Il cuore avventuroso

Il cuore avventuroso Book Cover Il cuore avventuroso
Ernst Jünger
Guanda
2001
9788882463182

“Il cuore avventuroso. Figurazioni e Capricci” apparve – leggiamo nella prefazione all'edizione Guanda, 1994, firmata da Quirino Principe – nel 1929; una seconda versione fu pubblicata nel 1938 e revisionata nel 1950. Si tratta di una raccolta di frammenti brevi, strutturata senza un criterio riconoscibile: sono frammenti diaristici, narrativi, filosofici o occasionali, tendenzialmente onirici. “Capricci”, per restare fedeli alla definizione dell'autore: destinati, ottant'anni abbondanti post prima edizione, a stuzzicare aficionado e appassionati di Ernst Jünger, e a respingere – con freddezza pari al loro espressionismo – i neofiti. Che davvero dovrebbero restare bene alla larga.

Di fronte ai quaderni di prose, in generale, ho soltanto una difesa: la selezione dei passi più affascinanti, con disinvoltura. L'alternativa sarebbe ammettere che un libro come questo è destinato a una circolazione esclusiva, estremamente ridotta, elitaria (o: minoritaria). Sì, serve disinvoltura: parola estranea al lessico tedesco. Curioso, no?

“Le cose di cui nessuno neppure avverte la mancanza non sono le peggiori. Una di queste è la désinvolture – un atteggiamento per il quale manca nella nostra lingua l'espressione corrispondente. La parola è tradotta per lo più con Ungeniertheit, assenza di disagio; la traduzione colpisce nel segno solo parzialmente, in quanto indica un comportamento libero da complicazioni, non impacciato. Ma nella parola d'origine si nasconde anche un altro significato, e cioè quello di una superiorità simile a quella divina. In questo senso, intendo per disinvoltura l'innocenza del potere” (p. 99).

L'innocenza del potere. Può esistere? Serve fede. Cos'è la fede? “La fede nei solitari nasce dalla nostalgia di un'innominata fraternità e di un rapporto spirituale più profondo di quel che è possibile fra uomini” (p. 18).

Saperlo non basta. Serve esserne persuasi. Perché? Perché “Dobbiamo distinguere tra il mero sapere qualcosa e l'esserne anche convinti. Fra ciò che sappiamo e ciò che abbiamo acquisito mediante la persuasione c'è una differenza come tra il figlio adottato e il figlio carnale. La persuasione è un atto spirituale che si compie nell'oscurità, una segreta suggestione e un consenso interiore che non dipende dalla volontà” (p. 20).

Possiamo giocare molto facilmente con questo libro, è naturale. Se dovessimo cercare un senso nell'opera, avremmo bisogno di parole ben diverse dal discorso ermetico e vagamente autoreferenziale del curatore dell'opera, Quirino Principe, nella prefazione; servirebbe l'autore seduto al nostro fianco, a spiegare come si possa passare dai suoi sogni (magari su un “libro dei reclami” da compilare nella stazione dei treni) alle sue meditazioni sulle confezioni commerciali come niente fosse. Perché uno chiama “opera” qualcosa di compiuto e di sensato: non di assemblato.

Emergenza. La lucidità scompare. “Uno dei connotati dell'emergenza è che in essa non esiste via di scampo. Forse all'emergenza potrebbe condurre la volontà stessa, ma poi avvengono cose che si compiono sotto l'impulso di una costrizione, come nei casi della nascita e della morte. Perciò la nostra realtà si sottrae anche a quel linguaggio con cui il miles gloriosus cerca di padroneggiarla” (p. 57).

Come un'allucinazione. Come nel racconto schizofrenico “Visita estranea”, infilato proprio nelle prime battute. Quando questo strano estraneo sembra tornato di nuovo in città. E a un tratto guarda fisso il narratore, disteso nel suo letto. E il suo sguardo è incendiato e immenso. Ed è così incendiato che infine “rimasero soltanto le nere occhiaie carbonizzate: l'assoluto nulla che si nasconde dietro l'ultimo velo del terrore” (p. 14).

Forse, chissà?, sta morendo. “Chi sta morendo comprende una nuova maniera di amare la propria vita, libera dall'istinto di conservazione; i suoi pensieri acquistano sovranità, mentre si svincolano dalla paura che turba e grava ogni idea, ogni giudizio” (p. 123). Perché la morte è simile a un continente straniero di cui nessuno degli abitanti riferirà mai nulla.

Ernst Jünger dissemina qualche omaggio letterario qua e là; tendenzialmente si tratta di Dostoevskij (“Delitto e castigo”, “I fratelli Karamazov”), una tantum di Hoffman, Poe e Kleist (p. 153), oltre, naturalmente, al suo adorato Tristram Shandy (p. 16), già nominato nell'opera d'esordio, la ben diversa e compatta “Nelle tempeste d'acciaio”. Detto ciò, voglio essere onesto: non c'è niente di compatto, di immortale e di necessario, in questo libro. Soltanto la fantasia degli appassionati e dei filologi potrebbe farne un grande libro. Ahimè, qui EJ è mediocre e vacuo, sicuramente raffazzonato.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d'acciaio” nel 1920. Studiò Filosofia e Scienze Naturali a Lipsia.

Ernst Jünger, “Il cuore avventuroso. Figurazioni e Capricci”, Guanda, Parma, 1994. Nuova edizione: 1995. A cura di Quirino Principe. Collana “Biblioteca della Fenice”.

Prima edizione: “Das abenteuerliche Herz”, 1929.

Approfondimento in rete: WIKI It

Gianfranco Franchi, novembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot