Grazie per il fuoco

Grazie per il fuoco Book Cover Grazie per il fuoco
Mario Benedetti
La Nuova Frontiera
2011
9788883731808

Forse noi italiani dei primi anni Dieci siamo come gli uruguaiani descritti con tanta ispirazione e tanta disperazione dal sanguemisto Mario Benedetti (Paso de los Toros, 1920 – Montevideo, 2009) in questo romanzo, “Grazie per il fuoco”: una generazione contro l'altra armata. Figli che rifiutano la lezione e lo stile dei padri: ma non sanno superarle, non sanno sublimarle e non sanno liberarsene, nemmeno, e non sembrano saper dare vita a qualcosa di originale; di radicalmente personale. Di evolutivo.

Noi italiani dei primi anni Dieci vogliamo comunque bene alla generazione che ci ha preceduto, e che forse ci ha condannato ad assistere alla fine di questa nazione: e per questo non riusciamo a distruggerla. Non possiamo disintegrare i nostri amati-odiati padri, perché non ne abbiamo la forza: non ne abbiamo la cattiveria: e no, non abbiamo le palle, suggerirebbe il vecchio Ramón Budiño, il pater familias di questo romanzo. Ma esiste una generazione che ha saputo uccidere quella che l'ha generata – quella che le ha dato vita – al di là delle generazioni letterarie? È esistita mai questa generazione capace di prendere così grandi distanze da costituire, in ogni senso, un'abiura del passato? Non in Italia: forse nemmeno in Uruguay. Sarà che siamo popoli sentimentali. Sarà che il sentimento è la nostra forza e la nostra massima debolezza. Sarà che ci sono tanti italiani, laggiù, in Sudamerica: soprattutto in Uruguay, come in Venezuela e in Argentina.

“Grazie per il fuoco” [“Gracias por el fuego”, 1965; IT, edizioni La Nuova Frontiera, 2011] è un allegorico dramma generazionale: è la tragedia di una famiglia esemplare d'una nazione bellissima, in cui si può lavorare bene e in cui si può vivere bene, con dignità e grazia – ma è pur sempre una nazione massacrata dalla corruzione, e dalla prepotenza vigliacca del turbocapitalismo, con tutti i suoi capricci e i suoi vizi. “Grazie per il fuoco” è l'Uruguay: raccontata tramite un padre e un figlio – tramite la rivalità e l'amore d'un padre e d'un figlio. Un padre rispettato da tutti. Ricco, influente. Potentissimo. Edmundo Budiño, quello della fabbrica, quello del giornale. Quello impeccabile: un uomo d'affari di grande stile. Autoritario, sprezzante, altezzoso: instancabile, carismatico, generoso quand'è il momento giusto, trascinante, cordiale. “Uomini così non ne fanno più”, come avrebbero detto le nostre nonne – vale a dire le mamme di quelli come Edmundo. Così maschi, così vitali, così forti, così sicuri di sé.

“Elegante, sempre rasato, sicuro di sé, guardava tutto con calma, capiva tutto senza titubare” [p. 40]. Con un cinismo incredibile, il Vecchio è uno che – come si suol dire per farsi ben capire – sa stare al mondo. È uno che simboleggia potere e denaro: è potere, è denaro. È quel potere che non si vergogna d'essere vassallo d'una nazione egemone: è quel potere che non arrossisce al pensiero d'essere una colonia americana [ricorda niente?]: è quel potere che si diverte a prendersi gioco dei rivoluzionari radical chic e della bohème, perché sa che quella bohème non andrà da nessuna parte.

È quel potere che ha le idee chiare. “Il tuo bisnonno parlava di Patria, il tuo paparino parla di Nazionalismo, tu parli di Rivoluzione” - dice al nipote. “Io parlo di me, ragazzo. Ma ti assicuro che conosco molto più io il mio argomento che voi il vostro” [p. 96].

Il figlio, Ramón, è uno che sente di non essere mai stato libero: suo padre è stato e rimane una figura straordinaria. Ingombrante: per tutti. Figurarsi per lui. “Non sono mai stato Ramón Budiño, ma il figlio di Edmundo Budiño. Mio figlio non sarà mai Gustavo Budiño, ma il nipote di Edmundo Budiño. Perfino il nonno, negli ultimi anni, è stato soltanto il padre di Edmundo Budiño” [p. 37].

Il figlio è uno che nella vita è riuscito a campare soltanto perché aveva uno come il padre alle spalle. E coi soldi del padre s'è aperto un'agenzia di viaggi: e con quella agenzia campa. E coi soldi e con l'influenza del padre ha avuto una vita tutta in discesa. Il figlio è uno che adesso si domanda se suo figlio potrà prendere una strada – quella giusta – o un'altra – quella che fa sprofondare le persone, e con le persone lo Stato. E vorrebbe impedire il baratro. Vorrebbe poter restituire i soldi al padre. Vorrebbe scrollarsi di dosso tutta la disonestà che ha ereditato assieme al suo status, e alla sua educazione, e al suo Paese.

“Non si può essere lucidi con il petto pieno di angoscia, o di disperazione. È meglio chiamarla disperazione. Solo per me, chiaramente. Che gli altri usino pure le loro etichette: ipocondria, nevrastenia, lunaticità. Sono arrivato a un patto con me stesso e perciò la chiamo disperazione. Questo è il momento, ne sono sicuro perché non sono né felice né disperato. Sono, come dire, semplicemente tranquillo. No, mi inganno di nuovo. Sono orribilmente tranquillo. Così va meglio” [p. 36].

Ma non c'è soluzione. Chiudere l'agenzia non basta – potrebbe non bastare a chiudere i conti col passato. Uccidere il padre, significa chiudere col passato. Perché è uno degli uomini più potenti dell'Uruguay. Perché è uno degli uomini più corrotti dell'Uruguay. Perché eliminarlo significherebbe cambiare il Paese. Potenzialmente, è chiaro – potrebbe sempre diventare un martire. Ramón sa che il suo Paese “non tollera gesti tragici. Tollera solo gesti insulsi e servili; partecipare alla Grande Carità televisiva o tendere maldestramente le mani da accattone nuovo fiammante. Dollari, per l'amor di Dio. E soprattutto non complicarsi la vita”.

E allora Ramón non si decide: non sa più decidersi. Parte per amore, parte per rispetto, parte per incapacità. Parte perché è più umano di chi l'ha preceduto. Parte perché è un vero essere umano, e quindi non concepisce l'idea di poter fare del male al prossimo. Non al prossimo: al limite a sé stesso. Quello sì, può accettarlo. E così la nuova generazione fallisce nel suo compito, fallisce nell'impresa: non ha il coraggio di distruggere il Paese sbagliato e corrotto che ha ereditato, e pur di non ammetterlo, infine, ingloriosamente, s'ammazza.

Tinge la narrazione di Benedetti un pathos che sconfina soltanto episodicamente nell'artificiosità. Il ritmo è lento, decisamente sudamericano. L'impatto è potente: e doloroso, e tragico. Incresciosamente famigliare. Modernissimo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti Farugia, alias Mario Benedetti (Paso de los Toros, 1920 – Montevideo, 2009), scrittore e poeta uruguagio.

Mario Benedetti, “Grazie per il fuoco”, La Nuova Frontiera, Roma, 2011. Traduzione di Elisa Tramontin.

Prima edizione: “Gracias por el fuego”, 1965.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, agosto 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.