I fuoriusciti

I fuoriusciti Book Cover I fuoriusciti
Michele Lupo
Stilo
2010
9788864790251

Raccolta di sei racconti dello scrittore Michele Lupo, critico letterario di “Il Paradiso degli Orchi” e “La poesia e lo spirito”, letterato, insegnante nella Tivoli cara a Carlo Mazzantini, “I fuoriusciti. Storie di fughe, ritorni e trascurabili vendette” (Stilo Editrice, dicembre 2010) somiglia una sequenza di esercizi di stile o di trasfigurazione della sofferenza. Una sequenza nata per essre prodromica a qualcosa di diverso e di più compatto: un buon romanzo neorealista. Su “Thriller Magazine”, Giorgio Bona ha scritto che quelli di Lupo sono “personaggi borderline che vivono relegati ai margini del benessere, che si portano dietro delle lacerazioni insanabili e uno spaccato di vita a tinte fosche”: in realtà, più che ai margini del benessere, sembrano dimentichi della serenità e dell'equilibrio. Sono i fuoriusciti non dalla norma o dalla normalità, ma dai binari del quieto vivere. Meglio, come scrive Lucia Tosi su “La poesia e lo spirito”, considerare il libro una “specie di affresco su un’umanità di marginali, reietti, dimenticati, che spesso ci scorre accanto, senza averne, peraltro, gli aspetti canonici più eclatanti”. Appunto. Per Stefano Donno, per esempio, “l’inconsistenza del vivere sociale e l’assurdità di certe convenzioni acuiscono interiori fragilità ed equilibri di persone che alla fine non riescono ad orientarsi su ciò che è reale e ciò che non lo è, su ciò che si può fare e ciò che non è consentito”. Mi sembra un giudizio più equilibrato. E su questo giudizio più equilibrato ci avviciniamo alle trame.

“Il babysitter” è la storia di Enrico, uno troppo pigro per partire sempre, stanco della storia di tanti, prendere partire ricominciare da un'altra parte, cambiare tutto quanto e aderire entusiasti al culto del nuovo inizio. È uno che sa che certe volte aiutano, i sorrisi di circostanza. Almeno: non guastano. È uno che ha appena perso un lavoro ma non è troppo affronto, deve recuperare una valanga di stipendi arretrati. Ha trent'anni e certe volte pensa che ha paura di trovarlo, un lavoro. Non di averlo: di trovarlo. Soprattutto perché i lavori che può riuscire a trovare non hanno proprio niente a che fare con lui. È uno che a forza di non sfondare è stato sommerso da un senso irrevocabile di sconfitta. E dall'orrore dell'incompetenza. È un pittore che ha angoscia dell'incompetenza, e dubita di sé come dubita della critica. E quando si ritrova a dover badare a un marmocchio odiosetto, ritrova sé stesso quando capisce come trattarlo. Male, e alè.

“La sciarpa verde” è la storia di due sorelle. Due sorelle che hanno fatte due scelte che più diverse non si può. Nelle parole della narratrice: “Io ho fatto delle scelte precise nella vita: una certa stabilità, un marito come si deve e un lavoro serio – il suo intendo. Lei ha dato la caccia ai sogni più strani e ora rischia la depressione”. Ma niente è come appare. E può succedere che si finisca per essere tutt'altro che antitetiche – almeno, nel male.

“Ego te absolvo” è la vicenda d'un sacerdote che si confessa a un dottore, perché si sente consapevole d'essere inadeguato al suo ruolo, e vive questa consapevolezza come una condanna tormentosa e angosciante. E mentre si confessa ammette che nessuno può immaginare di quanti segreti possa essere colma l'anima d'un prete. E pensa a come è stata la sua vita: a quanto sia stato difficile resistere in certi contesti, a quanto gli sia pesato. A quanto estranea fosse, la verità, alla sua comunità. E infine, si sprofonda.

“Gatti del Sud” è una vicenda d'accettazione della morte, e di rilettura della morte. Il narratore vede morire, assieme al nonno, la sua infanzia meridionale e la sua primitiva visione ed esperienza della cultura del Sud: e tutti i suoi sbagli di allora. Muore un ex partigiano di complemento, ex ragazzino attaccabrighe, nove figli di cui quattro sopravvissuti, emigrati in quattro terre differenti; uno che aveva una gran bella voce e cantava meglio dopo aver bevuto, uno che morendo sembra diventare immortale.

“Cimento del tempo libero” è la grottesca vicenda d'un ex libraio che, perduto il lavoro, si ritrova a fare il venditore porta a porta. Vendeva qualcosa anche prima: soltanto, prima era qualcosa in cui credeva: prima, spiritualmente, coincideva con ciò che vendeva. Adesso non più. Adesso è una figura di plastica. Risultato? Si deraglia. “Congedo”, infine, è la storia della disperazione d'una donna vissuta scrivendo poesie, e che nella coerenza assurda della poesia va rovinando la sua vita.

Michele Lupo è un narratore che sembra concentrarsi esclusivamente sulle dinamiche psichiche dei suoi personaggi. In questa raccolta non si mostra mai visivo o visionario; non si concede nessuna descrizione rilevante; non s'abbandona a nessun artificio, nelle trame, e non sembra puntare sulla pura letterarietà. Michele Lupo sembra un osservatore dell'anima umana: un osservatore che apparentemente non giudica, ma quando serve ha scelto da che parte stare. Piuttosto che freddo, a volte sembra asettico. Mai cattivo, è al limite incline alla rappresentazione della disperazione. Ma la resa è sempre dignitosa, non c'è nessun compromesso col patetismo, nessuna smanceria. Equilibrismo apprezzabile.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Michele Lupo (Buenos Aires, 19**), scrittore, critico e insegnante italiano. Vive a Tivoli. In narrativa ha esordito con “L'onda sulle pellicola” (Besa, 2004). Collabora con “Il Paradiso degli Orchi” e “La poesia e lo spirito”.

Michele Lupo, “I fuoriusciti”, Bari 2010. 978-88-6479-025-1

Gianfranco Franchi, gennaio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.