Gli dei hanno sete

Gli dei hanno sete Book Cover Gli dei hanno sete
Anatole France
Einaudi
1975
9788806403782

1912. Anatole France, di lì a poco Nobel per la Letteratura (1921), pubblica una lettura scolastica dei giorni dell'odio e della decadenza della Rivoluzione Francese: non snatura gli eventi, ma li semplifica cancellando, per quanto possibile, contrasti e sfumature. L'intento è abbastanza limpido: prendere le distanze dalla violenza, dal fanatismo, dagli sciagurati eccessi dei giorni del Terrore. Un pizzico di approfondimento delle dinamiche psichiche dei personaggi avrebbe senza dubbio assicurato un salto di qualità dell'opera, così costretta, a distanza di un secolo dalla pubblicazione, a un'esistenza preclusa al grande pubblico e limitata agli studiosi e agli appassionati del genere (romanzo storico). “Gli dèi hanno sete” è un romanzo manierista, d'un'eleganza scabra e semplice, appena sporcata dalla ripetuta ed enfatica lettura della ossessa psiche del protagonista. Poco per poter ambire all'immortalità; abbastanza per assicurare un intrattenimento discreto e relativamente disimpegnato.

***

Siamo nei giorni dell'avvento al potere di Robespierre. La Convenzione s'appresta a giudicare i cospiratori. Il popolo ha fiducia in Marat, ha fiducia nella possibilità che sia fatta giustizia, nel nome del “pubblico bene”; qualcuno si sta accorgendo che gli ardori rivoluzionari, in ogni caso, stanno vacillando. È venuta a mancare l'unanimità: sta svanendo l'umanità. Marat verrà assassinato, perché aveva seminato odio vendicativo e violenza. E così, in quei giorni, “alla disfatta dell'esercito, alla rivolta delle province, alle cospirazioni, ai complotti, ai tradimenti, la Convenzione contrapponeva il Terrore. Gli dèi avevano sete” (p. 79).

L'oscuro pittore Evariste Gamelin, giovane allievo di David (“egli s'accosta all'antico, ma non è ancora abbastanza semplice, abbastanza grande e disadorno”, p. 26) è un protagonista privo di talenti e di fascino. “Occhi foschi e gote pallide”, “contegno grave e aspetto freddo” (p. 23), animo triste e violento, è un rivoluzionario entusiasta. Sogna tribunali rivoluzionari in ogni comune: pretende che tutti i padri di famiglia si erigano a giudici (p. 51). Considera “parricida” l'indulgenza: confida nella ghigliottina, e tuttavia – paradosso o forse no – sogna che la pena di morte venga, un giorno, abolita: dopo aver, diciamo così, “abolito l'aristocrazia” e i nemici della Rivoluzione, si intende. Ha fede in un Dio buono: è una fede necessaria alla morale, spiega. Rivolta e disfattismo dilaniano la Francia: Gamelin vuole opporsi, ma piomberà nel fanatismo più stupido e cieco: “I due Bruto non si ricusarono quando, per la salvezza della Repubblica o per la causa della Libertà, dovettero condannare un figlio, colpire un padre adottivo” (p. 194).

Peggio ancora: “La colpevolezza degli accusati è patente: la loro punizione è necessaria alla salvezza della nazione ed essi stessi debbono augurarsi il supplizio come solo mezzo di espiare i loro delitti” (p. 202).

Crede di dover essere crudele e espietato perché le generazioni future possano essere generose, libere e felici: si ritroverà a essere maledetto dal popolo come cannibale, antropofago e vampiro, assieme a un pezzo di quella sciagurata classe dirigente rivoluzionaria. Ma non capisce fino in fondo quanti e quale colpe abbia: “Lo stesso Robespierre, il puro, il santo, ha peccato per dolcezza, per mansuetudine, ma il suo martirio ha cancellato le sue colpe (…) Ho risparmiato il sangue, scorra il mio sangue” (p. 222).

Cittadino attivo, già nella guardia nazionale, membro del Comitato militare, è un patriota che adesso “schizzava a tratti vigorosi delle Libertà, dei Diritti dell'Uomo, delle Costituzioni francesi, delle Virtù repubblicane, degli Ercoli popolari che abbattevano l'idra della tirannide” (p. 11). L'arte è decaduta – spariti i mecenati, dissolto il mercato – e Gamelin non può comprare i colori né pagare un modello; si limita a lavorare su commissione. Non durerà molto.

È innamorato di Elodie, bellezza mediterranea un po' trascurata; sembra una ninfa della danza mascherata da massaia. Labbra rosse come i garofani, molto passato alle spalle, presente non certo cristallino, sa che suo padre non può gradire un loro matrimonio; Gamelin è troppo povero e sconosciuto. Si adatta facilmente alla situazione. Lascia che la corteggi, ma la scolastica lezione del Werther aleggia – presto esplicitata, piccola caduta di stile: p. 99 – pronostica una sorte diversa.

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“Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è per il popolo il più santo e il più indispensabile dei doveri” - si leggeva nei primi Diritti dell'Uomo. Le esecrabili e micidiali conseguenze dell'applicazione di questo “diritto” hanno macchiato la storia della Francia, e della Rivoluzione, di colpe incancellabili.

La disumanità che infine inchioda alla morte Gamelin non è certo una spiegazione plausibile; altrettanto la “dedizione alla causa”. Si direbbe che l'accaduto abbia insegnato agli uomini che niente è più pericoloso di una autentica democrazia in uno Stato Moderno. Scorre il sangue nel nome del futuro: ma quale futuro può nascere dal sangue? Un futuro simile a quel passato tanto odiato e abiurato, a quanto pare.

Lettura trascurabile: se non nelle scuole, e con intento – appunto – moraleggiante. La cosa migliore sarà il dibattito tra i ragazzi.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

François-Anatole Thibault, alias Anatole France (Parigi, 1844 – Saint-Cyr-sur-Loire, 1924), poeta, saggista, bibliotecario e scrittore francese, figlio di un libraio. Premio Nobel per la Letteratura 1921.

Anatole France, “Gli dèi hanno sete”, Einaudi, Torino 1951. Traduzione di Fanny Mallè. Introduzione di Emilio Faccioli.

Prima edizione: “Les Dieux ont soif”, Parigi, 1912. Prima edizione IT: 1922.

Gianfranco Franchi, marzo 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.