, gentilezza e grande umanità, il senso di una tragedia del genere. Jostein Gaarder, con il consueto spirito e la splendida chiarezza che contraddistingue ogni sua opera, inventa questo atipico “Canto di Natale” per trasfigurare il dolore e la sofferenza per la morte di una ragazzina.

In uno Specchio, in un Enigma” è la storia di un incontro tra una bambina e un angelo: attraverso serrati dialoghi sulla natura delle percezioni e il senso dell’esistenza, si accompagna la piccola alla nuova vita. È un congedo che la fantasia e l’immaginazione riescono ad addolcire, per quanto possibile. Strappa sorrisi, invita alla riflessione, invita a considerare da altra prospettiva il concetto di onnipotenza di un Dio che, incarnato, si lamentò d’esser stato abbandonato da suo padre: ossia, da se stesso. Siamo figli d’un Dio che allora può non essere onnipotente, e che, come ogni sua creatura, è parte di quell’insolubile enigma che è l’esistenza.

**

Nella campagna norvegese, nei giorni del Natale. Al capezzale di Cecilie Skotbu, bambina che affronta la fase terminale di un grave male, si alternano la mamma e il papà, pronti a esaudire desideri e capricci, e il fratello, Lasse, inguaribile chiacchierone che non può non commentare tutto quel che vede e ascolta nei giorni della festa, e riesce in questa maniera a non far perdere niente dell’atmosfera alla piccola. È “tanto malata che il Natale pareva un pugno di sabbia destinato a scivolarle tra le dita mentre era immersa nel sogno o nel dormiveglia”: ma almeno, non si trova più in ospedale. Ha un campanello sul comodino: ogniqualvolta le occorre qualcosa, deve suonarlo. Di solito è Lasse a precipitarsi per primo. Tra realtà e sogno, Cecilie ascolta una voce “allegra e cristallina”. Qualcuno, indosso una tunica bianca, a piedi nudi, siede al suo fianco. Cecilie non capisce se sia un ragazzo o una ragazza: non ha capelli, né palpebre e sopracciglia. È Ariel, un angelo.

Cecilie, dapprima diffidente, crede infine alla sua esistenza e i due si scambiano racconti e confidenze sulle rispettive percezioni della realtà: lei gli svela quali siano le sensazioni “terrene”, dal sapore di una pasta alle mandorle al suono di una canzone natalizia, Ariel quale sia la natura degli angeli e come si articoli e si strutturi la loro relazione con Dio. Ariel dice: “Voi vedete solo voi stessi. Non potete scorgere ciò che sta dall’altra parte”. È quasi inevitabile, allora, che in qualunque rapporto un essere umano non conosca davvero l’alterità, ma vada rincorrendo e riconoscendo solo l’immagine di se stesso. Vediamo come in uno specchio, come scriveva San Paolo. Nel grande enigma del creato, s’annida un enigma più grande: c’è chi percepisce se stesso come un enigma, “all’incirca come se un pozzo fosse in grado di tuffarsi nelle sue insondabili profondità”.

Gli angeli esistono dall’alba dei tempi. Non conoscono menzogna. Non possono crescere: non diventano né adulti, né maturi. Esattamente come Peter Pan. Non hanno ali, perché sono composti di spirito. Assaporano le parole degli esseri umani, perché le parole sono l’unica cosa che un angelo possa assaporare. E si meravigliano ogni giorno, di fronte al creato.

«Ariel annuì. “Del resto potresti tranquillamente dire che è il mondo a venire al bambino. Nascere è come ricevere un mondo intero in regalo, col sole di giorno, la luna di notte e le stelle nel cielo blu. Un mare che bagna le spiagge, foreste tanto fitte da non conoscere i propri segreti, animali meravigliosi che attraversano il paesaggio. Perché il mondo non invecchia né sbiadisce, mai. Siete voi a diventare vecchi e grigi. Finché vengono messi al mondo bambini, il mondo è nuovo fiammante, esattamente come nel settimo giorno quando il Signore si riposò”».

Ariel insegna a Cecilie a volare. Attraverso lo specchio. Oltre i confini dell’uomo. Libera, infine, come il pensiero, sorge a nuova vita.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Jostein Gaarder (Oslo, 1952), ex insegnante di filosofia, romanziere e favolista norvegese.

Jostein Gaarder, “In uno Specchio, in un Enigma”, Longanesi, Milano 1999. Traduzione di Roberto Bacci.

Prima edizione: “I et speil, i en gåte”, Oslo, 1993.

Gianfranco Franchi, novembre 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.