Il castello delle rane

Il castello delle rane Book Cover Il castello delle rane
Jostein Gaarder
Salani
2009
9788862561174

Conosciamo le strategie, i topoi e le alchimie della produzione di narrativa fantastica di Jostein Gaarder: protagonista è un bambino che si trova ad affrontare un momento fondamentale dell’esistenza. La nascita di un fratellino, come in “C’è nessuno?”, o l’accettazione della morte, come nel notevole “In uno Specchio, in un Enigma”: si scrive, con dolcezza e con semplicità, del rapporto con l’alterità, della comprensione e dell’apprezzamento della diversità, del dominio dell’immaginazione, della natura del tempo, della caducità dell’esistenza. In questo romanzo breve, accompagneremo il piccolo Kristoffer in una favolistica dimensione parallela, tra gnomi che vivono nei tronchi, salamandre a guardia dei castelli, metamorfici principi ragazzini e stravaganti regine logorroiche: perché il bambino possa, solcando i sentieri del meraviglioso e vivendo un’esperienza fantastica, accettare l’idea che il nonno se ne sia andato.

Gaarder prevede, nel cammino di Kristoffer, un momento di piana e acritica accettazione della fantasia, per tingere di gioco e di divertimento l’ingresso nella dimensione nuova e sconosciuta: per mostrarne l’innocuità, e la natura “iniziatica”. Il narratore norvegese, tuttavia, non mancherà d’accompagnare il suo personaggio alla consapevolezza della natura della sua esperienza. Senza complicarla, senza confonderla, senza contaminarla: con poche battute d’una chiarezza e d’una semplicità impressionanti, come queste che a breve riporterò, tratte da un dialogo tra lo gnomo-guida e Kristoffer.

Se non ho un cuore che batte, allora non sono fatto di carne e di sangue come te e tutte le rane del bosco. E se non sono fatto di carne e di sangue, allora devo essere un sogno. Ma se sono un sogno, ci deve anche essere qualcuno che mi sogna, e se non mi sbaglio quel qualcuno sei tu”. (“Il castello delle rane”, capitolo “Senza cuore”, p. 82).

Istantaneamente pensiamo a un racconto borgesiano, come “Le rovine circolari” (contenuto in “Finzioni”), dove il dubbio relativo a chi fosse a sognare chi si faceva perfino asfissiante: chi si illudeva di essere un creatore, s’accorgeva d’esser stato creato lui stesso da un altro sognatore. La volontà di Borges sembrava essere quella di destabilizzare, nel lettore, la convinzione di esistere: nel libro di Gaarder, il “sognatore” e il “sognato” sono ben distinti. Senza dubbio, si tratta almeno d’una visione più rassicurante.

Veniamo adesso a raccontare il principio di questa nuova favola norvegese. Kristoffer Hansen (si presenterà come Poffer, perché giudica troppo anonimo il suo cognome) è solo, nel bosco: cammina a piedi nudi sulla neve ghiacciata, al chiaro di luna. Indosso ha un pigiama. D’un tratto, seduto sulla neve a pensare a qualcosa che giura d’aver dimenticato, scorge una figura. È uno gnomo adulto, dal berretto rosso e dai vestiti verdi, che promette ricche crêpe con marmellata di fragole se soltanto Kristoffer vorrà seguirlo nella “piena estate”, giusto dietro l’angolo. Così, magicamente cambiato d’abito, il bambino (che si presenterà come “un piccolo principe”) si ritroverà ad entrare, attraverso una porticina in un tronco, nella cucina dello gnomo.

Andranno poi in cerca di girini, per poter dissolvere un antico incantesimo e restituire un principe alle sue antiche fattezze: apparirà con un mantello di velluto blu, una corona d’oro e dei rubini, presentandosi come Carolus Rex, un tempo trasformato in mille girini perché non aveva voluto dare il cuore a uno gnomo malvagio. Riconoscente allo gnomo e al misterioso piccolo principe dei boschi, li condurrà con sé al castello, a bordo d’una carrozza tirata da otto rane, grosse come cani-lupo.

Una triste notizia attende Carolus al suo arrivo: il Re è morto, perché qualcuno gli ha rubato il cuore. Subito la regina accusa lo gnomo amico di Kristoffer, e lo getta, incolpevole, in gattabuia. Non è che la prima parte di una favola in cui si susseguiranno incarcerazioni, liberazioni, fughe, resurrezioni, passaggi dall’una all’altra dimensione, rivelazioni sulla natura del proprio mondo e commoventi agnizioni. Tra biscotti-alfabeto, buffe salamandre, marescialli telepatici e principesse in pigiama, storia dell’avventura d’un bimbo triste in un castello, che gli restituirà pace e serenità: tornerà nell’inverno, rinnovato e forte: e non più solo.

«“Ma in realtà non è il tempo che passa, ragazzo mio”. “No?” “Siamo noi che passiamo. Senza noi uomini il tempo non avrebbe nessuna lancetta”. “Che cosa fa il tempo allora?” chiesi io. “Il tempo guarisce tutti i mali. E ne crea di nuovi”. “Allora il tempo è sia un bene che un male”» (“Il castello delle rane”, capitolo “La gabbia”, pp. 45-46).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Jostein Gaarder (Oslo, 1952), ex insegnante di filosofia, romanziere e favolista norvegese.

Jostein Gaarder, “Il castello delle rane”, Salani, Milano 2004. Traduzione di Alice Tonzig. Illustrazioni di Paolo Cardoni.

Prima edizione: “Froskeslottet”, Oslo, 1998.

Lankelot Franchi, novembre 2003.