Gli dei torneranno

Gli dei torneranno Book Cover Gli dei torneranno
Carlo Sgorlon
Mondadori
1977

“Doveva far emergere dalle paludi viscose del passato le cose non dette, le angosce rimaste sconosciute, o appena accennate in canzoni che nessuno conosceva fuori dei confini, cantate sottovoce in una lingua incomprensibile a tutti, come fosse un dialetto celtico od ostrogoto” (Sgorlon, “Gli dèi torneranno”, parte terza, “Il Cireneo”, capitolo I, “Venerdì Santo”).

Simone aveva lasciato la sua terra per emigrare in Sudamerica. Era un cantastorie, e come cantastorie aveva vissuto anche altrove. D’un tratto, presentendo che la sua esistenza era giunta a un momento decisivo, s’era convinto a tornare a Jalmis, nel Friuli. Il cantastorie tornava a casa, quasi fosse guidato da una volontà estranea, nel rispetto di un disegno che non conosceva.

Non sapeva che il ritorno a casa avrebbe significato un incontro in una notte di fiaba. Margherita. Margherita viveva in un castello-rifugio, dalle sue parti. Come Silvano e Isabella nel romanzo precedente, “Regina di Saba”, Simone e Margherita si incontrano, si riconoscono e scoprono d’appartenersi. Istantaneamente. C’è qualcosa di irresistibile negli amori descritti da Sgorlon: un senso di inevitabilità, di predestinazione, che non conosce ostacoli né opposizioni d’alcun tipo. Simone e Margherita si conoscevano negli anni dell’infanzia, quando Simone, il diverso, iniziava a vagabondare, e in paese lo chiamavano “bastardo”, senza che ciò gli dispiacesse: anzi, se ne sentiva divertito. Si conoscevano negli anni d’infanzia, quando Margherita era segregata in casa, per ragioni che nessuno poteva giurare di conoscere con certezza. Erano, l’uno per l’altra, nomi, idee. Suggestioni. Primitive fantasie, forse, chissà. Si ritrovano quando Simone è tornato indietro, straniero in patria, in un certo senso, per via della straordinarietà della sua esperienza esistenziale. Si sposano. L’unione con Margherita dà nuovo colore alla vita di Simone: la ricerca assume nuovi significati. D’improvviso, è come se sentisse pulsare in sé la vita della sua terra, e milioni di voce gli chiedessero d’essere parte del suo canto. Le radici di una terra sono le radici di un popolo.

Simone ritrova il suo popolo. Si svela la storia polverosa e perduta del Friuli, prendono a echeggiare reminiscenze dell’antica civiltà celta, e i nomi delle divinità perdute pretendono un tributo: un canto che scuota il popolo e una voce che permetta a un popolo di identificarsi. Di riconoscersi, ritrovarsi. Allora, forse, Margherita è il Friuli, e Simone il cantastorie che il Friuli domandava. Dai tempi del Patriarcato distrutto dai Veneziani nel 1420. È la memoria collettiva di un popolo. È il popolo che avanza, nuovamente invitto, domandando giustizia e gridando la propria storia perché sia riconosciuta la propria dignità. Perché i nomi tornino ad avere significato. È Orfeo tornato da Euridice. Orfeo non si volta indietro, adesso. E allora milioni di anime, dal passato, gridano e si lamentano, invocano rispetto e chiedono che venga annunciato il ritorno. Il ritorno della coscienza, il trionfo dell’orgoglio, l’affermazione rabbiosa della propria unicità e della propria diversità. Simone è la voce di milioni di anime e la storia di un intero popolo.

“Gli dei torneranno”, narrazione ideale ed epica della cultura friulana, felice connubio di cultura agreste e devozione ad antiche e mai obliate segrete magie (quanto grande l’assonanza della vitalità di questi spiriti e di questi incanti con “Il segreto del bosco vecchio” di Buzzati: Sgorlon non riesce a dar voce agli alberi, però, perché l’intento è più alto, l’intento è dar voce all’intero microcosmo, dal principio di tutto), è il canto di dolore di un popolo costretto all’emigrazione per secoli, per evitare d’essere sfruttato; è la disperazione d’un popolo che ha sofferto e subito dominazioni, e tuttavia ha mantenuto una sua coerenza e non ha dimenticato la sua storia. È la poesia e la fiaba di un cantastorie che sembra incarnare il Verbo della sua terra e del suo popolo; una storia d’amore tra un uomo e una donna, e tra un uomo e il suo popolo.

Pregevole, nonostante una certa densità nello stile della narrazione, che a tratti rallenta la lettura e frammenta la percezione del testo. Anticipa certe istanze (siamo nei tardi anni Settanta) di movimenti politici e di certe ideologie contemporanee: ha il merito di cristallizzare, per rapide sequenze, momenti di storia del Friuli e di affrescare, con ponderate ed equilibrate pennellate, albe e tramonti d’una terra, e d’una cultura. La storia è un cerchio che solo un grande narratore sa spezzare, per regalare nuove chiavi di lettura del mondo e nuovo orientamento ai lettori. Sgorlon annuncia che gli dèi del Friuli torneranno: stavolta sarà necessaria una resistenza coraggiosa sino all’esasperazione, e miglior difesa dall’aggressione e dalla prevaricazione delle altre culture consisterà nell’accettarle e nell’imparare ad amarle, senza più, senza mai, rinunciare alla propria. E ciò che fondamentalmente rimane irrisolto è la tensione di un narratore che ha il dono del fuoco sacro della scrittura, e conosce equilibrio e misura: tuttavia, trattenuto e algido come sembra nella forma, rischia di non incidere come dovrebbe nella memoria e nello spirito dei lettori.

“Trovava che in ogni cosa nel Friuli v’era l’impronta celtica: nel linguaggio, nell’indole scontrosa, silenziosa e malinconica della gente, nella sua rozzezza, nella tendenza all’intimità familiare e alla costruzione. Bastava che gli storici accennassero appena alla possibilità di una traccia celtica, in qualunque campo, che per lui subito essa diventava certezza” (Sgorlon, “Gli dèi torneranno”, parte seconda, “Le storie”, capitolo II, “Geremia”).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Carlo Sgorlon (Cassacco, Udine, 1930 – Udine, 2009), narratore e saggista italiano. Si è laureato alla Scuola Normale di Pisa con una tesi su Kafka e si è specializzato a Monaco di Baviera. È stato insegnante. Il suo primo romanzo, “Il vento nel vigneto”, è stato pubblicato nel 1960.

Carlo Sgorlon, “Gli dèi torneranno”, Mondadori, Milano, 1977.

Gianfranco Franchi, giugno 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.