Il male naturale

Il male naturale Book Cover Il male naturale
Giulio Mozzi
Laurana
2011
9788896999011

Cronaca di un caso editoriale e politico dell'altro secolo: questa è una storia che poteva capitare quando qualcuno s'indignava addirittura per un racconto un po' crudo, tanto da far partire denunce e interrogazioni parlamentari. L'altro secolo era tredici anni fa: un'epoca in cui non avevamo ancora assistito a venticinque minuti di telegiornale nazionale sulla sregolata vita sessuale di un forzista quasi ottantenne, premier. Un'altra epoca, va detto.

La prima edizione della raccolta di racconti del letterato Giulio Mozzi da Padova, "Il male naturale", uscì per Mondadori nel marzo del 1998. Una manciata di mesi più tardi, l'oscuro parlamentare leghista Oreste Rossi dichiarò l'intenzione di denunciare l'editore Mondadori e presentò un'interrogazione parlamentare per via di uno dei racconti contenuti nella raccolta, "Amore". Oreste Rossi non era, parrebbe, un lettore di Giulio Mozzi: era, semplicemente, un navigatore incappato nel sito web della Mondadori. E sul sito web aveva letto quel pezzo, attratto forse dalla parola magica: “amore”. Si trattava di un racconto erotico, sì, ma concentrato sull'amore tra un bambino e un adulto, scelto come assaggio della qualità e delle potenzialità dell'opera da quello che all'epoca era un giovane e promettente redattore Mondadori: Giuseppe Genna. La scelta era stata più casuale che meditata, secondo Mozzi. Genna giura che sia proprio il contrario, ancora oggi, stando a un'intervista rilasciata pochi giorni fa ad Antonio Prudenzano di "Affari Italiani". In ogni caso, la dinamica era stata questa. L'onorevole signor Rossi s'era stranito per un racconto apparso sul sito web della casa editrice di Segrate, e s'era sentito offeso. Secondo il signor Rossi, quel racconto era un'espressione di pedopornografia. Grande Giove!

A suo tempo, sul "Corriere della Sera", ben prima della denuncia del leggendario Oreste Rossi, Geno Pampaloni aveva obbiettato che avrebbe preferito la scena dell'amore tra bambino e adulto fosse stata sfumata o almeno diversamente sintetizzata, e tuttavia aveva apprezzato la freddezza e la crudeltà della scrittura di Mozzi. Punto. Alla McEwan, per capirci. Mica male. L'artista veneto aveva risposto che non si sentiva offeso dai rilievi di Pampaloni, perché comprendeva che ciò che aveva scritto potesse urtare la sensibilità di qualcuno: in ogni caso, aveva deciso di pubblicare quelle pagine perché le considerava «nude, nitide, secche e insolite». Insolite perché mostravano un bambino più forte d'un adulto: soltanto in questo senso. Antonio Franchini, editor Mondadori, aveva chiosato, lapidario: «Compito di chi scrive è lavorare sugli aspetti meno ovvi dei sentimenti. Scoprire l'umanità anche nella perversione». Sta di fatto che il signor Rossi profittò della circostanza per domandare un disegno di legge relativo alla regolamentazione del settore della comunicazione, a tutela dei minori e dei cittadini: erano gli anni in cui Internet era fonte di angoscia e paranoia per la sua internazionalità, per la sua pretesa anarchia, per la sua apparente ingovernabilità. L'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema suggerì, con la disinvoltura di sempre, che le case editrici si dessero, «nella loro strategia editoriale, un codice etico che assuma il principio del massimo rispetto della tutela dell'infanzia».

