Incontriamo la perugina Elisa Montanucci, giovane (classe 1981) e talentuosa ufficio stampa del gruppo Vivalibri: laureata in Tecnica Pubblicitaria presso l’Università per Stranieri di Perugia, ha esordito lavorando nel marketing per Mondadori, quindi – dopo un periodo in Fazi – è entrata nell’azienda capitolina nel 2005. Ha curato l’ufficio stampa delle case editrici Cavallo di Ferro, peQuod, Reading Theater, Gargoyle. Attualmente segue, sempre come ufficio stampa, le edizioni Panini, Orme e BD.
Elisa, cosa significa essere ufficio stampa di un piccolo editore? Quanta creatività, quanto sacrificio e quanta dedizione richiedono il tuo lavoro? Nell’immaginario dei lettori, l’ufficio stampa è chi informa i giornali dell’uscita di un nuovo libro, spedendo periodicamente comunicati via mail. Ricostruiamo, passo dopo passo, l’iter del tuo lavoro: ben diverso e ben più complesso.
Lavorare per un piccolo editore significa lottare contro i mulini a vento. Con lo strapotere dei grandi e gli spazi culturali sempre più ristretti è un miracolo quando si riesce a fare un buon lavoro. Per ottenere dei risultati serve grande creatività e grande preparazione. Bisogna conoscere a menadito le riviste e saper proporre sempre la cosa giusta alla persona giusta. Proprio per questo per fare l’ufficio stampa, almeno per quanto mi riguarda, è necessaria una grande passione per il proprio lavoro. Magari il nostro lavoro consistesse nel mandare comunicati e pacchetti! Questo forse varrà per le grandi case editrici in cui un ufficio stampa si deve preoccupare di dividere il maiale… cioè di accontentare tutti i giornalisti che vogliono scrivere di un libro. Per noi non vale questo principio, i giornalisti non vengono mai a cercarci. Siamo noi a rincorrere loro. Questo significa che per lanciare un libro si inizia a lavorare due mesi prima dell’uscita in libreria. Si manda la scheda di presentazione alla mailing list e si spera che qualcuno risponda. Se così non è, si iniziano a chiamare i giornalisti dei mensili e dei settimanali che ci sembrano adatti a quel libro, continuando a sperare. Successivamente si mandano le bozze a coloro che si sono dimostrati interessati alla nostra proposta.
Quando si avvicina l’uscita del libro si rimanda la newsletter. Nel momento in cui arrivano le copie staffetta in ufficio si prepara il lancio vero e proprio, cioè la spedizione del libro ai giornalisti. Naturalmente nei mesi precedenti ci si è già fatti un’idea della lista di persone a cui fare la spedizione. successivamente c’è la fase del recall, cioè chiamare le persone che dovrebbero aver ricevuto il nostro volume. A tutto questo si affianca uno studio costante e attento di tutte le riviste, anche ritagliando e conservando articoli che ci potrebbero tornare utili in futuro. Questo più o meno è il lavoro che sta dietro il lancio di un libro. Oltre a questo ci occupiamo anche dell’organizzazione delle presentazioni, e più in generale degli eventi, delle fiere e dei festival letterari.
Quali sono le principali difficoltà che si incontrano proponendo libri nuovi ai quotidiani, alle radio e ai periodici? Generalizzando: quali le strategie di posizionamento più efficaci e meno diffuse? Infine: qual è, nel 2008, la differenza nelle relazioni con la carta stampata e con le webzine?
Le difficoltà sono molteplici. Prima di tutto i piccoli editori sono come dei consumatori con un potere d’acquisto limitato. Alcuni grandi editori hanno anche molte riviste e giornali e è normale che i libri su cui puntano abbiano la precedenza rispetto a tutti gli altri. Senza contare che il nostro lavoro si basa molto sulle amicizie e sui rapporti personali che si instaurano con i giornalisti. Inevitabilmente un recensore, soprattutto se di un giornale importante, sarà più interessato ad “accontentare” Einaudi piuttosto che Orme. Proprio per questo l’ufficio stampa di una piccola casa editrice deve essere molto aggressivo e competente per far emergere i suoi libri. Per ogni libro la strategia è diversa ma il principio alla base è di cercare di piazzare cose ovunque. Molti miei colleghi fanno l’errore di trattare alcune testate come “inferiori” o secondarie. Non bisogna avere la puzza sotto al naso, l’importante è avere visibilità e non conta se sia sul “Corriere della Sera” o su “Cronaca Vera”. Ci sono libri che sono molto più adatti a “Cronaca Vera” che al “Corriere”. Per quanto riguarda il rapporto tra cartaceo e digitale credo che la nascita di nuovi spazi culturali su internet sia un’ottima cosa. Per quanto mi riguarda lavorare con siti o blog è molto più semplice che con la carta stampata. Prima di tutto perché non ci sono problemi di spazio e si possono inserire tutte le segnalazioni che si vogliono. In secondo luogo perché c’è molta più attenzione per i piccoli editori. Inoltre occupandomi anche di fumetti ritengo che internet sia il modo migliore per raggiungere il nostro pubblico.
