Il mondo delle cose

Il mondo delle cose Book Cover Il mondo delle cose
Michael Zadoorian
Marcos Y Marcos
2010
9788871685243

Detroit. Detroit poteva essere un buon titolo italiano per il terzo libro di Michael Zadoorian, l'outsider esploso, post fertile passaparola, già all'altezza del suo fulminante esordio, “Second Hand”, e sopravvissuto con maturità (non solo con dignità) al secondo romanzo, “In viaggio contromano”. Stavolta il nostro junker preferito affronta il momento della vanità: la raccolta di racconti. Vanità e basta? Niente ciccia? Non del tutto. Diciamo che protagonista è Detroit, e protagonista è il coraggioso tentativo di un mezzofondista di misurarsi sulla distanza veloce. Il passo rimane quello del romanziere, ma l'affetto nei confronti dell'artista apprezzato qualche anno fa convince a fare finta di niente, a cercare tracce (solo prodromiche? Chissà. La filologia ha bisogno di dati, e di date) della sua verve, e della sua personalità autoriale. Se ne riconoscono, come già hanno opportunamente rilevato Tiziana Lo Porto su “D”, Valeria Parrella su “Grazia”, Marta Cervino su “Marie Claire”, la Schisa sul “Venerdì” (in vena di letture freudiane, in differita di 110 anni: “Zadoorian è un temperamento anale”, scrive, respingendo – sospetto – anche il fan più implacabile. Schisa!) e Damir Ivic sul “Mucchio”, che pure mostra qualche perplessità. Che condivido, mantenendo il suo stesso entusiasmo. Zadoorian, sarà il cognome armeno (sbaglio?), sarà il suo grande esordio, mi è ferocemente simpatico. Sospetto che leggerei volentieri anche la sua lista della spesa. So già che la scriverebbe con una penna di un certo livello, sicuramente non una stilografica. Chissà che scarabocchi fa, a proposito. Mi piacerebbe studiarli. Diceva Nato Frascà che dagli scarabocchi si capiscono un sacco di cose. Un'altra volta vi parlo di Nato Frascà.

“Il posto dove vivo è pieno di oggetti che vengono dalla casa dei miei genitori e da quelle di altri, magari dei vostri. Mi piacciono particolarmente gli oggetti dei primi anni Sessanta, quando i miei erano nel fiore degli anni: brava gente bianca della buona borghesia che viveva in un bel quartiere bianco e borghese di Detroit. Gli oggetti appartenuti a loro sono la mia attuale ossessione: mobilio Danish Modern e Limed Oak, soprammobili in lucite e a mosaico, plastica maculata oppure a motivi concentrici, oggetti ovoidali dell'età dei jet, così ridicolmente seri nella loro affermazione di appartenenza al sogno americano” (Zadoorian, “Il mondo delle cose”, racconto eponimo, incipit).

Questo racconto è nato per tutti quelli che avevano amato – e non sono affatto pochi: è diventato un libro di culto - “Second Hand”. Zadoorian torna sui suoi primi passi di narratore; scrive del suo culto per i rigattieri e per tutti gli oggetti di design (o meno) che abbiano una storia, e racconta d'una cantina speciale da saccheggiare con dolcezza, e d'un biglietto che lo invita a farlo. È una vicenda discretamente imprevedibile – non solo per l'epifania dell'aggettivo “camp”, che non ricordavo in narrativa dai favolosi giorni del primo Tommaso Labranca (“Andy Warhol era un coatto”, 1994) – e ci si ritrova in un buffo tempio, al posto d'una casa, consacrato a un passato non sempre decifrabile. A volte è bello cancellare il passato, è un esercizio creativo. Forgia la personalità autoriale.

Stesso discorso vale per un altro racconto, “Il problema di Modell”: è la storia d'un rigattiere dalla bottega disordinata e felicemente caotica, piena di vita e di creatività. Il nostro antieroe è scosso per la morte della sorella, neanche sessantenne. E quando si trova scritto qualche insulto sul furgone sa che l'unica sospettata potrebbe essere lei. Vacilla, ma si convince dell'impossibilità della cosa il giorno dopo, quando trova altri insulti (svastiche gratuite incluse) sul retro del negozio. Choc, e paura d'essere ucciso. Che sia una strategia della concorrenza? Io escluderei una performance di Manwoman.

Il miglior pezzo della raccolta, profondo, allegorico, iniziatico – in senso lato – è “Sviluppo”, poesia in prosa del rapporto padre-figlio, del senso della memoria, della delicatezza della personalità di chi dà la vita, e del fascino dei suoi segreti. Si gioca sul tema delle foto, forma d'arte prediletta dal padre del narratore. E sull'arte di riordinarle, dopo tanti anni, e di riscoprire sé stessi.

Niente male le infantili, erotiche e protovoyeuristiche (ma grottesche, s'intende) memorie di “Origliare”; stessa patologia, ma in salsa adulta e con non poca ebbrezza figlia della gelosia d'un marito cornuto, in “Il rumore del cuore”. C'è uno strano retrogusto d'impotenza e frustrazione in entrambe le circostanze, rimane la sensazione d'assistere a storie nate per via di qualche inadempienza. Materia per la critica psicanalitica, scivolo subito via. Ci pensa la Schisa, in casi come questi.

Non so se andrò mai negli States. Nel caso, una scappata a Detroit non me la faccio sfuggire. A costo di andare a vuoto per qualche settimana, voglio andare per negozi e interrogare l'architettura dei palazzi, e le facce di tutte le persone che incontro, per interiorizzare quel mood – vero Parise? Il mood, che gran concetto.

Dicevo. Qual è il segreto di Michael Zadoorian? È a voi che lo domando. Non credo sia una questione di temperamento.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Michael Zadoorian (Detroit, Michigan, 196*), scrittore americano, copy e giornalista. Vive a Detroit.

Michael Zadoorian, “Il mondo delle cose”, Marcos Y Marcos, Milano 2010. Copertina di Lorenzo Lanzi. Traduzione di Michele Foschini e Gioia Guerzoni. Collana “Gli Alianti”, 174.

Prima edizione: “The Lost Tiki Palaces of Detroit”, 2009.

Approfondimento in rete: Sito ufficiale di MZ

Gianfranco Franchi, marzo 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot

Prima raccolta di racconti di Michael Zadoorian…