Dio è distratto

Dio è distratto Book Cover Dio è distratto
Gianluca Liguori
Nicola Pesce
2008
9788897141433

Scritto tra 2003 e 2004, pubblicato soltanto nel 2008 da Tespi, il diaristico romanzo di formazione “Dio è distratto”, ambientato tendenzialmente tra Roma e Amsterdam, è un'opera prima caratterizzata da due aspetti fondamentali: il primo – assoluto – è la relazione dell'io narrante con la scrittura, l'adesione e l'appartenenza alla scrittura, l'ossessione sacrosanta per la letteratura, la smania di poter riconoscere in sé una personalità autoriale; il secondo è la determinazione nello scolpire limiti, aporie, difetti e guasti della vita capitolina contemporanea, nella prospettiva d'un giovane emigrato in città con grande entusiasmo e grande coraggio; e un pizzico di disperazione, comune a tutti quelli che hanno dovuto lasciare casa e lacerare le proprie radici. Il terzo aspetto, meno importante ma non marginale, è l'intossicazione di droghe leggere di vario ordine e grado, che sembra (non è un paradosso) derivare e discendere dai primi due nodi. Il protagonista di “Dio è distratto” va cercando confusione, estraniamento, alienazione, svago e conforto quando nell'alcol, quando nell'hashish, quando – sperimentalmente – nelle pasticche. La sua sensibilità sembra rispondere diversamente: piuttosto che attutite, le sue ferite e le sue manie si fanno più minacciose, più insinuanti. Questa è una delle ragioni del tormento, che le droghe non ti spengono, ti sospendono soltanto, e poi peggiorano le cose.

Natale. A Roma, da solo. Lontano dalla famiglia – dalle famiglie: il divorzio ha strascichi curiosi –, lontano dalle rinnegate origini, dal paese di Bellavista. Il narratore ha cambiato già sette case in quattro anni, presto dovrà lasciare anche quella in cui si trova adesso. Si sente uno “scrittore vagabondo disperso tra le arterie della più eterna delle città eterne”. Vive con un tizio che sembra Dean Moriarty di “Sulla strada”, e come Neal Cassady è nato l'otto di febbraio. È lui la sua grande fonte di ispirazione. È un siciliano figlio di emigrati in Belgio, a Roma sta cercando di trovare sé stesso. Ogni tanto il suo approccio radicale alle cose della vita sembra un'espressione artistica; una posa bukowskiana. Altrove, sembra semplicemente la conferma della sua dissociazione.

Il narratore vive con intensità adolescenziale – e per questo molto tenera. La fine di un amore è stata percepita come una morte, ci si sentiva già “uomo finito”, a soli diciotto anni. E si andava vagheggiando il proprio funerale, con tanto di Bach in sottofondo, e ceneri che se ne andavano verso l'infinito. E si giurava che dopo di lei mai più si avrebbe amato. Qualcosa forse è guasto: “amore è sempre coinciso con dolore, tragedie, ossessioni, non sono mai stato in grado di vivere con serenità un momento d'amore” (p. 21) ma nuovi amori e altra carne sapranno far dimenticare questi parossismi malinconici.

Qualche anno dopo la fine di questo amore un po' troppo wertheriano si trova a Roma, incasinato per le questioni del lavoro, impiegato presso un'azienda di discount e supermercati. Cassiere, chissà. Ottocento euro al mese per pagare l'affitto, per pagarsi da mangiare e da bere. Vive senza televisione, si informa leggendo ogni tanto qualche quotidiano, non gli piace il posto dove sta. Vorrebbe andar via ma non sa dove andare. Ama Roma ma sa che Roma t'ammazza, è capace di una negligenza senza pari, in Italia. Questa è la città in cui uno si può nascondere quanto vuole, nessuno viene a cercarlo. Nessuno sa esattamente dove cercarlo.

Intanto, il narratore culla il sogno della Letteratura; accompagnato da una disperata autoanalisi. E da intervalli di richiami a un Dio che è assente, “distratto”, e proprio per questo sembra invocato con disperazione. Il misticismo non è un esito del tutto plausibile, ma non è così distante dall'anima del narratore.

Liguori scrive di scrittura: spesso, quasi sempre. “Scrivere è un riflesso della vita, di quello che ho dentro. Non ho scritto 'Tropico del Cancro', né 'Sulla Strada', né 'L'Idiota' o 'Le affinità elettive', probabilmente non valgo un'unghia dei miei eroi e la mia scrittura non varrà mai granché, anche se adoro sognarmi un grande scrittore, la gloria (…), gioco con i miei personaggi come fossero marionette mentre soffro per l'affetto che non so dare, per il rispetto di cui non sono capace” (p. 35). La scrittura comincia, man mano, a delinearsi come identità unica: è figlia, come sempre accade, della lettura.

Qualche omaggio. “Lessi un po' 'Henry e June': Anais Nin è una delle poche donne incontrate nella mia vita di lettore che scriveva veramente, poi c'è stata Lou Andreas Salomé, la nostra Sibilla Aleramo, Sylvia Plath, per il resto niente” (p. 44). Manca Amelie Nothomb, manca la Blixen. Per dire. E c'è una Aleramo di troppo. Ma le troverai, c'è tempo. Scrivania, più avanti: dischi e libri. “'Mio fratello è figlio unico' e 'Ingresso libero' di Rino Gaetano, 'Andare camminare lavorare' di Piero Ciampi, Allen Ginsberg, 'Urlo & Kaddish', 'Lettere d'amore' di Dylan Thomas, Rainer Maria Rilke, 'Poesie 1907-1926', Henry Miller, 'Storia di una passione'” (p. 61).

Punti deboli. Liguori prende e tuona contro la corruzione, l'amoralità e l'ipocrisia della nostra società, con toni spesso eccessivi: non è questione di condivisibilità dei suoi strali, è questione di buon senso. Il giovane narratore di questo romanzo, diventando uomo, imparerà – ha già imparato, ne sono convinto – a riconoscere quanto bene s'annida nella società, e quanto sa ferire e offendere il male. A questo livello della sua produzione, e della sua consapevolezza, Liguori preferisce puntare sugli effetti, e non sulle cause dei guasti; per questo, corre il rischio di inciampare su una critica che rimane, ed è un peccato, a livello della superficie profonda o, peggio, della retorica. È la fase Cioran che ogni giovane artista deve affrontare e vincere. Se ne rimane sempre vittime, quando si è troppo sensibili. Il rimedio c'è, è l'esperienza.

La trama – a meno di non voler forzare la mano, considerando l'annuncio d'un ritorno al paese nelle ultime battute come un'ammissione di cambiamento del personaggio: poco credibile – non è particolarmente centrale. Sono le boutade e le storie degli amici del narratore, al limite, a guadagnarsi una tantum un po' di spazio, senza tuttavia sfuggire al cliché della vita universitaria alternativa, scaciata, fumosa e beona. Ma l'autore c'è, è giovane e mostra d'avere umiltà come lettore e generosità come essere umano; lavorando con disciplina, sacrificio e concentrazione alle sue prossime cose saprà sgrossare e sgrezzare tutto quel che vive e respira in questo libro. In questo libro vivono e respirano grande semplicità, una buona capacità introspettiva, una discreta sensibilità dialogica, una gran voglia di fare. Letteratura.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Gianluca Liguori (Battipaglia, 1982), scrittore e performer italiano. Vive a Roma. Questo è il suo primo romanzo.

Gianluca Liguori, “Dio è distratto”, Tespi, Roma 2008. Prefazione di Pedro Adelante. Postfazione di Vincenzo Sparagna.

Gianfranco Franchi, febbraio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.