Isbn Edizioni
2010
9788876381850
L'arte d'essere precario nei primi anni Sessanta: per precisa e consapevole scelta esistenziale, nel tempo e nella società in cui, per buona parte dei nostri compatrioti, era ancora possibile suicidarsi professionalmente con garbo, e con un certo stile. Sbagliando tutto, ma con qualche garanzia di restare in piedi. Beati loro. “Il supplente” (Isbn, 264 pp., € 15) di Angelo Fiore, dimenticato e rimosso artista siciliano, è la trasfigurazione estetica delle esperienze d'uno scrittore laureato in Letteratura Inglese, che per campare – proprio come il suo antieroe, in questo romanzo – lavorava come impiegato ministeriale, ma poi un bel giorno aveva deciso di accettare una nomina da supplente in uno sperduto paesino dell'isola. E aveva finito per sprofondare tra gli spettri della sua psiche, pur di rifiutare le interazioni con la meschina e mediocre società ultraprovinciale d'antan. All'epoca il romanzo non venne compreso: oggi, inaspettatamente, guadagna una discreta aura d'attualità. E questo non tanto per la scelta professionale ed esistenziale: Sergio Pent, su “La Stampa”, pochi giorni fa ha osservato che ai giorni nostri il supplente «sarebbe rimasto al sicuro nel suo ufficio dell'anagrafe anziché partire per una cieca avventura nella patria scuola pubblica».
Diciamola tutto, oggi forse nemmeno avrebbe avuto la possibilità di scegliere. No: oggi “Il supplente” ha guadagnato una stravagante credibilità tutta contemporanea per la sua capacità di accompagnarci negli incubi d'una psiche d'un cittadino onesto e idealista, sconfitto dalla decadenza sociale, culturale ed estetica del suo tempo, e della vita di provincia, e non certo dalla sua pretesa differenza dall'alterità, né dalla sua grande sensibilità. Il romanzo di Angelo Fiore riappare, a oltre quarantacinque anni dalla prima edizione (Vallecchi, 1964. Quindi, localissima, Pungitopo, 1987) nella superba collana di Guido Davico Bonino “Novecento Italiano”, orgoglio della Isbn Edizioni di Milano. Riappare parlando una lingua molto famigliare. Giorgio Barberi Squarotti, nella postfazione, ci aiuta a contestualizzare l'artista: «Strano destino è stato quello di Fiore: scoperto da quel finissimo intenditore e studioso della nostra letteratura militante che è stato Geno Pampaloni, autore, prima di “Il supplente” (1964) di “Un caso di coscienza” (1963), poi di “Il lavoratore” (1967), di “L'incarico” (1970), di “Domanda di prestito (1976) e di “L'erede del Beato” (1981), non è mai andato al di là della stima e degli elogi di critici e recensori […]; e sempre gli sono mancati i consensi dei lettori».
Geno Pampaloni parlava di lui come d'uno scrittore di prima grandezza, a metà strada tra Pizzuto, Tozzi e Musil, la cui «originalità è una potenza metafisica che si accampa, e fa da sfondo, a una figuratività icastica, inesorabile», e qualche ascendenza pirandelliana. Ma tecnicamente, secondo Barberi Squarotti, «Fiore non è uno scrittore secco e ironico come Pirandello: al contrario, tende all'amplificazione, alla ricchezza verbale, alla moltiplicazione degli episodi e delle situazioni, dei personaggi e delle vicende laterali, all'amplissima orchestrazione tematica e stilistica, al sublime (e mai al realistico: altro motivo della sua scarsa fortuna in un Paese come il nostro) [...]». Sergio Pent lo giudica invece un «bizzarro, impervio e inafferrabile scrittore relegato in soffitta». La definizione più fascinosa l'ha data, pochi giorni fa, Salvatore Ferlita su “La Repubblica” di Palermo: la scrittura di Fiore ha uno «stile spigoloso e sgraziato, fatto di cortocircuiti e di scosse elettriche». E queste scosse sono sane, sono rigeneranti, a dispetto del tempo trascorso. Dovreste lasciarvi fulminare.
Veniamo alla trama. Attilio Forra ha quasi quarant'anni. È stanco, ma sente di non avere ancora vissuto. È un impiegato statale che sogna qualcosa di diverso. Crede che la vita sia una sorta di carriera spirituale: una sorta di cursus honorum. E vuole andare oltre i suoi limiti: e non ha paura di fallire. “Devo fallire: a me il fallimento è necessario” - si ripete, come un personaggio di Beckett. Si ritrova a insegnare inglese come supplente, nella cittadina di B. Si chiama così: soltanto un iniziale, niente nome. Il nostro antieroe si prende una licenza dal lavoro e va. «Fino allo scorso anno ero impiegato in un ufficio. Ho pensato di cambiare rotta. Non c'è molto da scegliere, nel nostro paese o nel nostro ambiente: o un impiego qualunque o l'insegnamento; o tacere sempre o parlare senza tregua», racconta più avanti. Dicendo tutto, dell'essenza della maggioranza assoluta dei letterati italiani, in tre righe. Stiano come stiano le cose, per il supplente Attilio Forra incipit altra vita. Combattendo una battaglia interiore per “trovare assetto”, per sedare i nervi scossi, per addormentare l'inquietudine. E per inventare un mistero che forse non c'è attorno a donne (colleghe, s'intende: altrove è difficile andare) come la Cammelli, occhi grigi d'una luce metallica, sbarcata nella scuola del paese per uno dei tanti capricci del provveditorato, facile ad amori opportunisti.
Nel paese in cui Forra si ritrova a vivere si dice che non possano attecchire i forestieri, perché fortuna non ne hanno: “rimangono soltanto gli sventurati, gli infelici; gli altri se ne vanno, prima o poi”. Prima o poi. E Forra non attecchisce: piuttosto, sembra precipitare in una crisi nervosa sempre più grave, composta di profonda insicurezza, generica angoscia di tutto, nulla comprensione autentica, smaniosi tentativi di ridefinire la realtà scrivendo un diario. Come ha scritto Leonelli su Repubblica, da qui in avanti il supplente «scivola in un'inerzia appena allarmata dall'attesa di una rivelazione metafisica». Rivelazione che non può arrivare. Intanto, nel suo pensiero si fa largo un assurdo desiderio di distacco dalla fisicità, una serpeggiante maledizione della corporeità: Fiore scrive «questa mia carne è come un terreno grasso; tuttavia nel mio corpo è anche sterilità e fiacchezza. Sono compatto, chiuso in me, autonomo; la mia vita è la vita». E sino alla fine, combatte per l'integrità della sua anima. Battaglia perduta. La realtà sa allucinare.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Angelo Fiore (Palermo, 1908 – Palermo, 1986), impiegato statale, insegnante d'inglese e scrittore italiano. Esordì pubblicando “Un caso di coscienza” (1963).
Angelo Fiore, “Il supplente”, ISBN, Milano 2010. Con uno scritto di Giorgio Barberi Squarotti e una testimonianza di Geno Pampaloni. Collana “Novecento Italiano”, 11.
Prima edizione: Vallecchi, 1964. Quindi, Pungitopo, 1987.
Gianfranco Franchi, ottobre 2010.
Prima pubblicazione: Secolo d'Italia. A ruota, Lankelot.