Il libro di un teppista

Il libro di un teppista Book Cover Il libro di un teppista
Ottone Rosai
Vallecchi
2010
9788884271460

"Ottone Rosai non è un uomo, ma una rappresentazione, un simbolo. Fiorentino, a Firenze non è nato mai, perché c'è sempre stato. Se ai nostri tempi a Firenze non ci fosse un Rosai bisognerebbe inventarlo", scriveva Soffici. Rivelando l'essenza d'un artista notturno, e teppista: "La notte, per un teppista come lui, è il tempo più propizio all'attacco e allo sfruttamento della poesia. Teppista, Rosai s'è battezzato da sé dopo la guerra (...) ma è un teppista ideale. Creatore di valori spirituali egli stesso, rispetta i valori dello Spirito". 2010. Questi valori e questa personalità fascinosa, libertaria e irregolare, tornano a disposizione dei lettori e dei letterati italiani nell'esordio laterale di lusso "Il libro di un teppista" (Vallecchi, p. 140, euro 10,00). Originariamente edito dall'editore toscano nel 1919, appare adesso completo delle prose liriche e impressioniste di "Via Toscanella" (1930), raccolta di bozzetti e appunti, sorta di trasfigurazione letteraria dei suoi quadri; a metà strada tra un Campana meno lirico, e un Boine in frantumi. Chi erano i protagonisti dei quadri di Rosai? Il popolo, e i popolani, rappresentati nella loro semplice, onesta, povera e magnifica quotidianità, iniezione di verità e di antiretorica, lezione di adesione alla poesia della provincia, della vita agreste, della ribellione placida di quelli che chiamava lazzaroni. Rosai aveva imparato a cantare, amare, esaltare la vita nei campi vivendo l'esperienza estetica e politica strapaesana delle riviste "Il Selvaggio" di Mino Maccari e "L'Universale" di Berto Ricci, pubblicando ad esempio una pagina come "Bellosguardo", giudicata dal critico strapaesano Troisio maestra d'una limpidezza degna soltanto d'un pittore, nobile nelle reminiscenze foscoliane e negli influssi di Masaccio: "ingredienti essenziali nella felicità di questo elzeviro che ricorda sia la prosa d'arte che l'espressionismo naif". Caratteristiche, questa della prosa d'arte e dell'espressionismo naif, che riconosceremo senza difficoltà nel suo diario di guerra, Il libro di un teppista. Ma altrettanto centrali, nell'arte del futurista strapaesano Rosai, erano i nudi maschili. Ottone amava la bellezza, in assoluto; viveva da uomo e da artista libero, e amava amare. Si sentì ferito dalla stipula dei Patti Lateranensi, li considerò un tradimento della rivoluzione. Sognava un'Italia svaticanata, ne scrisse con passione e con rabbia per tempo, e con grande franchezza; si ritrovò sposato a un'amica d'infanzia per poter vivere serenamente, e senza scandalo. Racconta molto bene questa storia, e l'omosessualità dell'artista, Piero Santi, nel suo "Ritratto di Rosai" (De Donato, 1966), con una scrittura elegiaca, umanissima e affettuosa.

Torniamo adesso alle pagine del "Libro di un teppista". È il 1915. Il diario di guerra di Rosai ha inizio con due oggetti, quasi fosse una natura morta. Questi oggetti sono una gavetta e un cucchiaio. E ci si ritrova in una stanza umida, con quattro grandi finestre spalancate, in attesa della visita medica. Soldato, sei uno e ottantasei. Soldato, sarai granatiere. Rivestirsi, e in fila. Un maresciallo spiega alle reclute che quella gavetta e quel cucchiaio non devono essere mai perduti. E poi ecco i barbieri come boia, per cancellare il passato. E già ci si sente diversi e distanti dai borghesi. Libera uscita, e subito Rosai va alle Giubbe Rosse, dai suoi amici Palazzeschi, Soffici e Papini, a confidarsi e a parlare della patria che sta per vivere giorni magnifici e dolorosi per liberare i propri fratelli. Il giorno dopo t'aspetta il treno. L'avventura sta per cominciare. Ultima visita medica a Roma, qualcuno ha già capito che aria può tirare e dorme con lo zaino in spalla. Più tardi un maggiore riesce a far piangere di entusiasmo il battaglione, ricordando loro il senso della guerra che stanno per combattere, insegnando loro che cosa significhi la parola sacrificio, che cosa sia la disciplina, che cosa sia la patria. I soldati, intanto, trovano pace e rassegnazione nella corrispondenza. E poi tutti su un carro. C'è tempo per scendere a Firenze e attaccarsi al collo del papà. Una corsa fino a casa, un bacio e una promessa: dovere. Rosai scrive: DOVERE. San Giorgio di Nogaro è la prima meta. Il Secondo Risorgimento attende. Si marcia verso l'Isonzo. Il vecchio confine abbandonato dal nemico rivela tracce di fuga, e di disordine. Battesimo di fuoco. Secondo battesimo di fuoco. Feriti Slataper e Rosai. Non si lamentano, promettono vendetta. Sono poeti guerrieri. Rosai guadagna, di lì a poco, una convalescenza di quindici giorni, e poi d'un mese, ché il piede non guarisce. Torna al fronte. Monfalcone. Prima linea. Cardarelli s'arrende: lazzarone, scrive Rosai, tirando accidenti ai ciociari tutti. E poi solite cose. Quelle che abbiamo studiato e che mai dimenticheremo. Gli Austriaci rispettano la festa. È dura. Dal Sabotino si vede Gorizia, e la rabbia è di non portare quel nome sulla bandiera. Rosai guadagna il distintivo d'ardito e una licenza di quattro giorni. A Firenze c'è chi legge l'"Avanti", falso come gli ideali dei suoi lettori. Ancora guerra, e gloria e morti e feriti e formazione di nuovi battaglioni; e poi la spagnola, premio finale a chi ha fatto il suo dovere, come Rosai. Che sopravvive. E vive, da borghese, in congedo e medagliato, con l'intensità di chi ha dato tutto per la patria, e adesso trova sapore nuovo in ogni cosa.

