Il Padrino

Il Padrino Book Cover Il Padrino
Mario Puzo
Corbaccio
2012
9788863803723

A Don Vito Corleone tutti si rivolgevano per aiuto senza mai venire delusi. Non faceva vane promesse e neppure avanzava scuse vili di aver le mani legate da forze più potenti. Non era necessario che fosse amico, e neppure avere i mezzi con cui ripagarlo. Una sola cosa era fondamentale. Che il supplicante, lui, lui stesso, proclamasse la sua amicizia. E allora, non aveva importanza quanto povero o quanto debole fosse, Don Corleone avrebbe preso a cuore i guai di quell'uomo. Nulla avrebbe lasciato di intentato per risolverne il caso. La sua ricompensa? Amicizia, il rispettoso titolo di 'Don' e qualche volte il più affettuoso omaggio di 'Padrino'” (p. 10).

È forse impossibile leggere questo romanzo, nel 2009, considerandolo per quel che era: un'opera letteraria di uno scrittore italoamericano non eccezionalmente prolifico, e forse non del tutto espresso. Sfogliare la vecchia edizione Dall'Oglio (1970), pubblicata ben prima che Coppola si dedicasse al primo dei tre film tratti dall'opera, emoziona: in quarta, c'è la classifica dei romanzi più venduti negli States nel 1969: “The Godfather” troneggia, anticipando “The French Lieutenant's Woman” di Fowles e “The House on the Strand” di du Maurier. Sempre in quarta campeggia la traduzione di una recensione del Saturday Review, che giudica Puzo innovatore autentico, brutalmente vitale, valutando il libro sintesi di amore siciliano e sesso americano. Nella bandella, s'incappa in notizie sui precedenti romanzi: “The Dark Arena”, ambientato nella Germania occupata, e “The Fortunate Pilgrim”, altra lettura delle vicende degli italiani immigrati negli States, giudicato “piccolo classico” dal Times. Un piccolo classico che, a quanto pare, non ha letto quasi nessuno; almeno, quarant'anni dopo escludo di averne mai sentito parlare né dai lettori, né nell'ambiente editoriale o in quello letterario. Quasi tutti i libri di Puzo sono oggi pubblicati da Tea; i più curiosi scopriranno che “Il fortunato pellegrino” è diventato, bontà editoriale italiana, “Mamma Lucia”.

Sensazione? Mario Puzo (1920-1999) è un autore schiacciato dalla fortuna della saga cinematografica; probabilmente serviranno anni per restituire centralità e “normalità” a tutta la sua produzione, e per prendere seriamente in considerazione le qualità letterarie dell'opera. Impossibile leggerla, a posteriori, senza “vedere” le scene dei film. È un esercizio di comparazione creativa, al limite; e questo a dispetto della buona qualità della narrazione, e del poderoso studio dei personaggi.

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1946. Il Padrino, Don Corleone, ufficialmente “importatore italiano di olio d'oliva”, già contrabbandiere e uomo d'affari, sta per celebrare il matrimonio della figlia, Costanzia. La guerra è appena terminata e nessuno sarà immalinconito dalla lontananza dei figli, al fronte. La coreografia sarà paesana, vecchio stile italiano; il consorte è Carlo Rizzi, siculo-veneto di sangue, ex manovale. Molti si presentano a domandare favori al Don: nessun siciliano può rifiutarne quando si sposa la figlia. Sarà un matrimonio infelice, ma questo il Padrino l'aveva forse presagito, ribadendo che il genero non avrebbe mai avuto un ruolo nella famiglia. Così sarà.

Il Padrino si chiama Vito Andolini - “Corleone” è il cognome che ha voluto prendere oltreoceano, in memoria del villaggio natio, e del padre assassinato quando aveva appena dodici anni. Ama la vita, a dispetto della morte che dispensa, e vuole guadagnarsi un ruolo nella società che sia al di là delle leggi e delle decisioni di altri. Semplicemente, è un malavitoso molto consapevole del suo ruolo e delle sue inclinazioni; tanto da averci fondato una poetica.

