Il maledetto United

Maledetto United Book Cover Maledetto United
David Peace
Il Saggiatore
2009
9788842821120

“The Damned Utd” [2006] è il grande romanzo dedicato a Brian Clough, leggenda del calcio britannico. È un libro di narrativa calcistica benedetto da una grande letterarietà e da un'ottima tenuta strutturale: è la biografia romanzata di un genio del calcio, ed è intelligentemente e opportunamente incompleta. Vale a dire che David Peace non ha raccontato sostanzialmente niente dell'era di Clough al Nottingham Forest, la modesta formazione inglese che ha guidato per quasi vent'anni, conquistando addirittura due Coppe dei Campioni e una Supercoppa Europea. E ha sostanzialmente glissato, qualche parentesi a parte, sul passato da centravanti di mister Clough, giocatore dall'assurda media gol ma dalla scarsa fortuna con la maglia della nazionale, costretto a un ritiro anticipato da un brutto infortunio. Cosa ha raccontato, allora, David Peace? Ha raccontato come Brian Clough ha saputo diventare Brian Clough, concentrandosi sulla sua prima grande esperienza di creatore di grandi squadre dal nulla (Derby County) e sulla sua incredibile rivalità con il Leeds Utd: e di quanto sia stato cloughiano ritrovarsi, per 44 giorni, ad allenare la squadra dei suoi nemici, al termine delle sue vicissitudini al Derby.

Personalmente ho scoperto il romanzo soltanto dopo aver visto il buon film tratto dal libro, “Il maledetto United”, di Tom Hooper (2009): mea culpa, sin qua non avevo potuto incrociare nessuno degli apprezzati romanzi dello scrittore del West Yorkshire, classe 1967, nemmeno l'idolatrato “Tokyo anno zero” o la tetralogia “Red Riding Quartet”, per la quale è stato accostato a James Ellroy. Naturalmente, con un punto di partenza così pop e facile come il film di Hooper, l'impatto del romanzo è stato più impressionante ancora. Il Brian Clough di David Peace è una figura di grande spessore e grande fascino, e non soltanto perché sembra aver anticipato il genio mediatico di Mourinho, e la sua prepotente capacità di dare vita a un personaggio perfetto per lo showbiz. Il Brian Clough di Peace è un artista prestato al calcio. Un socialista che non crede in Dio e non crede nella fortuna: crede in sé stesso e nella sua capacità di forgiare una grande squadra. È un combattente instancabile, capace di fronteggiare la sconfitta con dignità e orgoglio, e forse per questo più credibile ancora quando si ritrova a piangere e a disperarsi in privato, per come vanno le cose. Ma intanto è uno che sa che la sua vita va così:

“Vinci la partita ma perdi la successiva. Vinci quella dopo e quella dopo ancora. Perdi quella seguente ma vinci quella dopo e quella dopo ancora. È così che va, la tua vita. Ne vinci una, ne perdi una. Vinci la successiva” - perché è così che vuole che vada. È come se in certi momenti fosse cosciente d'aver bisogno di perdere, di essere sconfitto. La sconfitta è il suo carburante. Clough, proprio come Mourinho trent'anni più tardi, sembra avere bisogno dei nemici – di sentire quello che il tecnico lusitano chiamava “il rumore dei nemici”: “Uomini che vogliono vederti fallire. Uomini che vogliono vederti perdere. Uomini che ti vorrebbero morto”.

Clough vive il suo ruolo con una pienezza di sé incontenibile, e con grande coscienza delle gelosie, delle invidie e e delle cattiverie sempre in agguato.

Clough prende in mano il Derby County quando si tratta, semplicemente, di una ex discreta squadra decaduta, confusa dalla leggenda d'una maledizione gitana, sempre a metà strada tra la serie B e la serie C. E ha un modello: il Leeds di Don Revie. Perché lui e Revie, a parte sette anni di età di diffferenza, si somigliano molto: sono due ex centravanti, sono due tecnici capaci di portare una squadra dalla Serie B ai grandi scenari europei. Oddio: Clough ancora non lo è, ma si identifica proprio tanto in Revie. È lui il suo avatar. “Il Leeds United e Don Revie, un modello per te [...]. Il Leeds Utd e Don Revie che sono passati in Prima Divisione vincendo la Seconda nel 1964, per poi arrivare secondi nel 1965 sia in campionato sia in Coppa d'Inghilterra, di nuovo secondi in campionato nel 1966 e in finale nella Coppa delle Fiere del 1967. United e County, giganti addormentati in città con un solo club; Leeds immersa nel rugby e Derby immensa nel cricket; giganti addormentati, risvegliati da uomini che furono tra i giocatori più talentuosi, dotati e sottovalutati della loro epoca” (p. 67).

Clough e Revie si incontrano quando Clough è l'allenatore di una squadretta in coda alla serie B, e Revie il mister del grande Leeds che domina la scena nazionale. Revie non saluta Clough e Clough se la lega al dito. Si crea da solo una rivalità enorme con il suo modello più grande: si inventa un nemico, e se lo inventa ciclopico, rispetto alle sue possibilità. Col passare degli anni, saprà portare il Derby County in Serie A, saprà vincere lo scudetto, saprà ripetere il modello Leeds. Il suo nemico “immaginario” diventerà un nemico in carne e ossa, reale, quotidiano. Già.

