Gli ultimi giorni di Magliano

Gli ultimi giorni di Magliano Book Cover Gli ultimi giorni di Magliano
Mario Tobino
Mondadori
2009
9788804588160

«Non una bomba, uno schiamazzo. A Roma hanno approvato una legge […]. La legge ha già un numero: 180, una data: 13-5-1978. In sostanza stabilisce, impone che i manicomi siano aboliti, come il dionisiaco e il diavolesco della follia non esistesse. La follia è una malattia qualsiasi, come il morbillo, la difterite. Se qualcuno, occasionalmente, ha manifestazioni diverse prima deve essere curato fuori, lontano dall’ospedale psichiatrico, che è infetto, curato in ambulatori di Igiene Mentale che saranno situati, sparsi nei diversi punti del territorio. Se capita poi che un diverso, un matto, diventa acuto, è pericoloso, necessita che sia ricoverato, allora sorgono due casi.  Il diverso rifiuta il ricovero, grida che non è matto, non vuole entrare in nessun reparto. Invece il medico afferma su un certificato che è un acuto e necessita che sia ricoverato. A questo punto il sindaco, dopo aver preso conoscenza del o dei certificati, dispone il ricovero obbligatorio, che non dovrà durare più di sette giorni, salvo proroga. E dove sarà curato questo diverso che rifiuta le cure? Mai più in manicomio, ma in un servizio psichiatrico, in un piccolo reparto che sarà istituito – e sembra che la legge sia recisa su questo punto – lontanissimo dal manicomio, e distante anche da quel reparto neurologico che può esserci in un ospedale civile. Ed ora viene il bello. Questo nuovo reparto, chiamato Servizio Psichiatrico, non può avere più di 15 letti. E se arriva un sedicesimo matto? Impossibile, la legge lo proibisce, lo vieta. Non più di 15». (“Non una bomba, uno schiamazzo”, pp. 55-56)

Mario Tobino, artista e medico toscano, sintetizza in questo libro, strutturato in 119 frammenti, la sua amarezza nei confronti dell'opera dei basagliani e traccia un bilancio della sua quarantennale attività di Primario d’un Ospedale Psichiatrico – dall’esordio alla pensione, macchiata dall’incapacità di “proteggere e vendicare” i pazzi: la tragica e sanguinosa adozione della 180 mieté oltre cento suicidi soltanto tra gli ex pazienti di “Magliano”.

Tobino descrive con rabbia e sarcasmo le posizioni “d’avanguardia” degli psichiatri democratici e del loro messia: non mancando di sottolineare lo spregiudicato utilizzo degli psicofarmaci nei loro trattamenti, e la sinistra visione della realtà del gruppo – che tendeva a vedere nella società e nell’istituzione del manicomio le prime responsabili della follia; che, evidentemente, non esisteva. Questo libro ribadisce il “diritto alla pazzia”, e alla pazzia dei basagliani si rivolge: ricorda ed elenca le prime vittime dell’infausta legge (pazienti, e famigliari dei pazienti), ribadisce l’estraneità dell’autore al lessico di questi geni della diversità (“zone, settore, istituzionalizzazione, smantellamento”), rivendica la distanza da questi alfieri della chimica.

Ora: manca del tutto un aspetto fondamentale, nell’altrimenti corretta disamina del dottore: non si può e non si deve dimenticare che, in manicomi diversi dal suo, maltrattamenti, molestie e sevizie a danno dei pazienti erano all’ordine del giorno; ed è fiacca la motivazione del “contenimento” degli accessi di violenza della pazzia per giustificare le immagini aberranti che ogni cittadino ha potuto vedere grazie ai media. Tuttavia, non si può negare che l’Italia non sia, e non potrà mai essere, per carenze culturali, aporie etiche e strutturali, il Paese adatto a curare gli alienati con la stravagante e pure umanissima dottrina basagliana. Al di là della tendenza a imbottire di psicofarmaci i “non più pazzi”, che non sembra curare o risolvere il male ma solo inebetire e gonfiare il paziente, de-umanizzandolo (ovviamente) la maledizione della 180 è consistita nell’abbandono delle famiglie del malato a loro stesse; nel vergognoso silenzio dei media nei troppo numerosi casi di suicidio o di violenza avvenuti negli ambiti domestici; nella – evidentemente da approfondire – curiosa affettuosità che lega i responsabili di certi centri a certe aziende farmaceutiche.

L’Italia dorme su un vulcano che un giorno si risveglierà: e non dubitiamo che qualcuno dovrà rispondere d’un silenzio stampa che dura da venticinque anni abbondanti, e d’una avventata e scellerata fedeltà a un “dogma” che sembra più figlio dell’ideologia che dell’intelligenza; e che dunque andrebbe discusso, sconsacrato e abiurato prima che sia troppo tardi. Detto questo, torniamo al libro del dottor Tobino.

