Il mio cane Tulip

Il mio cane Tulip Book Cover Il mio cane Tulip
Joe Randolph Ackerley
Voland
2007
9788888700854

Cosa significa scrivere come un cane? Significa: “Qualunque sia l’occupazione del momento, come ad esempio la caccia ai conigli, prima di seguirmi torna sempre sul posto dove mi sono liberato – non le sfugge niente di ciò che faccio – per bagnare le mie gocce con le sue. Pertanto credo che, se mai ci siano state differenze tra noi, ora non ce ne sono più. Mi sento un vero cane” (II, p. 48). Significa essere diventato il proprio cane.

Questo è quanto accadeva al letterato inglese Joe Randolph Ackerley, londinese classe 1896, autore di testi teatrali, di vari memoir e d’un romanzo: una condivisione simbiotica, nemmeno empatica, della propria esistenza e di quella del suo bellissimo e scontroso (con chiunque non fosse J.R.A.) cane lupo, la dolce Tulip. Ora: prima di entrare nel dettaglio, è bene indagare le ragioni di questo transfert. Per prima cosa il nome Tulip è soltanto letterario: riferisce in proposito wikipedia english: “An account of living with his dog Queenie. Eventually his relationship with Queenie becomes all-consuming and pushes aside most of his human relationships. The dog’s name was changed to Tulip when the editors of Commentary, who had purchased an excerpt, became concerned that using the dog’s real name might encourage jokes about Ackerley’s well-known homosexuality(...)” – prima annotazione fondamentale, sino a questo punto relativamente (e curiosamente) trascurata dalla critica italiana: Ackerley era un campione dell’orgoglio gay. Tanto che la sua cagnetta non poteva chiamarsi “Reginella” per evitare facili ironie. Nell’antefatto – riportato da Tuccini, ed estraneo all’opera – scopriamo che Queenie era dono (inizialmente rifiutato…) del soldato Freddie Doyle, grande amore di Ackerley. Bella e intrattabile come lui: peraltro cresciuta, sfortunatamente, tra un padrone e l’altro nei primi diciotto mesi, quelli determinanti nella formazione del carattere d’un cane. Mentre Freddie scontava una pena per diserzione, Ackerley s’era invaghito di lei; cercava di portarla a spasso, sottraendola ai padroni, non appena poteva. Probabilmente in lei vedeva non l’eredità, ma l’altrimenti impossibile presenza dell’amico in carcere. Una volta tornato in libertà, s’accompagnava – mortificando la moglie – all’amico Ackerley e a Queenie in lunghe passeggiate notturne.

Vogliamo dirlo che questo romanzo è incredibilmente ellittico, e quindi inevitabilmente allegorico? Ecco fatto. Le ragioni possono essere differenti; da un lato, l’artista voleva forse comunicare al suo amore e a lui soltanto qualcosa parlando del “loro” cane. Dall’altro, si voleva evitare di irritare (siamo nel 1956) la benpensante società anglosassone, raccontando la true story nascosta dietro la dog story. E così, questa incredibile – è il caso di spendere questo aggettivo – storia d’una relazione, ripeto, non amorosa ma simbiotica tra cane e cane-padrone si caratterizza come indagine sulla vita di Tulip, in ogni recesso e in ogni anfratto, in ogni contesto e in ogni momento: Queenie-Tulip è la bellissima protagonista della vita del letterato Ackerley. Condividono la solitudine (quanto reale?) e le pozze dei loro bisogni: secondo lo scrittore inglese, ciò avviene perché l’urina dei cani è un codice (cfr. p. 38), che amalgama due differenti vocazioni – la necessità e la socializzazione.

Nella loro storia, si racconta della dignità, della bellezza e della indipendenza di Tulip, che aveva ripudiato tutta la razza umana eccetto il suo padrone (per le ragioni si veda Tuccini in appendice) e che mostrava difficoltà addirittura nelle interazioni coi veterinari, una eccezione a parte. La ragione che è la bella Queenie era innamorata e gelosa del suo padroncino: che non doveva essere presente durante le visite. Una dottoressa empatica saprà sciogliere l’enigma.

I capitoli probabilmente più complessi da accettare anche per i cinefili sono quelli coprolalici o coproscopici: Ackerley è preoccupato e affascinato dalle evacuazioni della sua piccola e ne analizza tecniche e dinamiche con una certa determinazione e una esemplare precisione, diciamo così. Apprezzando addirittura gli odori e non escludendo campionature di aneddotica varia, visite agli amici con speciali omaggi incluse. Le pagine dedicate ai problemi di accoppiamento di Tulip sono egualmente analitiche, e portate alla radiografia di ogni singolo incontro sessuale, da quelli divertenti e astrusi, fallimentari, a quelli riusciti; naturalmente le indagini sulle successive infezioni e la meticolosa descrizione delle cure necessarie non mancano. A inficiare pagine che potevano essere diversamente romantiche – come quelle relative alla gravidanza e al parto. Ackerley tende a dire tutto: per tutto s’intende che nel momento successivo al parto sembra il caso di descrivere altri tipi di evacuazione.

Che questo sia grande amore o eccessiva maniacalità deve essere il lettore a decifrarlo e determinarlo. Personalmente, conoscendo molti altri cani-uomini che crescono e vivono per dieci, quindici anni al fianco di altri cani, non mi stupisco e piuttosto rimango ammirato dalla loro devozione a tutto quel che compone la vita e le necessità e le comodità dei loro simili.

Commenta Tuccini, traduttore dell’opera, nello scritto in appendice: “Il tono è quello di un libro familiare, alla buona, un libro più parlato che scritto; episodi e personaggi si susseguono senza studio di chiaroscuri, senza ricerche di belle cadenze, trovando il loro respiro nelle svolte d’una conversazione spontanea e brillante” (p. 142). Avrei aggiunto, senza timore di smentita, che questa brillantezza non esclude una chiara dedizione agli aspetti più primitivi della quotidianità. Preferendo l’analisi quantitativa, diciamo così, rispetto a quella qualitativa. Forse amore è anche questo, contare e numerare la merda, esaminare l’urina e indagare il sangue e il pus. Di questo amore, francamente, non sono capace. Significa che l’anima nobile è quella di Joe Randolph, non la mia: intendiamoci, a ciascuno il suo. Per chi sa che tra uomini e cani non ci sono particolari differenze e che la comunicazione tra le due specie è spesso veicolata da stilemi e dettami canini, questo libro sarà una preziosa esperienza estetica. Gli altri – semplici appassionati inclusi – per una volta si astengano, preferendo magari attendere “an animated feature based on this book featuring Christopher Plummer, Lynn Redgrave and Isabella Rossellini is due out in 2008”.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Joe Randolph Ackerley (Londra, 1896 – Londra, 1967), giornalista, scrittore e viaggiatore inglese. Ha pubblicato testi teatrali, quattro memoriali e un romanzo.

Joe Randolph Ackerley, “Il mio cane Tulip”, Voland, Roma 2007. Traduzione e postfazione (“Tulip nella quotidiana invenzione dei sentimenti”) di Giona Tuccini.

Prima edizione: “My Dog Tulip”, London, Secker & Warburg 1956.

Gianfranco Franchi, dicembre 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.