David Peace racconta per bene che succede a uno come Clough quando diventa, letteralmente, “il suo nemico”. Perché un bel giorno, dopo varie vicissitudini, Clough siede sulla panchina del Leeds (e Revie su quella della nazionale). Siede sulla panchina del Leeds e ci rimarrà per 44 giorni soltanto. La ragione è semplice.

“Perché loro non sono la mia squadra. Non la mia. Non questa squadra, e non lo saranno mai. Loro sono la sua squadra. Il suo Leeds. Il suo sporco, maledetto Leeds e lo saranno sempre. Non la mia squadra. Mai. Non la mia. Mai. Non questa squadra. Mai. Loro non sono il Derby County. Non saranno mai il Derby County” (p. 51).

Già, c'è un problema di stile da superare. Una volta diventato il proprio avatar, una volta conquistato il ruolo del proprio nemico, succede che ci si accorge di non essere il proprio nemico. Il Leeds non è il Derby. Si fonda su un'idea diversa di calcio. Il Derby County di Clough era “onesto e sincero”, giocava “con eleganza e con humour”, vinceva pulito e giocava per farsi apprezzare per il proprio modo di giocare. Il Leeds era brutto, sporco e cattivo, giocava per vincere e per vincere picchiava duro. No, la metamorfosi non riesce.

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Un lettore italiano, buon esperto di calcio, può ritrovarsi discretamente a suo agio con questa storia, a dispetto del fatto di non conoscere tutti i dettagli della leggenda calcistica e nazionalpopolare inglese di Brian Clough. Perché Peace racconta molto bene tutta una serie di dettagli, dalla sua gavetta in C all'Hartlepool alle prime forche caudine del Brighton, e non ci si trova mai disorientati. E poi perché Peace dà vita a un personaggio complesso, stratificato, con una famiglia importante – moglie, tre figli – tanto talento e tanta fragilità, sfogata nell'alcol, nelle sigarette, nell'angoscia, nell'ossessione per il calcio. Ci si appassiona dell'umanità magnifica e fradicia di Brian Clough, delle sue miserie e delle sue spacconate, delle sue risate e delle sue frustrazioni, perché ci si riconosce parecchio nella sua metà oscura.

Diciamolo. Clough sembra un autentico perdente che si convince, giorno dopo giorno, di essere quello che non è – un genio del calcio: il genio forse era il suo collaboratore, Peter Taylor – ma che man mano ci accorgiamo che sia. La sua è la favola del ragazzo che credeva di potercela fare e che nonostante una seria valanga di guai e di problemi di ogni ordine e grado un bel giorno ce la fa. Passa per la povertà e passa per tutta una serie di sacrifici, ma ce la fa.

E adesso, nel 2010, quando un appassionato di calcio si ritrova, sorridendo, a pensare alla favola dell'allenatore socialista e intellettuale che un bel giorno ha fatto vincere scudetto e ben due Coppe dei Campioni alla squadra della Foresta di Nottingham, quella di Robin Hood per capirci, e scopre che questo allenatore ha già un paio di statue sparse per la sua nazione... allora l'appassionato di calcio fa più che bene a pensare che quanto accaduto nel football inglese degli anni Settanta possa ripetersi altrove: nelle arti, nella politica, nel nostro calcio. Decida l'appassionato, dove. Ma Clough può tornare, un Clough può tornare sempre. Secondo me lo si riconosce da una cosa sola. La vera umiltà di chi dà tutto per la sua squadra, nonostante sia una squadra di serie C, e per il suo lavoro. Così:

“Ma sei tu a verniciare la tribuna. A liberare le fognature. Sei tu a tagliare l'erba. A svuotare i secchi d'acqua piovana. Sei tu a fare il giro dei circoli di minatori. A partecipare alle riunioni e a salire sui palchi per chiedere donazioni. Sei tu a farti prestare tenute da allenamento usate dallo Sheffield Wednesday. A usare tua moglie per scrivere a macchina. Sei tu a prendere la patente per i mezzi pubblici per poter guidare l'autobus della squadra. A organizzare le macchine per Barnsley quando non puoi permetterti un pullman. Sei tu a comprare il fish and chips per la squadra. A restare senza paga per due mesi” (p. 35).

E a uno che si comporta così si può perdonare la presunzione, dico. Era grande già quando non era niente.

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“Maledetto United” è una storia di calcio, di competitività, di problemi di ruolo e di guasti figli della fantasia. È un bel romanzo pieno di sentimento, poesia, intelligenza ed esistenzialismo. È una lezione di umiltà e un'iniezione di fiducia nel futuro allo stesso tempo. Per quanto mi riguarda, va sicuramente considerato tra i migliori romanzi di football di sempre – è più ambizioso di “Febbre a Novanta”, e più inglese ancora, ma quando riesce a farsi universale è decisamente adorabile.

Da leggere.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

David Peace (Ossett, West Yorkshire, UK 1967), scrittore inglese.

David Peace, “Il maledetto United”, Saggiatore, Milano 2009.
Traduzione di Pietro Formenton.

Prima edizione: “The Damned Utd”, 2006

Adattamento cinematografico: “Il maledetto United”, di Tom Hooper (2009).

Gianfranco Franchi, Dicembre 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

“The Damned Utd” [2006] è il grande romanzo dedicato a Brian Clough, leggenda del calcio britannico. È un libro di narrativa calcistica benedetto da una grande letterarietà e da un’ottima tenuta strutturale: è la biografia romanzata di un genio del calcio, ed è intelligentemente e opportunamente incompleta.