Ha tre figli maschi. Santino detto Sonny è alto, per essere una prima generazione italoamericana (uno e ottanta), forte come un toro, sposato con tre figli ma molto amato dalle donne; da una in particolare, Lucy, che sarà la sua amante fissa. Non umile come il padre, ma collerico e irascibile, passerà seminando violenza e cattiveria ovunque; mai contro donne e bambini. La sua indole violenta – che “forse proveniva da qualche misterioso e profondo fatto fisico”, e la sua generosità, lo porteranno alla morte, mentre difende l'onore della sorella. Cadrà vittima d'un agguato ordito dal cognato Carlo.

Federico, detto Fred o Fredo, è un ragazzo rispettoso, schivo e leale, piccolo ed equilibrato, del tutto privo di carisma. E forse di coraggio: quando spareranno al padre, non saprà fare altro che piangere, come un bambino, e a casa passerà giorni interi sotto sedativi. Secondo Michael, era il più forte dei tre fratelli, quando erano marmocchi, ma anche il più sottomesso al padre. Verrà inviato a Las Vegas, dopo l'attentato al padre, in parte per ristabilirsi e in parte per studiare i nuovi alberghi-casinò. Là vivrà dissoluto – mettendo incinta circa quindici donne, stando a quanto riferirà un personaggio marginale – e sostanzialmente sparirà dalla circolazione: dimenticate quanto accade nel secondo episodio della trilogia cinematografica, ossia la famosa scena della pesca e dell'Ave Maria.

Michael è carismatico, ma sembra distante dalla famiglia; sta diventando americano, e la donna che ha scelto – Kay Adams – potrebbe trascinarlo lontano dai disegni del padre, che sogna sia il suo erede, nonostante abbia combattuto al fronte – sfidando i divieti – e abbia servito “stranieri”, rimediando addirittura la Distinguished Service Cross. Sogna di diventare professore di matematica, di sposarsi e di cambiare vita. Ma qualcuno spara al padre, riducendolo in fin di vita. Da quel momento tutto cambia. Michael si risveglia, assecondando una sorta di barbarico richiamo della foresta. Comincia a collaborare con la famiglia, nonostante sia “civile” rispetto alla loro militanza. E difende il padre, d'un tratto senza sorveglianti in ospedale, da un probabile attentato, e dalla volgarità della polizia compromessa coi nemici – polizia che parla, sprezzante, di “gangster dago”. Ha capito cosa significa “questione personale”: tutto è maledettamente personale, spiega a Tom, questa è la lezione del Padrino. Ucciderà il poliziotto corrotto e il nemico del padre, pronto a lasciare il Paese – passaporto falso, libretto da marinaio, cuccetta su una nave da carico con scalo in Sicilia, e nascondiglio in Sicilia, vengono rimediati da Tom Hagen. E se ne andrà sentendo sollievo, come quando, ferito in guerra, era stato portato lontano dal fronte: il fronte che abbandona è una guerra, la Guerra delle Cinque Famiglie del 1946. Sanguinosa e distruttiva.

Michael Corleone in Sicilia comprende cosa significhi il disprezzo per le autorità, l'odio per i traditori, la remissività delle donne; scopre il significato della parola “mafia” (“luogo di rifugio”, quindi “associazione segreta” anti-governativa), e incontra il suo vero amore, Apollonia. Conquista e convince prima il padre della futura sposa, rispettando i costumi locali, quindi la ragazza. Nelle ultime battute, rivela la sua identità a una paesana. Ne deriveranno nuove tragedie: tradito da uno dei suoi compagni, perderà la moglie in un attentato.

In queste pagine (327-356) Puzo regala un intelligente e intenso spaccato del senso delle radici per gli italoamericani, offrendo uno spaccato della società isolana dell'epoca decisamente suggestivo (meno quando spiega come i mafiosi divennero sindaci, post “liberazione” del 1945), nel bene e nel male. Una cultura paesana gretta, retrograda ma incredibilmente dignitosa, strutturata in un sistema di valori arcaico e invincibile, resistente a qualsiasi governo e qualsiasi oppressore. Verrebbe da dire: bestiale.