Tutto questo per un racconto d'uno scrittore considerato, soltanto qualche anno prima, “eccessivamente buonista”. Uno degli scrittori più spirituali della nostra epoca. Uno dei pochi che va sempre mostrando una granitica fede in Dio, proprio come Carlo Coccioli, uno dei suoi idoli. Uno scrittore che in questo libro aveva saputo, al di là della nerissima parentesi del racconto “Amore”, rivelare, per squarci di luce, la segreta essenza della scrittura. Questa: «La letteratura vale come cosa umana, intendevo dire, il raccontare storie vale per la sua capacità di redimere le persone e le cose, di raccattare ciò che è stato buttato sul margine della strada, di trasformare in testata d'angolo la persona più miserabile. Purtroppo, ho constatato, la letteratura non serve a salvare me. Io forse posso salvare un'altra persona ma non posso fare nulla per me». Un passo del genere meriterebbe un'interrogazione parlamentare fondata su un altro e non meno importante aspetto: ma la politica, allora, a cosa vale? Può la politica redimere qualcuno? Può la politica salvare qualcuno? Può la politica rappresentare ancora qualcuno?

2011. "Il male naturale" (Laurana, 224 pp, euro 15,50) torna a disposizione dei lettori in una nuova edizione completa d'un'intensa postfazione di Demetrio Paolin e d'un bel saggetto in appendice, “Notizia”, firmato dall'artista, Giulio Mozzi. Che effetto fa, dodici anni più tardi, leggere questa (terza) raccolta di racconti dello scrittore veneto? Esteticamente è una grande esperienza. Spiritualmente è lacerante. A suo tempo, Mozzi scriveva che «nei miei racconti racconto sempre circa la stessa storia: una persona perde una persona amata e per salvarsi da questa perdita decide di uscire dalla realtà. Che si tratti di impazzire, di iper-razionalizzare o di affidarsi a ciò che verrà dopo la morte, nella sostanza non cambia molto». E oggi questa rimane, naturalmente, la chiave d'accesso principe allo spirito del libro. L'angoscia della morte domina e giostra la scrittura di Mozzi. Come, per dire, nell'incipit di uno dei suoi racconti, “Splatter”: «La morte mi ripugna e credo che non esista una sofferenza più forte del sentirla avvicinare. Non so che cosa venga dopo la morte. Non so se ha senso dire: venga dopo la morte. La morte è: finire». Per Demetrio Paolin questo libro è «il tentativo di mettere in chiaro il male, ma nello stesso tempo tale nitore è sadico perché infligge al lettore un dolore acuto pagina per pagina come a dire che il male può essere detto, ma l'unica esperienza di male che possiamo fare è quella del dolore fisico. Ovvero io sento il male perché ho un corpo». Il male è una maledizione. La maledizione della coscienza. Impressionante il racconto “Super nivem”, in questo senso. Il protagonista e io narrante ha compreso che perché l'amore esista è necessario che la persona amata accetti di essere amata. Per lui questo è impossibile, ripete, perché è cosciente del suo male: lui coincide col male e quindi non può essere amato. «Per me la cattiveria è un dato di natura, io dico sono cattivo così come potrei dire sono Giulio, non c'è nessuno scampo, io sono e non potrò mai essere altro che Giulio e qualunque tentativo di procurarmi o di assumere pubblicamente nomi finti o falsi sarà, per l'appunto, un tentativo finto e falso al quale io, qui, ora, diffido chiunque dal credere. In questi mesi sono giunto alla conclusione che se compiere il male è la mia natura è bene che io compia il male, e specularmente è male che io cerchi di compiere il bene [...]».

In altre parole, è bene che io vada incontro al sacrificio pur di redimere qualcuno. Vallo a spiegare al signor Rossi.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Giulio Mozzi (Camisano Vicentino, 1960), scrittore, poeta e consulente editoriale italiano.

Giulio Mozzi, “Il male naturale”, Laurana, Milano 2011. Con una nuova postfazione dell'autore e con una nota di Demetrio Paolin. Collana “Rimmel”, 5.

Prima edizione: Mondadori, 1998.

Approfondimento in rete: WIKI it / vibrisse

Gianfranco Franchi, gennaio 2011.

Prima pubblicazione cartacea dell'articolo: "Secolo d'Italia" del 28 gennaio 2011, pagine 8 e 9, in versione più ridotta per problemi redazionali. L'articolo è apparso poi su "Lankelot" in versione integrale.

Nuova edizione Laurana della storica Mondadori, 1998…