Igiene dell’assassino

Igiene dell'assassino Book Cover Igiene dell'assassino
Amélie Nothomb
Voland
2008
9788888700588

Come vuole che uno scrittore sia pudico? È il mestiere più impudico del mondo: attraverso lo stile, le idee, la storia, le ricerche, gli scrittori parlano sempre di se stessi, e con le parole. Anche i pittori e i musicisti parlano di se stessi, ma con un linguaggio molto meno crudo del nostro. No, giovanotto, gli scrittori sono osceni; se non lo fossero, sarebbero ragionieri, conducenti di tram, centralinisti, sarebbero rispettabili” (p. 13).

Prétextat Tach, “sedentario adiposo” (p. 7), “quattro menti, occhi di maiale e guance pendenti” (p. 16), è stato premio Nobel per la Letteratura. È uno scrittore che, giunto agli ottantatre anni, sta per morire d’un rarissimo cancro alle cartilagini – precedentemente individuato solo tra gli ergastolani della Cayenna, e mai più ripetutosi. È un “incidente genetico”, che il riservatissimo artista giudica, per la sua rarità, una “nobilitazione”.

Tutto il mondo s’interessa della malattia terminale dello scrittore, che da anni già non camminava più, per via della sua straordinaria obesità, e mai aveva rilasciato interviste: Tach dà indicazioni precise al suo segretario; rifiuta giornalisti che non conoscano il francese, inviati dalle riviste femminili, dalle riviste politiche e dalle riviste mediche, e qualunque giornalista di colore; ha infatti sviluppato, in età senile, un indomito razzismo (forse per scandalizzare).

È un individuo impassibile, gentile “per indolenza” (p. 16), riottoso alle esasperazioni perché consapevole di viverle male (p. 17): ventidue romanzi alle spalle, venti avana al giorno, casto da tempo immemorabile, vive da solo e si dedica al cibo, agli Alexander e al fumo con incrollabile passione.

I primi quattro giornalisti, che, a turno, osano avvicinare l’enigmatico e adiposo figuro ne escono sconvolti; al primo, lo scrittore rivela che scrive per sapere cosa pensa, e che pubblica “avanzi di cassetto” da 24 anni: dai 23 ai 59 ha mangiato, fumato, bevuto, dormito e scritto, senza uscire mai di casa: a cinquantanove, ha pubblicato un incompiuto (per narcisismo, spiega) e da quel punto in avanti ha smesso di scrivere, vivendo di fronte al televisore (ma solo per gli spot) e leggendo letteratura. Tach dice che la morte non è un annullamento, perché non si può annullare ciò che è già annullato (p. 12): nella sua visione del mondo, il romanziere pone domande e non dà risposte (p. 12). Non si è mai sentito bello: altrimenti non avrebbe scritto. Non sente d’assomigliare ai suoi personaggi, e detesta parlare per metafore (odia l’etimo della parola “metafora”); le parole sono bella materia, ingrediente sacro; ma le metafore sono un artificio odioso. Il giornalista, già scosso per l’asprezza dei silenzi dello scrittore, e per la sua aggressiva dialettica, viene distrutto da un espediente che il neofita, leggendo il romanzo, scoprirà autonomamente.

Al secondo giornalista, Tach mostra gli alcolici, contenuti in una bara merovingia; questi tende a discutere più delle abitudini alimentari dello scrittore che della sua opera (che, ovviamente, non ha letto): il Nobel ha occasione di spiegare come leggere i classici (vanno spurgati dal superfluo, con superba opera di disboscamento) e di illustrare all’impiccione cosa significhi mangiare, e quali possano essere i reali limiti d’un’alimentazione alla Prétextat. L’intervistatore cede alla violenza delle immagini evocate, come vedrete.