La narrativa della Grande Guerra torna, oggi, ad arricchirsi d'una pagina emozionante, onesta e intensa. Rosai non conosce gli incendi d'entusiasmo e di sensualità del Marinetti dell'"Alcova d'acciaio" (1921): riesce a prendere per bene le distanze da quella che può apparire retorica. Racconta la guerra con dignità e con umiltà, ben rappresentate da quel cucchiaio e da quella gavetta che incontriamo nelle prime battute. D'altra parte, Rosai non è uno che abiura e rinnega la sua esperienza bellica: questa non è la memoria dei giorni degli assalti post cognac raccontati, vent'anni e molto socialismo più tardi, da Emilio Lussu nel suo "Un anno sull'altipiano" (1938). Interventista era e interventista è rimasto, pure nella consapevolezza del massacro eroico e del martirio della sua generazione. Lussu scriveva asciutto, scarno e sobrio, Rosai scrive come un ragazzo delle campagne toscane col cuore d'artista, raccontando l'esperienza militare non come una costrizione, ma come un atto dovuto, sentito, partecipato. Mi piace considerare questo suo libro come il medio termine tra l'incredibile, euforico e battagliero spirito marinettiano e il grottesco diario d'una carneficina di alcolisti rappresentato da Lussu. Cos'è stata la Prima Guerra Mondiale? È stato quel sacrificio di nostri compatrioti che ha permesso al nostro Risorgimento di conoscere termine, e di restituire patria e nazione ai nostri concittadini trentini, giuliani, istriani. È stato quel sacrificio di cittadini semplici e di artisti immortali come Slataper, Boccioni e Sant'Elia, senza differenze, perché fossimo tutti uniti, e orgogliosi d'essere quel che siamo. È stato quel sacrificio di uomini e di gioventù che ha permesso a chi scrive di nascere, nel 1978, in una città non più austriaca, ma italiana: Trieste. Per questo, ritrovarmi a leggere le pagine dei nostri soldati e dei nostri ufficiali, artisti o meno che siano, è sempre un'emozione gigantesca; la riconoscenza è un fiore poggiato a Redipuglia, o dovunque un monumento commemori la gloria dei nostri caduti nel nome della patria. La riconoscenza è in queste semplici parole. Altre non so usarne.

Ottone Rosai morì improvvisamente a Ivrea, il 13 maggio 1957, mentre allestiva una grande mostra delle sue creazioni. Cinquantacinque anni più tardi, l'Europa riconosce che nelle sue tele è come se Cèzanne s'ibridasse al Quattrocento toscano, sorridendo col sorriso di Carrà. L'Italia, intanto, deve restituire grazia e luce alle sue pubblicazioni. Si ricomincia adesso, senza esitazioni, senza incertezze, e a dio piacendo, senza retorica. Come voleva lui.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ottone Rosai (Firenze, 1895 – Ivrea, 1957), pittore e scrittore italiano, futurista.

Ottone Rosai, "Il libro di un teppista", Vallecchi, Firenze 2010. Contiene "Via Toscanella". Collana "Avamposti".

Prime edizioni: "Il libro di un teppista", 1919; "Via Toscanella", 1930.

Per approfondire: WIKI it / Giovanni Dall'Orto

Gianfranco Franchi, "Lankelot". Febbraio 2010

«Ottone fu richiamato e spedito sul Carso, ne tornò con alcune medaglie, poi rimase sempre ad abitare lì, a rappresentare nelle sue tele quell’umanità massiccia e ostile cui egli stesso apparteneva». Indro Montanelli

Prima pubblicazione dell'articolo: "Il Secolo d'Italia", 2 marzo 2010. A ruota, Lankelot.

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