Dico a te, Clio

Dico a te, Clio Book Cover Dico a te, Clio
Alberto Savinio
Adelphi
1992
9788845908781

Memorie di Capri alle spalle, Savinio viaggia tra l'Abruzzo e l'Etruria, tra le tombe della necropoli di Cerveteri e quelle di Tarquinia: è il 1939. Questi suoi ricordi sembrano essere stati scritti per chiudere (etimo di Clio: il verbo greco *kleio, che proprio questo significa: chiudere) con il passato: in assoluto, non con una parte soltanto. Per domandare di poter concludere la sua esistenza, un giorno, senza lasciare strascichi, senza lasciare niente di irrisolto. Per domandare di non più reincarnarsi, di non conoscere vite altre. Nell'introduzione al libro, Savinio, cupo e paradossalmente solare al contempo, si concentra sul destino di ognuno di noi (morire: nient'altro) e sulla vera meta della vita (sparire: cfr. paradigma di Odisseo nelle ultime battute del dramma “Capitano Ulisse”): “La storia” - esulta, come un buddista - “ci libera via dal passato”. Il passato è un macigno: dobbiamo essere felici che svanisca, perché altrimenti graverebbe su ognuno di noi, facendoci marcire. Il passato deve farsi scrittura, è igienico – questa è la parola che spende AS, “igiene”. La scrittura libera dalle memorie, le accompagna nel fantasma della storia. Purifica.

Scriveva AS nel 1946: “I due libri che l’editore Sansoni ora ristampa (Tragedia dell’Infanzia è del 1920, Dico a te, Clio del 1939) sono il primo una foresta, il secondo un giardino. Foresta per l’oscurità che si addensa in quella più tenebrosa stagione della vita; giardino per la chiarezza, la leggerezza, l’amenità che mi sono conquistate nell’età matura. Da quel racconto a questi viaggi, il lettore avveduto potrà misurare oltre a tutto il trapasso da un cibo crudo a uno cotto. Perché anche nelle bonae litterae, come in cucina, tutto è questione di cottura”.

È vero. Nelle prime battute, ospite di un certo Concezio, nel Chietino, ad Ari, si respira già tutta un'altra musica. Savinio scrive con classe e intelligenza, con la solita splendida ironia ma senza forzare la mano e senza abbandonarsi agli artifici o agli eccessi da virtuoso. Sa essere lirico (“L'Abruzzo è un vasto presepe che si muove al suono delle ciaramelle”, p. 23) e quotidiano, raccontando con grazia e gentilezza la vita dei contadini e dei piccoli mercanti abruzzesi; sa scendere nell'abisso impronunciabile del passato prossimo di certe regioni (pagine sui briganti) e sa prendere le misure al massimalismo: così... “L'anima romantica è orizzontale, l'anima classica verticale. L'anima romantica è centrifuga, l'anima classica centripeta. L'anima romantica desidera quello che non ha e tende a staccarsi dal reale e anche dalla terra, l'anima classica ignora il desiderio e si rinutre da sé” (p. 94, comparando le antiche culture Romana ed Etrusca).

Oppure, scrivendo dell'essenza della letteratura: “(il lettore) brama una storia che comincia e finisce? Questo è contrario al fine nobile della letteratura, la quale non conosce né principio né fine, ma vuol dare forma soltanto e brillio al continuo presente della vita” (p. 123).

Questo suo piccolo viaggio in Italia centrale è all'insegna dell'empatia e delle reminiscenze artistiche, da Hans von Thoma alla pineta di D'Annunzio, da Rostand a Francesco Paolo Michetti (“Il voto”, nato nella chiesa di Migliànico), da Weininger a Bocklin (per i draghi), da Cézanne a Bernini, dal poeta dialettale Modesto Della Porta ad Apollonio di Tiana, da D'Annunzio a Menandro.

Il libro nasconde piccoli diamanti, come l'etimo della parola “basilisco” (p. 18: grottesca vicenda dell'unione tra un Re Spartano e la sua minuta compagna) e quello della parola “barone” (p. 45: pesante e forte); la solita, delirante congettura lombrosiana sull'aspetto esteriore della c.d. “amica del brigante” (già, una categoria: p. 48); un ricordo di quando “Broccolino”, ossia “Brooklyn”, era vicino a New York e non parte di NY (p. 59); l'antica e misteriosa storia di Cere Vecchia, Cerveteri, una (splendida) comparazione tra l'estetica delle necropoli etrusche e una meditazione sulla perduta lingua etrusca.

È un reportage frammentato – come spesso frammentata è la produzione di AS – e poetico: un sentito omaggio all'Abruzzo e alla perduta Etruria; una terribile riflessione esistenzialista sul senso della vita, sul significato di ciò che rimane al di là della vita, su quel che dovremmo domandare all'esistenza, in assoluto. La libertà di scomparire, di annientarci – integralmente – al termine del nostro viaggio. Seminando scrittura, intanto, per sgravarci di quel che abbiamo vissuto; sognando che questa scrittura rimanga come testimonianza d'arte, non di un'esistenza.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico (Atene 25 agosto 1891 – Roma 5 maggio 1952), scrittore, pittore, saggista, critico, musicista, compositore italiano.

Alberto Savinio, “Dico a te, Clio”, Adelphi, Milano 1992. Piccola Biblioteca Adelphi, 278.

Prima edizione: 1939; quindi, Sansoni, 1946.

Gianfranco Franchi, luglio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.