Lavorare per la piccola e media editoria è più faticoso, più bello o più difficile? Perché? Quanto si deve lavorare per convincere della bontà di un progetto o di un’opera gli organi di stampa, a dispetto della diversa notorietà di un’etichetta?
Come dicevo è sicuramente più faticoso e difficile ma dà grandi soddisfazioni personali. Quando si ottiene qualcosa di importante ha doppio valore perché è solo frutto del nostro lavoro e non di marchette o favori. Proprio per questo il nostro margine di successo sta nel costruire dei rapporti di fiducia con il giornalista e farlo affezionare ai nostri titoli. Questo si ottiene grazie all’onestà intellettuale. Se stiamo promuovendo un libro non eccellente non bisogna mentire e dire che è meraviglioso. In questo modo quando avremo per le mani un bel libro ci crederanno e lo leggeranno perché siamo diventati degli interlocutori attendibili.
Quanto conta lo spirito di gruppo in una realtà editoriale? Raccontaci cosa significa dialogare, confrontarsi e supportarsi in casa editrice, e quanto male possono fare le rivalità, i silenzi e le incomprensioni tra ufficio stampa ed editor, redattori e via dicendo.
Purtroppo la mia esperienza in casa editrice è molto limitata. Vivalibri è una realtà particolare da questo punto di vista. Io non lavoro a contatto diretto con gli editori, non condividiamo una redazione. Questo fa sì che ci sia meno tensione ma, d’altra parte, non permette all’ufficio stampa di ricoprire quel ruolo centrale che ha in una casa editrice. Sicuramente lavorare in un ambiente sereno può farci solo bene, visto che il nostro mestiere è già di per sé complicato e stressante.
Confezionare un evento per un libro: quali sono i criteri ai quali ti attieni, a parte il budget imposto dalla casa editrice? Cosa significa organizzare e tenere una presentazione di un libro, nel Paese in cui i lettori forti non vanno oltre i tredici libri l’anno?
Le presentazioni di solito sono la parte più imbarazzante del nostro lavoro. Spesso sono un totale fallimento e, personalmente, sempre poco piacevoli da organizzare. Per gli autori sconosciuti o quasi, come spesso accade per le piccole case editrici, la presentazione è un modo per accontentare l’autore. Di solito non ci sono altre ragioni, anche perché come dici tu, la presentazione non ci aiuta a vendere libri. Quando mi capita di assistere a un evento, anche non organizzato da me, mi domando perché i lettori si sottopongano ad una tortura del genere. Con questo non voglio dire che tutti gli scrittori sono noiosi.. ci sono sempre delle eccezioni.
Hai un modello, un esempio che tieni ben presente, nella tua professione? Chi, tra le tue colleghe e i tuoi colleghi, consideri un maestro, e perché? C’è, infine, qualcuno di loro con cui ti piacerebbe lavorare, un giorno? In altre parole: questioni di stile, di affinità e di mestiere…
Posso parlare delle persone con cui ho lavorato fino ad ora. Un ottimo ufficio stampa è Chiara Moscardelli, ex Fanucci e ora con noi in Vivalibri. Chiara mi ha insegnato molte cose ed è stato un incontro estremamente formativo dal punto di vista professionale. Quando ho iniziato a fare questo mestiere imitavo molto le mie colleghe. Il passo successivo, la crescita, consiste nel dare un’impronta personale al lavoro puntando sulle proprie caratteristiche. È importante avere molte idee e una forte personalità. Ad essere onesta in futuro mi piacerebbe poter lavorare da sola, avere una mia agenzia di comunicazione!
Stai curando l’ufficio stampa per le edizioni Panini, Orme e BD. Ci racconti qual è lo spirito di queste case editrici, e quali sono le collane più interessanti?
Quella che riesco a descrivere meno bene è sicuramente Panini. Ha una produzione talmente sconfinata che è difficile riassumerla. Per ora sto lavorando soprattutto sul lancio di un’operazione molto interessante che è partita a maggio. Infatti la casa editrice modenese ha deciso di lanciarsi in una nuova avventura: portare, per la prima volta in italia, i manga in libreria. Hanno quindi creato un’apposita collana che per ora prevede 4 titoli. Se le cose andranno bene, e lo spero, l’operazione si allargherà ad altri titoli.
A BD sono particolarmente affezionata perché è stata la prima casa editrice di cui mi sono occupata da sola. Sono cresciuta con loro e loro con me. Di BD e di Marco Schiavone, l’editore, mi piace molto la dinamicità e la voglia di rinnovarsi. In un momento in cui tutti stanno facendo fumetti (vedi Guanda, Rizzoli ecc.) loro, in quanto casa editrice di fumetti, si sono messi a fare narrativa. Questo dimostra grande coraggio. Devo anche riconoscere che hanno pubblicato ottimi titoli: “La voce del fuoco” di Alan Moore, “è Superman!” di Tom de Haven, “La strada della vendetta” di Lansdale e “Fighter” di Craig Davidson (ora pubblicato da Einaudi).
