Fight Club

Fight Club Book Cover Fight Club
Chuck Palahniuk
Mondadori
2004
9788804508359

Un giorno sarei morto senza una cicatrice addosso e avrei lasciato un gran bell’appartamento e una gran bella macchina. Molto, molto belli, fino al formarsi di un nuovo velo di polvere o fino all’arrivo di un nuovo proprietario. Non c’è niente di statico. Persino la Gioconda se ne va a pezzi. Da quando c’è il fight club posso far dondolare metà dei denti che ho in bocca. Forse l’automiglioramento non è la risposta. Tyler non ha mai conosciuto suo padre. Forse la risposta è l’autodistruzione” (Palahniuk, “Fight Club”, capitolo 6).

Opera prima di Chuck Palahniuk, “Fight Club” ha rappresentato un caso letterario negli Stati Uniti non tanto per questioni stilistiche (la prosa di Palahniuk si contraddistingue per povertà lessicale, ripetitività e adesione al parlato), quanto per l’imponente carica di autodistruttività e di disperazione che permea la narrazione. La vicenda del luciferino narratore dagli infiniti pseudonimi e della sua seconda personalità, progressivamente cosciente di sé, saldamente vincolata al nome di Tyler Durden, spaventa, spazientisce e soffoca. È un professionista che d’un tratto, in piena crisi esistenziale, vittima d’una insonnia devastante, si ritrova a frequentare gruppi di sostegno di malati terminali per riuscire a sentirsi vivo; per qualche tempo riesce a sfuggire al suo malessere, fin quando l’incontro con un’altra giovane impostora, la dark lady Marla Singer, non lo costringe a rinunciare a buona parte delle sue frequentazioni. Le apparizioni della sua metà oscura, Tyler Durden, si fanno poco a poco più fitte; lui, Tyler e Marla vanno a costituire, nella sua povera mente disorientata, una sorta di triangolo in cui il narratore desidera e ha bisogno di Tyler, Tyler è innamorato di Marla, Marla è innamorata del narratore.

Al principio della narrazione, Tyler punta una pistola in bocca al narratore. “Non moriremo sul serio”, dice. “Saremo leggenda, non invecchieremo”. Si trovano sul ciglio del tetto d’un palazzo di oltre centonovanta piani, il Parker-Morris Building, in attesa che le cariche esplosive sgretolino l’edificio e lo facciano precipitare sul Museo Nazionale, autentico obbiettivo di Tyler. Tyler appartiene a una nuova razza. Questi sono i prodromi di un nuovo mondo. “Quella gente antica è morta”, giura. Negli ultimi tre minuti che lo separano dal probabile epilogo della sua esistenza, il narratore ricorda la sua storia.

Il narratore riconosce Tyler come un individuo capace soltanto di lavorare di notte “per via della sua natura”; all’opposto, egli sente di essere in grado di lavorare soltanto di giorno. Questa distinzione riporta naturalmente al romanzo-matrice sui disturbi di personalità, “Il dottor Jekyll e mr. Hyde” di Robert Louis Stevenson (e per intenderci, neppure la sua reincarnazione postmoderna e fumettistico-cinematografica, Hulk, sembrava originariamente differenziarsi da questa netta divaricazione). Mentre il narratore è un professionista di discreto successo, borghese dai cento vezzi e dai mille conformismi, già preda di accessi irresistibili di edonismo e raptus d’acquisto modaiolo iperconsumistico, il suo alter ego lavora come proiezionista nei cinema e come cameriere negli alberghi di lusso. La guerriglia sociale di Tyler ha inizio sin d’allora: “modifica”(con le proprie risorse naturali, per così dire) i pasti e “integra” nelle pellicole frammenti di immagini pornografiche.

Il narratore vive in un’abitazione che sembra incarnare l’archetipo del catalogo Ikea. Lusso “minimalista” e moda pura. Tyler vive in una casa diroccata e fatiscente, senza serrature, nella zona industriale della città. Vicino alla casa c’è una grande officina meccanica chiusa. Infine, il narratore è certamente affascinato e attratto da Marla, ma sembra evitare qualsiasi contatto; Tyler, invece, la trova irresistibile e i due passano parecchio tempo assieme. Tyler è l’incarnazione dell’identità mancata del narratore. Tyler è l’adesione totalizzante agli istinti e ai desideri che il narratore ha rifiutato. Tyler è estremo, il narratore è tendenzialmente compromissorio.

