Des mois

Des mois Book Cover Des mois
Tommaso Landolfi
Rizzoli
1972

1967. Landolfi batte ancora la strada del diario, dopo “La bière du pécheur” e Rien va”. È il terzo in quattordici anni: a segnare il passaggio – mi piace vederla così – dall’esperienza alla piena maturità. È un padre di famiglia – due i bambini, la Minor che abbiamo immaginato gattonare in “Rien Va” e il Minimus che incontriamo adesso – innamorato dei suoi piccoli, che già vuole immaginare grandi intelligenze, o geniali innovatori del linguaggio. È un autore contemporaneo impegnato a sopravvivere scrivendo; bastona chi disprezza, stavolta senza nome e cognome ma lasciando chiari indizi, e riflette con passione sulla sua scrittura. È un intellettuale antifascista e tuttavia – pare evidente – antirepubblicano e fieramente antivaticano; dei tre diari questo è quello più schietto nelle sferzate alle alte sfere cattoliche e ai grotteschi dogmi della loro chiesa, dalla verginità della Madonna in avanti. È un aristocratico orgoglioso delle sue longobarde radici (qualcuno scrisse – decenni fa – un’interessante saggio sui cognomi in –elmo, -olfo, -uino; immagino Landolfo avrebbe gradito) e della sua atipica esistenza.

Non di rado si torna a parlare di donne; ma – come da costume dell’autore – sempre e invariabilmente da spettatore, anche quando era protagonista; finalmente appare la parola “voyeur”, e non una sola volta. Mi preme segnalare che avevo annotato questa peculiarità già nell’analisi dell’opera prima, “Dialogo dei massimi sistemi” – mi sembrava abbastanza prevedibile che avrebbe sviluppato trame non distanti da certe traiettorie, diciamo così.

Ciò detto: domanda cruciale… che senso ha questo “Des mois”? In coscienza dovrei scrivere, esattamente come nel caso del secondo diario, “nessuno in particolare”: nessuno diverso dall’emozione che può provare il cultore dell’opera dell’artista di Pico Farnese incontrando riflessioni e confessioni (ma quanto autentiche, considerando che si sapeva sarebbero state pubblicate? Landolfi è un bugiardo patentato proprio come Cicerone nelle “epistulae”…) del suo idolo. Non c’è niente di rivoluzionario, niente di innovativo, poco di autentico – a parte l’affetto paterno, a ben guardare – e molto di artificioso e di preconfezionato; insomma, i “Diari” del povero, immenso Guido Morselli sono onestamente tutta un’altra cosa. Landolfi che si sbrodola addosso non è sempre apprezzabile; è sgradevole nell’irritante adozione del prosimetro, che svela una presunzione eccessiva. Versi mediocri e irrichiesti in un contesto del genere. Meglio tradurli che scriverli così.

Meglio quando si va in prosa a parlare del lavoro come vizio. Magari argomentando fanfaluche, ma almeno giocando sull’autoironia, ecco.

C’è qualche passo onestamente grottesco; una descrizione incredibilmente complessa del gioco delle freccette (!) si conclude con una riflessione sulla distanza tra arte e scienza; figurando il suo primo, fortunato lancio come genio d’artista, contrapposto all’intelligente metodo dello scienziato (della freccetta). Non pensavo fosse possibile, per capirci, scrivere una cosa del genere parlando di questo hobby – sembra quasi un’attività aliena: “Egli aveva in casa sua una grande stanza vuota o semivuota dove si esercitava a lanciare un di quei missilini con chiodo alla punta contro un bersaglio distante buon numero di passi; il qual missilino o fuso restava confitto in una delle strisce circolari del bersaglio, posto che non lo mancasse del tutto” – ecco: qui si evidenziano tutti i difetti della scrittura landolfiana, dalla malattia dell’iperdescrittivismo alla ingerenza degli aggettivi possessivi (notevole il “sua” riferito a “casa”), dalla dissociazione dalla realtà alla stravaganza un po’ di maniera. Mi sembra che nessun parlante lingua italiana abbia mai raccontato le freccette con tanti bizantinismi e tanta premurosa puntualità; pare quasi, ripeto, che Armstrong abbia incontrato un venusiano sulla Luna.

Curiosamente, rispetto agli altri diari, si comincia a tendere all’aforisma; “Alla tirannia dei pochi sostituita quella dei molti, dei tutti. Due punti, e mettete qui il proprio nome di un tal reggimento”; “Suppongo che gli scrittori possano dividersi in due classi: gli affermativi o asseverativi e i dubitativi” – due esempi campionati per dimostrarvi quanto prima accennato a proposito delle digressioni autoriali in ambito politico o estetico in generale. Il tono è indubbiamente – bontà sua – quello del padreterno che tutto sa e comprende, stupito magari che la sua intelligenza sia talvolta incompresa dalle masse. Insomma: in casi come questo quel tono lo si avalla, da lettori, solo se si ama molto l’artista. Io sono un semplice appassionato, alla lunga sbadiglio e penso “taglia, Tommaso, taglia!”.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Tommaso Landolfi (Pico Farnese, Frosinone 1908 – Roma, 1979), scrittore, critico, saggista e traduttore italiano. Si laureò in Lingua e Letteratura Russa nel 1932, con una tesi su Anna Achmatova. Tradusse – tra gli altri – Novalis, Dostoevskij, Tolstoj, Cechov, Lermontov, Puskin.

Tommaso Landolfi, “Des mois”, Longanesi, Milano, 1972.

Prima edizione: Vallecchi, Firenze, 1967.

Quindi, l’edizione esaminata, Longanesi, Milano, 1972; Rizzoli, Milano, 1991, a cura di Idolina Landolfi, con prefazione di Enzo Siciliano.

L’opera omnia di Landolfi è attualmente in via di pubblicazione nelle edizioni Adelphi.

Approfondimento in rete: Centro Studi Landolfiani / Wikipedia

Gianfranco Franchi, aprile 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Diario landolfiano, il terzo in quindici anni.