C'è una sorta di quarto figlio maschio: Thomas Hagen, “consigliori” e legale del Padrino, vive con la famiglia da quando, orfano dodicenne, era stato salvato da Sonny e introdotto in casa. Senza essere adottato: il Padrino non voleva mancare di rispetto ai suoi genitori cambiandogli il cognome. È un avvocato, di aspetto comune e sangue tedesco-irlandese. Ha la freddezza di un mafioso, e della mafia ha imparato a conoscere e decifrare codici e messaggi simbolici. È consapevole che gli stupefacenti diventeranno il business del futuro, e che presto il gioco d'azzardo non basterà a tenere in piedi la famiglia; ma non pressa sul Padrino, in questo senso. E fedele rimarrà a ogni ordine, e ogni disposizione: persino la revoca della nomina di Consigliori.

La saga del Padrino è una storia di una famiglia che sembra poggiare solo e soltanto sui maschi. Le donne sono rispettate ma vengono trattate con relativa freddezza. Sono madri e angeli del focolare, spesso all'oscuro di tutto.

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È in una figura laterale che si nasconde la prima, incredibile differenza tra romanzo e film. Johnny Fontane – il cantante ispirato, a quanto pare, a Frank Sinatra – è decisamente più centrale nel libro che nei tre film. Don Corleone è il suo padrino di battesimo; dopo la morte del padre, ha saputo sostituirlo nell'educazione e nel sostegno del ragazzo. In principio, lo incontriamo ubriaco, nel suo appartamento, morto di gelosia per l'assenza della moglie alle quattro di mattina. La sua carriera è in declino, proprio come il matrimonio. La moglie torna e lui la pesta; ridendo, lei chiede soltanto che non le sfiguri il viso, perché sta girando un nuovo film. Meccanicamente, la richiesta viene rispettata. La scena è grottesca, il cantante sembra fragile e depresso; al termine, Johnny decide di domandare aiuto al Padrino. Si presenta al matrimonio – come nel primo film – e canta per la sposa; soltanto, canta assieme a un vecchio amico, Nino, lasciando che sia lui il protagonista. Quando conversa col Padrino, domanda scusa per averlo irritato, lasciando moglie e figli per una “vagabonda”, una “prostituta fatta per il diavolo”, attrice famosa e ninfomane. Spiega di non riuscire più a cantare – e di non sapere come comportarsi. Quindi, finalmente accenna alla questione della parte desiderata in un film. Il Padrino lo conforta: preparerà a chi di dovere un'offerta che non potrà rifiutare. L'offerta è quella che ben conosciamo grazie al film: per convincere il produttore a ingaggiarlo, massacreranno il suo adorato cavallo, previa inutile mediazione di Hagen.

Vivrà un nuovo sfortunato amore (l'attrice Sharon Moore, che lo giudica un vecchio), e cercherà consolazione dalla prima moglie. Ha perso la voce, sente di non avere più fortuna commerciale, mancano le offerte dal cinema, si sta alcolizzando. Il Padrino vuole che diventi produttore: garantisce le protezioni bancarie. Johnny fa di più: torna a cantare col vecchio amico Nino, che aveva trascurato per tutti quegli anni, proponendogli un signor ingaggio. Incideranno un disco di canzoni italiane che andrà di lusso; e Nino saprà badare agli eccessi di Johnny, quanto il successo tornerà a sorridergli, dimenticando di badare ai propri.

A Las Vegas, un medico scoprirà che ha dei polipi in gola, e che asportandoli potrà forse restituirlo, negli anni, al canto; quando recupererà la voce, Nino sarà invece nel pieno di una china autodistruttiva, tra alcolismo e diabete (morirà per un'emorragia cerebrale all'acme della popolarità, come attore). Ancora: Michael farà firmare a Johnny – come nel film – un contratto per tenere un determinato numero di spettacoli l'anno negli alberghi-casinò della famiglia. A conferma d'un legame di sangue che niente poteva e potrà intaccare.

Altre differenze rispetto al film... La più micidiale: Vito morirà tra le braccia di Michael, dicendo soltanto “La vita è così bella”. Inalterata la dinamica del malore, mentre giocava col nipotino. Passiamo alle altre.

Nelle prime battute del romanzo, Amerigo Bonasera è di fronte al giudice che condanna a tre anni con la libertà condizionale i malviventi che hanno rovinato sua figlia; minaccia i loro genitori (“piangerete come ho pianto io”) e smette di credere nella giustizia americana. Nel primo film, lo incontreremo direttamente di fronte al Padrino (Brando), mentre domanda giustizia.

