Il Re ne comanda una

Il Re ne comanda una Book Cover Il Re ne comanda una
Stelio Mattioni
Adelphi
1968
9788845901188

È possibile parlare con leggerezza d’una vicenda drammatica, senza mostrare cinismo e senza mostrare distacco? È possibile sfumare il dolore e la sofferenza dei personaggi tinteggiando di grottesco e di farsesco lo sviluppo delle loro vicende, mantenendo – è un paradosso, ma non troppo – realismo e lucidità? È possibile, infine, che tutto questo dia e sia prova di quella letteraria astrazione che non possiamo non chiamare triestinità? Ossia: è, mi domando, questo “Il Re ne comanda una” un’incarnazione altra dell’espressione artistica e nevrastenica del territorio letterario e spirituale di Trieste?

La risposta a ogni domanda è sì. E il purtroppo trascurato Stelio Mattioni è probabilmente da salutare come autore da riscoprire, attendendo con pazienza l’arrivo a domicilio o nelle vostre librerie delle opere ordinate: sugli scaffali è scomparso. Eppure, come scoprirete, ha molto da insegnare e da comunicare alla contemporaneità; nell’umanità, nello stile, nella lucidità in primis.

Classe 1921, morto nel 1997, pupillo di Bazlen (naturlich, esordio narrativo Einaudi, quindi Adelphi), non incontrò particolari difficoltà di pubblicazione né di circolazione delle opere; e tuttavia m’accorgo sia necessario premettere a questo articolo, contrariamente al solito, più di qualche informazione biografica, per via della sua relativamente scarsa popolarità odierna. Una passeggiata nel web non restituisce soddisfazioni adeguate, come noterete. L’auspicio è che da queste parti l’autore riesca invece a ritrovare, in un lasso di tempo relativamente breve, legioni di lettori, opportuna critica, adeguata neo-interazione e – chissà – un pizzico di comprensione.

“Il Re ne comanda una” è originariamente apparso nel 1968. Viene considerato, con opportune virgolette, una “favola” moderna, nel risvolto dell’edizione esaminata (Biblioteca del Piccolo, 2003): della favola mantiene la capacità di sforare nel grottesco o al limite nel farsesco, in una leggera surrealtà: si forzano, in altre parole, dinamiche e conseguenze degli eventi, senza che risultino visionari o allucinati. Tutt’altro. L’esito della vicenda, peraltro, non è esattamente solare e non può essere semplificato come “happy ending”. È la storia di Tina, che fugge dal marito, Franco, nullafacente e ubriacone; fugge, rimediando subito una multa in bus, assieme alle sue due bambine, la tredicenne Pupetta e la piccola Millina. Fugge per riconquistarsi una libertà, riconquistare autonomia e rivendicare indipendenza; per saldare i debiti del marito, e magari le rate da pagare per l’acquisto degli elettrodomestici. Si rifugia in un microcosmo misterioso, retto da un padre-padrone, Orlando. La sua residenza è anche un’azienda, d’un laboratorio che produce armi o forse cosmetici: chi vive da Orlando, moglie, figli, parenti o dipendenti che siano, è un ingranaggio del suo meccanismo. È un regno retto da un monarca assoluto, stanco della moglie, invecchiata dopo la nascita del secondo figlio, e sempre in cerca di nuove concubine.

Tina viene ingaggiata per lavorare in cucina e nelle pulizie domestiche; la accoglie un omino, Pittsburg (già emigrante in America), e la guida per giardino, magazzino, interni del microcosmo.

Passano i giorni e le figlie sembrano voler tornare dal papà; quel papà che attende, minaccioso, fuori dalla casa, scrivendo lettere terrificanti, pronto a richiamare alla difesa del perduto onore i fratelli della moglie, Tata e Turiddu.

Tina, stoicamente e orgogliosamente, resiste sia all’oltraggio della minaccia d’una denuncia per abbandono del tetto coniugale, sia alle prime avance di Orlando. Intanto, “alla macchia”, “all’opposizione”, “eroe pagano” e “del partito del Re”, il cognato Massimo – il fucile spesso imbracciato – vive nel giardino, guardiano e ribelle tollerato e protégé.

La trama è questa: la vicenda drammatica, ripeto, d’una fuga d’una madre di famiglia da un marito odioso e violento; la sua consegna alla servitù e alla convivenza, progressivamente dal sottile retrogusto del more uxorio, con un creditore del marito; la perdita d’una delle figlie, la più piccola, che torna dal padre, e l’inevitabile sorte della primogenita adolescente, ultimo oggetto della speciale considerazione del sultano Orlando (e s’intravede un sentimento paradossale e ibrido, di gelosia e rivalità, molto femminile, ben instillato dallo sviluppo della trama). Sostegno non le verrà né dai fratelli, né dal clan di Orlando, né dalla madre, come scopriremo nelle battute finali: cercherà riparo e solidarietà senza trovare altro che la magra consolazione dell’accettazione d’una servitù medievale. Protetta ma costretta a non uscire mai di casa; meglio, condizionata a non farlo perché comunque sta lavorando. In una casa senza telefono, con un televisore già utile a intorpidire e addomesticare le serate, per dialoghi nevrastenici e prevedibili invidie: là, dove la stravaganza diviene norma, e non prevede altro che variazioni su quello spartito.

L’esito è dolce e amaro, a ben guardare. Tina riesce a liberarsi dal marito, e a ricostruire una vita in cui non avrà preoccupazioni diverse dall’ordine d’una casa, ben sapendo che la primogenita è avviata a un futuro sereno. Mattioni racconta la fine della libertà, e dell’illusione della libertà: la favola si sgretola, si disintegra, si incenerisce. La vita cambia.

Stilisticamente, l’autore tiene le redini della trama giocando per dialoghi fitti e avvincenti; tanto che in più d’una circostanza si ha l’impressione di leggere una sceneggiatura teatrale, e proprio in un teatro questo libro potrebbe tornare a vivere, nel tempo. Riesco a visualizzarne senza difficoltà scenari e giochi di luci e ombre, le furibonde e pulcinellesche risse e gli amorazzi clandestini.

Le descrizioni dei personaggi, degli interni e degli esterni sono meno convincenti; il lettore deve contribuire con la sua immaginazione. Scelta interessante. Infine, plaudo all’ironia dell’autore; aiuta a dimenticare l’argomento, a dimostrare che ci si può inventare un altro destino, e altra vita. A dispetto di mariti, figlie, amanti: norme, leggi e consuetudini.

Al di là del bene e del male, in un microcosmo altro. Atipico, malinconico, eccentrico, nevrastenico: borghese. Modernissimo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Stelio Mattioni (Trieste, 1921 – Trieste, 1997), giornalista, scrittore e poeta italiano. Ha esordito pubblicando in poesia “La città perduta” (1956) e in narrativa “Il sosia” (1962).

Stelio Mattioni, “Il Re ne comanda una”, Biblioteca del Piccolo, Trieste 2003.

Prima edizione: “Il Re ne comanda una”, Adelphi, Milano 1968.

Gianfranco Franchi, luglio 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Al di là del bene e del male, in un microcosmo altro. Atipico, malinconico, eccentrico, nevrastenico: borghese. Modernissimo…