Filo da torcere

Filo da torcere Book Cover Filo da torcere
Renzo Paris
Feltrinelli
1982

“Sono giorni che passeggio per Roma con l'aria sfranta. Mi fermo sotto i platani del Tevere. Guardo dalla spalletta dei ponti, con gli occhi forati, l'acqua scura. Sotto i rami che mi sembrano più scoloriti del solito, come se avessero le febbri malariche, sono in attesa di una donna che non mi pare di aver conosciuto mai...” (Incipit “Filo da torcere”).

Colloquio con l'analista: incontrato previo “itinerario contorto”, e opportuna selezione tra un collega (pariolino) e l'altro (inculatore di diciottenni: p. 18), in attesa adesso di una “sentenza finale”, di un epilogo a quella che il narratore percepisce come “una sfida” (p. 15). L'anonimo narratore si chiede se davvero è un perfetto cliente: se deve piangere per diventarlo. Ha paura di non saper fare niente (p. 43). Vive una crisi di identità terribile, irrimediabile.

Si apre totalmente: parte da qualche memoria d'infanzia (cercando di ammettere di aver voluto esibire la propria sessualità a sua madre; di aver sognato d'essere uomo e donna, di voler coincidere con sua madre), e da domande nebulose (“Se quando mangio, mangio mia madre, quando fumo, che cosa fumo?”, p. 24) per poi baloccarsi nel suo disorientamento:

“E intanto, quanto porto di scarpe? E quanto di collo, di camicia? Qual è la misura esatta delle mie mutande? Mi chiedo, allarmato, quanto sono alto. Nemmeno tanto ho accertato. Che cosa ho rimosso se perfino le sigarette che anniento una dietro l'altra, nemmeno fossi una canna fumaria, potrebbero essere di qualsiasi marca? (…) Come per il cibo e le persone, non vedo la sigaretta che sto disintegrando” (p. 27). In compenso, sente che finirà con misurarsi il pene, ogni giorno, per vedere se cresce (“anche se ormai so di certo che non matura più”, p. 35).

E poi avanti, per taglienti giudizi sui genitori (“le famiglie democristiane, alla prima occasione, sanno essere anche razziste”, p. 59), rivalità col padre, angoscia per una possibile omosessualità repressa (preferisce dirsi “lesbica”), triste constatazione dell'attivismo politico dei terroristi extraparlamentari (“per dio, siamo un Paese che ha 3mila prigionieri politici. Aumenteranno”, p. 68) e infine spunta una prima neo-coscienza plausibile: “scopo soltanto per analizzarmi”, p.110, pronunciata non appena è avvenuto il felice incontro con Siria. Siria che è femmina assoluta, voglia di vivere e di sentire piacere, di darsi con la massima partecipazione, di sottrarre il maschio alla tirannide materna. Siria è una di quelle creature che una volta incontrate lasciano il segno, e vanno possedute a oltranza, a qualsiasi ora, rifiutando l'esistenza di tutto il resto. È una per cui è normale perdere la testa. Sarebbe innaturale il contrario.

Intanto, la Roma sta per diventare grande – sta per vincere lo scudetto, manca poco. Il narratore s'avvicina alla stessa grandezza: la maturità. Si concede ancora un incidente o due: come qualche bacio con l'amico Gianni, che ha appena scoperto la triste e gioiosa dipendenza dal Brown Sugar. “Siamo due zitelle in cerca dei primi grandi amori e stiamo sfiorendo”, dice Gianni. Come a dire: vivamus, mea Lesbia, ac amemus. Più tardi, mentre il narratore va per le strade confondendosi coi tifosi della Roma, ululanti di gioia, affronta una crisi di pianto. A casa, Siria gli offre il culo. È un culo stupendo. Come resistere? Che senso ha ricordare proprio quel culo dopo un episodio del genere? Forse è una pacificazione, o forse la risposta a un dubbio. La donna è tutto.

La dolorosa autoanalisi – il dottore compare solo, e tutto simbolico, nelle ultime battute; prima come muto testimone dei monologhi del narratore, infine come possibile compagno della madre vedova, sulla spiaggia dei nudisti di Ostia – non conosce termine, e sprofonda pagina dopo pagina sino all'allegorica immersione in un mare che sembra proprio liquido amniotico. Alle spalle l'assente e ormai sepolto spettro paterno, ben viva l'icona di carne e nutrimento materna, presente e sfuggente la Siria che completava e pacificava (potenzialmente, almeno) l'abnorme e sacrosanto desiderio del protagonista, ricoverato per una prima overdose l'amico Gianni, l'io narrante s'appresta a vivere un equilibrio nuovo. Lo scavo ha avuto senso se ha dimostrato all'artista che non deve mutare niente: che può giocare a cambiare i personaggi e i ruoli nel suo microcosmo, ma che infine deve semplicemente vivere, creare e irregolarmente sacrificarsi in qualche lavoro pesante, quando si sente annebbiato o stracarico; deve svuotarsi di tutta questa incredibile energia vitale, amando la sua donna e la pagina bianca, accettando la deliziosa inviolabilità della sua creatrice e di certe norme. È proprio titillando il confine, forzandolo ma non violandolo, che nasce fantasia e immaginazione nuova. Questo è quanto. In principio è un fiume che scorre, infine è il mare.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Professore di Letteratura Francese all’Università di Viterbo; ha insegnato a Salerno. Ha collaborato o collabora, sin dagli anni Settanta, con “Repubblica”, “Manifesto”, “Nuovi Argomenti”, “Pulp”.

Renzo Paris, “Filo da torcere”, Feltrinelli, Milano, 1982. Collana I Narratori di Feltrinelli. Gli Italiani, 278.

Gianfranco Franchi, aprile 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

“Siamo due zitelle in cerca dei primi grandi amori e stiamo sfiorendo”, dice Gianni.