Gli ultimi giorni di Magliano” non è soltanto il grande libro che custodisce l’antidoto alle stravaganti teorie basagliane: è il diario d’uno scrittore ormai vecchio, che alterna memorie e riflessioni sull’ambiente professionale in cui ha vissuto per quaranta anni con omaggi e considerazioni riservate alla città di Lucca, alla sua compagna, Giovanna, e al suo legame con la scrittura. Onestamente, trattandosi di frammenti – per di più, episodici e certamente meno rilevanti rispetto alle pagine dedicate all’esperienza manicomiale – valgono più per il cultore dell’opera tobiniana che per il lettore generico.

Nella galleria gericaultiana di folli descritti incontreremo un frenastenico ventiduenne, inserito nella società dalla 180, omicida d’un bambino di cinque anni per noia; la sposina, impazzita pochi giorni prima delle nozze e rimasta, fino alla vecchiaia, segregata nel mutismo – con macabro romanticismo, Tobino la definirà “fidanzata della morte”; una discreta serie di malati acuti e cronici, e la commemorazione di una parte degli ex pazienti, suicidi dopo l’intelligente re-inserimento.

Le pagine di satira più pungenti sono dedicate alla questione de “l’aspetto umano” e della “carità continua” (35), all’aneddoto dell’incredulo psichiatra (117); il tono dell’opera non è immune da qualche caduta eccessiva nell’humour nero. Non deprecabile, tuttavia, considerando il senso delle critiche mosse agli psichiatri democratici fautori della 180.

Il principio del cambiamento probabilmente può essere perfino datato: 1952: Delay, Denniker e Harl scoprono gli psicofarmaci. Tobino: “Nei manicomi lentamente e ineluttabilmente penetrò il terremoto; crollarono i muri di cinta, le inferriate si piegarono, ogni legaccio si ammollò. Era iniziata la liberalizzazione. Per le stanze dei manicomi d’ogni paese, del mondo, si insinuò il tepore della fiducia, si estese il verde della speranza, ventilò la garrula permissione. Gli psicofarmaci avevano il potere di avvinghiare i sintomi delle malattie mentali, soffocare i deliri, offuscare le allucinazioni; per mezzo loro le violenze, le paurose ire sembravano brancolare in una nebbia, perdere le direzioni e infine adagiarsi in un continuo torpore. Era proprio vero? La sintomatologia mentale, la follia, era stata minata, trasformata in una caligine, in un fumo? […]. I matti guarivano? Erano guariti? Oppure la follia soltanto si camuffava, si metteva il braccio davanti al muso come fanno i ladri e i criminali arrestati, con le manette, quando i fotografi puntano su di loro gli obiettivi?” (pp. 23-24)

Nel panorama della Letteratura italiana, abbiamo dovuto attendere quasi venticinque anni per ritrovare un testo che avesse il coraggio di demistificare le imperfezioni e le contraddizioni della Basaglia: si tratta dell’esordio di Claudio Morici, “Matti slegati”. Altrove sembra che il coro sia unanime: la legge è buona e giusta, e i morti, le violenze o la catatonia dei pazienti costituiscono semplicemente il prezzo da pagare. In onore di chi, o a chi, non l’abbiamo capito. Altrove sembra sempre di dover testimoniare l’esistenza di manicomi-lager: possibile che fosse la norma? Il libro di Tobino smentisce, chiaramente: e preferisco concludere questa recensione trascrivendo un paragrafo che, a questo proposito, mi sembra illuminante; e dovrebbe – adesso, nel 2004 – costituire un serio argomento di riflessione e dibattito, qui e altrove. Perché è ora di denunciare che, alle morti nei manicomi, sono succedute le morti in casa e nelle strade; e allora è forse il momento di correggere la Basaglia. Assieme a chi non cura, ma avvelena esseri umani con sempre nuovi prodotti chimici.

Adesso per retorica, demagogia, fanatismo, ignoranza, tantissimi gridano che il manicomio fu un labirinto di brutalità, vergognoso carcere. Quelli che ho frequentato io non mi sono mai apparsi così. Certo qualche reparto non era perfetto e questo dipendeva dal carattere del medico, da un direttore più o meno sensibile, più o meno vivo il senso del diritto, della giustizia, della pietà, scarso organizzatore, debole verso gli infermieri, poco predisposto a immedesimarsi nelle altrui sofferenze. La follia è anche violenza; una difesa era pur necessaria.Ma quanti buoni psichiatri ho conosciuto, dolcissimi, pazienti, e acutissimi a saggiare i deliri, la gravità della malattia, pronti a cogliere il primo segno di guarigione. E quante infermiere quasi sante, che umanissimi infermieri, di profondo buonsenso, e se c’era qualcuno di animo basso questo accade in qualsiasi comunità” (“Era una diavolessa”, p. 79)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Mario Tobino (Viareggio, 1910 – Agrigento, 1991), poeta e narratore italiano. Studiò Medicina a Bologna. Primario nell’Ospedale Psichiatrico di Lucca, per quaranta anni.

Mario Tobino, “Gli ultimi giorni di Magliano”, Mondadori, Milano 1982.

Gianfranco Franchi, agosto 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.