Fin quando avviene uno strano “incidente”: la casa del narratore esplode per una misteriosa “fuga di gas”, e a lui non rimane che lo stretto necessario. Ovviamente, chiama subito il suo nuovo amico Tyler, e chiede ospitalità. Si incontrano, Tyler accetta. Ma ad una condizione. Che il narratore colpisca Tyler con un cazzotto. Più forte che può. Così, all’esterno di un bar, si apre il primo fight club. Un uomo si pesta da solo. È il primo atto di una nuova organizzazione, anche se è difficile immaginarlo, al momento. Qualche curioso propone di unirsi al pestaggio, e in un breve lasso di tempo individui di ogni ceto sociale(e non “giovani ricchi, sani e delusi” come stranamente scrive la Pivano nella postfazione, mistificando completamente lo spirito dell’opera)si radunano negli scantinati di un bar, tra sabato notte e domenica mattina, per picchiarsi. La prima regola è che non si parla del Fight Club. Rispettiamola.

Dal “Fight Club” al “Progetto Mayhem” il passo sarà breve. Dall’autodistruzione al desiderio di distruzione delle fondamenta del sistema. Dovremmo dedurne che la denuncia del narratore è che il terribile malessere esistenziale di un individuo perfettamente integrato nel sistema è figlio dell’ipocrisia e della falsità del sistema stesso: e che dunque, la soluzione ulteriore, almeno posposta l’autodistruzione, è la lotta al sistema. Ad ogni livello.

Tematiche complesse: scissione della personalità, amicizia, amore(è proprio Marla a guidare il narratore, che chiama stranamente “Tyler” pur avendo verificato, lei sola, il suo vero nome sui documenti, alla coscienza d’avere una personalità multipla), autodistruzione, opposizione tra individuo e sistema. Non solo, però. Colpevolmente trascureremmo un elemento non marginale. Il romanzo è narrato in prima persona. Il narratore è un autentico bugiardo. Non conosciamo neppure il suo vero nome. Sappiamo soltanto che ha sempre mentito. Ad ogni comunità di sostegno dava un nome differente. Neppure Marla, fin quasi all’epilogo della vicenda, può dirsi certa della sua identità. Il narratore mentisce alla polizia, che lo interroga a proposito dell’incidente nel suo appartamento, mentisce e omette particolari non irrilevanti ai lettori, mentisce alle comunità di sostegno, mentisce a Marla, mentisce addirittura a Tyler Durden, cadendo nello spergiuro (per tre volte aveva promesso di non parlarne mai). In altre parole: la storia può essere giudicata come il (tetro) delirio d’un bugiardo. Crollando ogni credibilità del narratore, viene a cadere ogni possibilità d’ulteriore analisi.

In Europa, la pubblicazione del libro è stata successiva alla fortunata trasposizione cinematografica di David Fincher. Fondamentalmente, si tratta di una fedele traduzione filmica. Censura più rilevante: un omicidio commesso dal narratore-Tyler, Marla testimone. Alterazione più significativa: mentre nel libro si vuole distruggere, nelle prime battute, il Museo Nazionale, nel film l’obbiettivo è formato dai palazzi del potere economico. Per “la rivoluzione”. E infine mi domando una cosa. Tutti mi chiedono se conosco Tyler Durden… “Il disastro è un aspetto naturale della mia evoluzione sulla via verso la tragedia e la dissoluzione […]. Sto sciogliendo i miei legami con il potere fisico e gli oggetti terreni, perché solo distruggendo me stesso posso scoprire il più elevato potere del mio spirito. Il liberatore che distrugge la mia proprietà sta lottando per salvare il mio spirito. L’insegnante che sgombra tutti i possessi dal mio sentiero mi renderà libero” (Palahniuk, “Fight Club”, capitolo 14).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Chuck Palahniuk (Pasco, Washington, 1962), romanziere americano. Si è laureato in giornalismo nell’Università dell’Oregon, vive a Portland.

Chuck Palahniuk, “Fight Club”, Mondadori, Milano, 2003. Traduzione di Tullio Dobner. Postfazione di Fernanda Pivano.

Prima edizione: “Fight Club”, 1996. Nel 1996, Palahniuk scrisse un racconto chiamato “Project Mayhem” che costituisce il nucleo centrale del futuro “Fight Club”. La leggenda vuole che il romanzo sia stato ultimato in tre mesi.

Trasposizione cinematografica: “Fight Club”, di David Fincher.

Gianfranco Franchi, agosto 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.