Al terzo e al quarto giornalista Tach riserva analogo trattamento: ibrida dichiarazioni legate alla sua poetica e all’estetica con un’aggressività verbale e una sequenza d’offese, di evocazioni di orrori e di umiliazioni che lasciano sgomenti; paradossalmente, questo “messia dell’obesità” si sente gentile. Si giudica l’unico lettore in grado di capirsi: nessuno può averlo davvero letto, perché chi avesse interiorizzato la sua opera non aveva altra alternativa che il suicidio (p. 38). Tach sa che i suoi lettori sono stati lettori-rana: hanno letto “passando oltre”, incapaci di sentirsi cambiati dall’esperienza estetica; hanno limitato la lettura alla cognizione dell’argomento trattato, uscendone perfettamente incolumi. Ed è assurdo e paradossale, perché i libri di “desiderio, di piacere, di genio e soprattutto i libri di bellezza” (p. 40) esistono per cambiare profondamente il lettore. Tach crede che solo Céline l’avrebbe potuto capire: avrebbe voluto essere letto soltanto da lui, e non da autori “senza coglioni” come Sartre.

Gli altri esseri umani sono tutti detestabili: perché campioni di malafede. In questo ampio campionario di splendide provocazioni, Tach rivela d’essere vergine – e, liberatosi del quarto parassita, non può nemmeno immaginare che il successivo sarà ben altra e diversa creatura. È una sua lettrice empatica: una giornalista che conosce a menadito la sua produzione, e che ha compreso il segreto della sua anima, studiando i suoi scritti. Non valgono più le offese: lei pretende le sue scuse. Ha altro atteggiamento: non è deferente, né rispettosa; ma inquisitoria, e sottile. Da questo punto in avanti, s’inaugura un serrato confronto tra i due; e si discuterà d’arte, di letteratura, d’amore, di morte e di bellezza; il libro diventerà scrittura che riflette sulla scrittura, parola che s’interroga sulla sua natura di parola, e sul significato della trasfigurazione d’un’esistenza in un’opera narrativa. Singolare e crudo, lo stile della giovanissima Nothomb scuoia etica e moralità e interpreta e rappresenta corruzione e degenerazione d’una psiche, e dell’umanità; è una scrittura furiosa e iconoclasta, senza freno e senza misura nell’indagine e nell’analisi delle miserie, dell’arroganza e delle frustrazioni dell’umanità: la Nothomb lacera, scarnifica e disossa, e la verità appare come un cadavere esangue, ma finalmente purificato dalle menzogne, dalla doppiezza, dagli artifici.

Il miracolo è che questo avvenga senza trivialità, e senza nessuna concessione alla volgarità: l’artista belga ripudia la coprolalia cara a certi contemporanei, e - per così dire – distrugge pregiudizi e corazze del lettore con indicibile grazia.

Un esordio francamente memorabile.

“ – Scrivere senza godere è immorale. La scrittura porta in sé tutti i germi dell’immoralità. L’unica scusa dello scrittore è il suo godimento. Uno scrittore che non goda sarebbe indecente quanto uno stronzo che stuprasse una ragazza senza neanche godere, che stuprasse per stuprare, per fare un male gratuito. Non si può fare un paragone del genere. La scrittura non è così nociva.  Lei non sa quel che dice. Evidentemente, non avendomi letto, non può saperlo. La scrittura fa un gran casino a tutti i livelli: pensi agli alberi che si sono dovuti abbattere per la carta, ai magazzini che si sono dovuti trovare per conservare i libri, ai quattrini che costeranno agli eventuali lettori, alla noia che quei disgraziati proveranno a leggerli, alla cattiva coscienza dei miserabili che li compreranno e non avranno il coraggio di leggerli, alla tristezza di quegli adorabili imbecilli che li leggeranno senza capirli, e infine soprattutto alla fatuità delle conversazioni che seguiranno alla loro lettura o alla loro non-lettura. Tanto per fare degli esempi. Non venga a dirmi perciò che la scrittura non è nociva” (p. 48)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. Igiene dell’assassino” è stato il suo primo romanzo.

Amélie Nothomb, “Igiene dell’assassino, Voland, Roma 1997. Traduzione di Biancamaria Bruno.

Prima edizione: “Hygiène de l’assassin”, 1992.

Gianfranco Franchi, novembre 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.