Orme, invece, è una casa editrice di prestigio e impegnativa. Fanno solo saggistica di alta qualità ma hanno la bravura di dargli un taglio divulgativo e spesso divertente. È proprio questa la cosa che mi piace di più, un equilibrio tra il saggio serio e impegnato e il libro leggero. Per fare un esempio di recente hanno pubblicato “Non lasciare che uno stupido ti baci o che un bacio ti istupidisca”, un piccolo volume in cui sono raccolte oltre 8.000 citazioni chiastiche suddivise per temi. Mi sono divertita molto a promuoverlo. Un altro ottimo libro che hanno pubblicato è “Pornopotere” di Pamela Paul, un’indagine sul consumo e sulla penetrazione che il porno ha nella nostra società.
Hai lavorato per Cavallo di Ferro, peQuod, Reading Theater, Gargoyle: cosa ti è rimasto, nel bene e nel male, di queste esperienze? Quali sono state le maggiori soddisfazioni e quali i piccoli rimpianti?
Sono state quasi tutte belle esperienze. Con gli editori di Cavallo di Ferro ho ancora un ottimo rapporto e lo stesso vale per Gargoyle. Sono state esperienze molto diverse ma tutte molto istruttive. Beh, la soddisfazione più grande è stata sicuramente Cavallo di Ferro, che è tutt’ora una casa editrice molto stimata e apprezzata. Insieme a Livia Senni credo di aver dato un contributo importante.
Parliamo del tuo amore per la Letteratura. Ti chiedo quali siano i dieci libri che ti hanno cambiato la vita, e perché; e quali i cinque libri che ti piace regalare.
Dieci? Non so se ne ho letti così tanti! A parte gli scherzi non sono in grado di rispondere a questa domanda e spero di non darti una delusione. È come se mi chiedessi i 10 film più importanti della mia vita. Non saprei riassumerli. Molti film, come del resto molti libri, hanno segnato momenti importanti per me anche in modo diversissimo. Per questo non so sceglierli. Uno però lo segnalo, e so che ti sentirai male! Ho iniziato a leggere libri a 18 anni. Prima la scuola mi aveva tolto qualsiasi passione per la lettura (il colpo di grazia me lo ha dato “Piccolo mondo antico” a 16 anni). Se non fosse stato per un’amica di mia madre non mi sarei mai innamorata della letteratura. Il libro che mi fece leggere era di Nicholas Sparks, ora non ricordo più il titolo. Comunque se non fosse stato per questo autore e per la mia amica forse oggi mi ritroverei a fare la pubblicitaria! Quel romanzo mi ha fatto capire che i libri raccontano tanti tipi di storie, non solo racconti noiosi di un tempo lontano. Ho compreso che il parallelepipedo di carta (citazione ceccatiana) dà il potere di immaginare e di sognare ad occhi aperti. Da quel momento non esco mai di casa senza un libro.
Qual è il tuo sogno nel cassetto, in questo momento della tua vita? Per quale collana, o quale casa editrice ideale – ideale! – vorresti curare l’ufficio stampa? Cosa ti piacerebbe scrivere e raccontare, in quel caso?
Sono molto soddisfatta delle case editrici per cui lavoro. Sono stimolata, carica e piena di voglia di fare. Lavoro ogni libro con grande passione e cerco di dare il massimo. Il mio sogno è di aprire una mia agenzia e di essere indipendente, così da poter decidere per chi lavorare.
Infine… Elisa Montanucci si rivolge a uno studente universitario che sogna di diventare ufficio stampa. Consigli, avvertimenti, incitamenti.
Il primo consiglio è di ripensarci! Questo è un lavoro bellissimo ma molto faticoso e stressante. Come si dice sempre: se un libro non vende è colpa dell’ufficio stampa se vende non è merito dell’ufficio stampa, ma del libro che è buono. La cosa importante da capire è che nessuno vi ringrazierà mai per tutto il lavoro che avete fatto, sarete voi che guardandovi allo specchio, vi farete i complimenti da soli. Inoltre non è un lavoro per ansiogeni. Se non siete in grado di lavorare sotto pressione rinunciate. Siate pronti ad essere dinamici e svegli e questo vi permetterà di conoscere molte persone interessanti. Il consiglio più importante che posso dare è di studiare sempre e di non prenderla mai sul personale. Vi tratteranno male, vi chiuderanno il telefono in faccia, vi faranno sentire una nullità, ma lo fanno con tutti, non dipende da voi.
Gianfranco Franchi, giugno 2008
Prima pubblicazione, Lankelot.