Altra omissione: la morte di Genco Abbondando, vecchio consigliori della famiglia, sostituito poi da Tom Hagen; i figli del Padrino, assieme a Johnny Fontaine e al Don, vanno a rendergli omaggio nei suoi ultimi momenti di vita. È una scena notevole, perché Genco chiede al Padrino di salvarlo dalla morte: è convinto che ne abbia il potere.

Simbolicamente, sarebbe stato forse rilevante mantenere un dettaglio che Coppola ha omesso; ossia che quando il poliziotto spacca la mandibola di Michael, mentre il Padrino è in ospedale, il danno rimane pesante e permanente per molti anni. Sarà solo sette anni dopo, i tre di esilio e quelli del matrimonio, che Michael deciderà di farsi operare per recuperare salute (e bellezza). Ha già preso, da tempo, il posto del padre, che morirà di lì a breve.

Ancora: Coppola ha preferito drammatizzare la partenza del Padrino dalla Sicilia, annunciando la strage del padre e mostrando quella del fratello e della madre; in realtà, nel romanzo Vito viene tenuto nascosto dai parenti e poi imbarcato per gli States, dove non viene messo in quarantena per una malattia ma viene accolto dagli Abbandando. Della madre e del fratello non si parla affatto.

Attenuata, nel film, la portata dell'attentato che uccide la prima moglie di Michael, Apollonia: nel romanzo, il giovane rimane per una settimana privo di conoscenza; al suo risveglio, viene avvertito che – creduto morto – può finalmente fare ritorno in patria, senza rischi.

Estranea alla verità romanzesca la nascita bastarda del futuro successore di Michael, Vincent, figlio di Sonny e della sua amante, Lucy: figura comprimaria del romanzo, la ragazza non rimarrà mai incinta e giocherà un ruolo funzionale nei giorni (e nei giochi) di Las Vegas. In generale, tutto “Il Padrino – parte terza” è estraneo al romanzo originario, mentre il secondo prevede numerose innovazioni rispetto alle trame pubblicate nel romanzo, a partire dai mortali contrasti tra Fredo e Michael.

Last but not least: Kay non è esattamente all'oscuro di tutto, negli anni di lontananza di Michael, in necessario esilio in Sicilia: la polizia si presenta a casa sua e parla con lei e col padre del probabile omicidio del futuro Padrino. Sarà la madre di Michael a farle intendere che la polizia non è in errore; e sarà sempre lei ad avvertirla del ritorno del figlio, anni dopo. Michael negherà di aver ucciso il poliziotto.

Si sposeranno, avranno bambini, e l'epilogo del romanzo sarà tutto per lei: ormai consapevole della vera attività del marito, accetterà la sua sorte e si convertirà al cattolicesimo. L'allegoria è abbastanza chiara, e commentarla varrebbe a poco: l'America wasp, infine, accetta gli italoamericani e il loro codice mafioso. Per amore, per necessità o per fascinazione.

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Non sapremo mai – proprio come nel caso di “Dracula” di Bram Stoker – come sarebbe stato leggere questo romanzo senza che ne fossero derivate due grandi pellicole, e una terza derivativa, e tanta fama mondiale. In questi giorni ho provato a studiarlo con approccio critico, rilevando che le carenze stilistiche sono ovviate da un principesco intreccio e da una seducente documentazione della cultura italoamericana del secondo Novecento; ho la sensazione che questo rimarrà del libro, l'aspetto socio-culturale di denuncia e inchiesta, la contaminazione dialettale italiana in certi dialoghi, la vaga mitologia di uno dei colori del male.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Mario Gianluigi Puzo (New York, 1920 – Long Island, 1999), ha studiato alla Columbia University e alla New School. Scrittore e sceneggiatore americano, di sangue irpino, italiano.

Mario Puzo, “Il Padrino”, Dall'Oglio, Milano 1970. Traduzione di Mercedes Giardini.

Prima edizione: “The Godfather”, 1969.

Adattamento cinematografico: “The Godfather”, di Francis Ford Coppola, 1972.

Gianfranco Franchi, febbraio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.